20 Gennaio 2001 Una situazione impossibile da gestire esclusivamente con il ricorso alle “ordinarie” procedure di insensibilità, superficialità e differimento che dettano legge in campo minorile.
E’ quanto contesta l’Associazione Genitori Separati alle istituzioni per evitare che si possa consumare un’ennesima tragedia familiare che vede un bambino di neanche sei anni costretto a far rientro nell’abitazione dell’affidataria, con relativo convivente e loro altro figlio, dopo aver rivelato i maltrattamenti lì subiti da parte degli adulti. Il piccolo appena potuto stare col padre, durante il suo diritto di visita, ha manifestato la ferma opposizione a tornare là spiegandone i motivi al padre sconcertato ed alla compagna di lui. Non è stato difficile per il genitore capire che non ci si trovava difronte ad un capriccio bensì ad una disperata richiesta di aiuto di un bambino triste, impossibilitato a vivere la sua infanzia con quei requisiti minimi di serenità e fiducia che il suo status di “figlio di separati” deve pur consentire. In precedenza il padre aveva sporto denuncia per altri episodi salvo poi, nel tentativo di ricondurre la vicenda familiare entro binari di “tolleranza”, ritirarle dietro assicurazioni di parte materna che avrebbe cambiato registro. Ora quel padre non sa come difendere la propria creatura da quelle istituzioni alle quali si era rivolto per proteggerlo da questa squallida situazione. Già, perché il tribunale ha mandato assistenti sociali e vigili, alle 7 della mattina, per prelevare il bimbo e riportarlo dalla madre, nel frattempo allontanatasi di oltre 500 km. dalla residenza familiare originaria. L’assistente sociale aveva assistito al rifiuto del bimbo davanti alla madre tanto da invitarla ad allontanarsi subito per non traumatizzarlo oltre. Questo padre, che come tanti altri crede nella propria genitorialità e lo dimostra con i fatti, ha chiesto ed ottenuto una consulenza tecnica d’ufficio al tribunale per tutelare il figlio ma gli è stato risposto che poteva aver luogo solo dopo il rientro del piccolo dalla madre e senza che lui partecipasse agli incontri. Ha quindi deciso di portare lui stesso, dopo aver ricevuto il placet della CTU contattata dal proprio consulente di parte, il figlio dalla madre, attraverso la stessa CTU, che potesse così guidare il passaggio tra i genitori ovvero verificare la ferma opposizione considerandone appropriatamente il significato. Invece si è trovato ancora solo a dover provare a spiegare i motivi, inesistenti, di quel forzato rientro non voluto dal bambino. La madre è stata quindi mandata a casa ed il CTU ha affermato che il padre non aveva preparato il bambino al rientro e vi doveva provvedere lui da solo. Cosa doveva fare questo padre? “Incartare” il figlio e recapitarlo al domicilio materno insensibile alle urla fino alle convolsioni del bambino? Ha scelto l’affetto e lo ha riportato da lui; poi è andato a parlare con i giudici e la procura ma invece di trovare quell’aiuto dovuto ha trovato ultimatum: o lo riporti o ti leviamo la potestà genitoriale e lo facciamo con la forza pubblica. Ancora una volta la dimostrazione che la sensibilità delle istituzioni nei confronti dei minori, specialmente figli dei separati, è nulla e che il dramma del genitore di turno resta lo stesso: rispettare il diritto/ dovere di naturale e spontaneo amore per i figli oppure rinnegarlo in nome di assurde leggi ancor più assurdamente interpretate? E nel primo caso quale sarà il prezzo da pagare per VOLER RISPETTARE UN FIGLIO che altri sacrificano per la propria “libertà”? |