Arroccati sulle personali certezze - Aosta 30 gennaio 2011 PDF Stampa E-mail

Arroccati sulle personali certezze

di Ubaldo Valentini

Le separazioni, in Vallata, sono causa di conflitti talvolta drammatici che stanno sfuggendo di mano alle istituzioni e che, se non ricondotti in una corretta dialettica esistenziale, potrebbero finire per connotare negativamente la stessa comunità civile valdostana.

Si assiste ad una crescente conflittualità nelle separazione al cui centro ci sono i minori contesi dai due genitore o troppo spesso ostaggi del genitore più forte e genitori resi deboli dall’arroganza dell’altro, da provvedimenti giudiziari non sempre rispettosi di ambedue i genitori e dei minori e da relazioni dei servizi sociali che non riescono a cogliere la giusta dimensione delle singole situazioni.

 

Il tribunale dà l’impressione, talvolta, che le sentenze siano state già predisposte ancor prima di aver sentito ambedue i genitori e che le asserzioni delle madri siano accettate senza ombra di dubbio e, ancor più grave, senza oggettivo riscontro.

I padri vengono penalizzati nei loro sentimenti, nel loro ruolo genitoriale, nella determinazione degli assegni di mantenimento e nella loro dignità di persona, soprattutto dopo la separazione, essendo costretti a vivere alla giornata e, spesso, presso congiunti o in ambienti inidonei.  I tribunali riservano poca attenzione a questi genitori. La questione economica è troppo spesso sottovalutata. Tutto ciò provoca delusione, impotenza, solitudine e/o rabbia,  finendo per alimentare ribellione interiore, sfiducia nelle istituzione, senso di fallimento e rifugio in pericolose alternative.

I servizi sociali, oberati di lavoro e competenze non sempre appropriate, diventano il parafulmine dei tribunali che a loro scaricano gravose responsabilità quali: determinazione del genitore più idoneo presso cui collocare i minori, formulare le modalità e i tempi per l’espletamento del diritto-dovere di visita del non affidatario, valutare le singole genitorialità, coordinare i troppi diritti di visita protetti.

A loro viene fatto ricorso quando i minori hanno difficoltà, spesso a seguito della separazione o interrotta convivenza dei genitori o quando un genitore cade in depressione.  Un lavoro ingente non sempre supportato da adeguata professionalità e senso del limite. L’assistente sociale non può sostituirsi ai psicologi dell’età evolutiva o, in taluni casi, ai psichiatri e/o ai sociologi e ai pedagogisti. Non possono dimenticare che i minori hanno un padre e una madre che vengono prima di loro. I politici non possono non calcolare che l’incremento delle unità operative attraverso una selezione dei candidati basata esclusivamente sulla competenza professionale, garantendo poi a tutto questo personale un puntuale aggiornamento sulle problematiche sociali legate alle famiglie in crisi, è quanto mai urgente.

La tentazione di essere onniscienti e intolleranti verso coloro che osano contraddirli e/o contestarli è sempre presente e spesso si trasforma in triste realtà operativa.

Un discorso a parte meritano le cooperative sociali che si occupano di minori. Gli “educatori” che intervengo in situazioni di separazioni difficili devono essere “educatori” informati e formati e non generici operatori che affiancano i servizi sociali e che operano secondo stereotipi culturali e/o ideologici. Quello che era valido alcuni anni fa, oggi potrebbe essere sorpassato o inutile o dannoso. Certe attività richiedono competenza e vocazione: non è sufficiente puntare al solo posto di lavoro.

Ma non è tutto. Gli enti locali e le istituzioni proposte all’assistenza sociale devono verificare sistematicamente e in modo scientifico l’operato dei servizi sociali, delle cooperative sociali e degli stessi tribunali che, nell’applicare la legge, non possono prescindere dal dare risposte “mirate” ai singoli casi. Ogni separazione è un caso a sé che richiede attenzione e provvedimenti specifici per la tutela dei minori e del genitore più debole. I fascicoli devono non solo essere letti ma studiati prima di emettere un giudizio vincolante per i figli e i per i genitori.

Si punta molto sulla mediazione familiare, si canalizzano consistenti finanziamenti pubblici per questo servizio, ma se prima non si pretende che la giustizia sai tale, sia per i minori che per ambedue i genitori, se i tribunali non applicano quanto previsto dalla legge nei confronti del genitore che abusa del proprio ruolo e non rispetta le eventuali disposizione del tribunale,  se non si pretende l’applicazione del’affido condiviso e si ha la predilezione per la madre, tale servizio è inutile. Serve solo ad incrementare la conflittualità tra i genitori e prolungare la discriminazione in atto. Chi sperimenta la mediazione da anni ne è ben consapevole. I legali o gli assistenti sociali, poi, non servono per fare la mediazione, occorrono psicologi e/o psichiatri con solida esperienza professionale in questo settore, sociologi e/o educatori. La mediazione funziona quando riesce a garantire sicurezza e serenità ai partecipanti alle sedute. Altrimenti è solo un palliativo.

