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Amore convergente:
la sessualità nella coppia in crisi

© Alessandro La Noce*

 

Quanto conta il sesso nell’unione di coppia? Secondo alcuni è fondamentale, per altri non è affatto importante, resta il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi di rottura dell’unione possiamo verificare a posteriori quanto la vita sessuale era comunque deficitaria, per non dire del tutto insoddisfacente.

Questo ovviamente anche se poi ognuno è portato a cercare motivi e giustificazioni molto più intellettuali.

 

Va da sé che in caso di separazione per tradimento, il sesso assume il ruolo di componente fondamentale della crisi, ma è anche in assenza di tradimento che alla lunga si scopre che le motivazioni che vengono addotte nascondono quasi sempre una vita sessuale insoddisfacente che rimarca la differenza con i primi momenti e non riesce a sopperire alle incompatibilità caratteriali.

 

Potremmo affermare allora che il sesso è il collante fra due persone non perfettamente compatibili, rappresentando sempre e comunque un punto in comune.

La sessualità di coppia, come comprenderete alla luce di quanto appena affermato, ha dei significati molto ampi all’interno della relazione, e questi sia nella dimensione passata, che in quella presente e futura fino a costituire la metafora stessa dell’alleanza tra i partners.

E’ proprio ciò che fa sì che la sessualità sia il teatro di molte battaglie, spesso direi senza che i due contendenti comprendano bene quali siano i reali motivi per cui sono entrati in guerra, ma nella sola consapevolezza riguardo all’aridità dei loro rapporti sessuali continuamente minacciati da ritorsioni, rancori, colpi bassi, rifiuti e prevaricazioni.

L’essere umano attraverso lo sviluppo del linguaggio, del senso dl sé e dell’autocoscienza ha imparato, tra l’altro, a dare un significato al comportamento sessuale sperimentando durante il rapporto con l’altro se il suo corpo funziona e se lo fa in modo soddisfacente o meno. Ma aggiungerei che è proprio questo che ha reso la sessualità nella specie umana più influenzabile appunto dalla qualità della relazione nella quale avviene questo rapporto.

Sono qui quindi per affermare che i sentimenti hanno un’influenza maggiore sulla funzione genitale e sull’orgasmo di quanto non abbiano le sensazioni fisiche. In pratica la stimolazione sessuale complessiva di cui si ha bisogno per raggiungere la soglia di eccitamento e poi di orgasmo è data sì dalla stimolazione sensoriale che si riceve dal partner ma ancor più dalle proprie sensazioni e dai propri pensieri, riferendoci con ciò a cosa si sta facendo, con chi lo si sta facendo e soprattutto cosa ciò implica per sé.

Il sesso in questo modo funge da termometro della relazione che si ha in primo luogo con sé stessi e poi con l’altro.

Viene da se che nel caso di disturbi sessuali di uno dei due partner, oppure di una sessualità di coppia insoddisfacente, una volta escluso un disturbo di tipo organico, quello che interferisce è il nostro modo di porci rispetto a questo rapporto, intendendo cioè lo stato d’animo con cui si affronta, la valutazione dell’incontro sessuale, i problemi emotivi e quelli evidentemente non risolti.

Quando la crisi nella coppia si evidenzia a livello sessuale questo segnala fortemente l’esistenza di un problema affettivo che non riesce a farsi spazio nella coscienza, che non è preso in considerazione e che non ha altra strada per emergere se non quella fisica.

Ecco allora che il pene non ha l’erezione