Una parola speciale spetta all’applicazione dell’affido condiviso. I tribunali usano questa dicitura, con collocazione “prevalente” presso un genitore, e poi prendono provvedimenti che ricalcano quelli tipici dell’affido esclusivo in atto da quarant’anni: collocazione presso la madre che poi ne esercita l’effettiva potestà senza informare il padre, visita programmata nei fine settimana, un pomeriggio alla settimana, vacanze con il padre per 15/30 gg. durante l’estate e alchimie per Natale e Pasqua. Ma è questo il condiviso? I padri perché non possono essere collocatari dei propri figli? Siamo sicuri che la madre sia sempre la più idonea a crescere ed educare i propri figli? Spesso è proprio lei che fa ricorso a strategie non lecite per estromettere il padre dalla vita dei figli. Perché i servizi e i tribunali ci cascano e/o tacciono?

In altre regioni si è arrivati all’affido condiviso alternato, cioè i figli trascorrono metà tempo con l’uno e con l’altro genitore, quando le distanze delle abitazioni dei genitori non sono rilevanti e quando la dialettica genitoriale non sfocia in reciproca conflittualità. I figli rimangono o ridiventano, così, il centro delle attenzioni di ambedue i genitori e li costringono a restare genitori pienamente operativi anche dopo la separazione.

Perché tanta ritrosia ad applicarlo anche quando sono gli stessi genitori a chiederlo nelle separazioni consensuali o nei divorzi congiunti? E’ facile decidere escludendo l’altro genitore: ci sono meno problemi e meno responsabilità e la mamma, poi, è sempre la mamma, così come vuole una certa ideologia e il pensiero cattolico. Ad Aosta la madre è intoccabile per tutti ed è sempre credibile: nessuno fa seri riscontri sulle asserzioni del padre. Anche questo alimenta arroganza ed emarginazione del padre. Non  si vuole riconoscere che oggi, come ribadiscono le indagini sociali, l’uomo, nella vita di coppia, è più attento della donna alla casa e ai figli.

Facciamola finita con la cosiddetta conflittualità come giustificativo delle discriminazioni messe in atto. La conflittualità è sempre una conseguenza delle discriminazioni subite e/o dell’arroganza del genitore che vuole emarginare l’altro. Basta un solo genitore per farla sorgere o alimentarla. Peccato che i tribunali e i servizi sociali ciò non lo ammettano o, meglio, preferiscono lavarsene le mani quando la responsabilità è della madre.

Chiedere il rispetto dei propri diritti-doveri genitoriali e il diritto dei minori alla bigenitorialità non è affatto essere conflittuale! Questo concetto è stato ribadito, ancora una volta, anche dalla Corte di Cassazione. Peccato che nessuno legga tali sentenze!

Nessuno considera i maltrattamenti psicologici e sociali che subisce il genitore – sempre il padre – che, senza alcun riscontro oggettivo e senza essere stato mai sentito, si vede arrivare il decreto penale di allontanamento dalla casa familiare per maltrattamenti in famiglia o stalking. Poi.... si vedrà. E’ questo il modo di operare della giustizia valdostana dove questa prassi è all’ordine del giorno?

Che dire poi delle condanne penali per mancati alimenti spesso convertite in sanzioni pecuniarie - magari quando il padre è stato licenziato o  si trova in cassa integrazione e non può assolvere al mantenimento dei figli o della ex-consorte allergica, per principio, a qualsiasi lavoro? Nessuna pietà per chi non passa furbescamente gli alimenti ai figli e alla moglie, ma massima attenzione verso chi attraversa serie difficoltà economiche e non ha soldi nemmeno per vivere per sé.

Un padre, licenziato e rimasto senza lavoro per alcuni mesi, ha comunicato alla moglie le sue reali difficoltà, chiedendo, visto che lei ha sempre lavorato e lavora a nero e vive nella sua casa, di aspettare fino alla nuova occupazione per recuperare le somme non versate. La moglie, quasi subito, ha intentato il pignoramento dello stipendio e lo ha denunciato per mancati alimenti. Il tribunale gli ha inflitto una condanna penale convertita in una sanzione pecuniaria di quasi ottomila euro per aver ritardato alcuni mesi nel pagamento ed ha autorizzato il pignoramento del 28% dello stipendio mensile presso il nuovo datore di lavoro. Questo padre come potrà vivere se un ¼ dello stipendio è stato pignorato, i 2/4 vanno per l’assegno di mantenimento a moglie e figlio?

Nessuno si è preoccupato di verificare che l’assegno di mantenimento era stato calcolato su uno stipendio che era il doppio dell’attuale e che il padre, considerate le sue entrate di allora, non aveva impugnato la decisione del giudice. Ma ora la situazione è ben diversa: prende circa 1.300/1.400,00 euro al mese contro i 2.800/2.900,00 di prima. Ma non finisce qui. Il padre deve impugnare il decreto penale, pagandosi un avvocato e presentare una nuova richiesta di modifica delle condizioni di separazione, sempre con un legale da pagare, mentre la moglie per tutte le sue denunce e per ogni ricorso al tribunale non paga nulla perché, risultando senza reddito (?), gode del patrocinio gratuito. Pagato ovviamente da tutti i cittadini!

Si può sottacere tutto ciò? Si può tollerare una simile situazione ad Aosta?

L’associazione non accetta questa situazione e, con una mobilitazione a vasto raggio, si farà promotrice di azioni legali nei confronti di chi non rispetta l’uguaglianza dei cittadini dinnanzi alle istituzioni. Le stesse forze politiche e sociali non possono continuare ad essere latitanti e tutelare solo i propri interessi politici che spesso non coincidono con quelli dei cittadini.

Aosta 30.01.2011

 

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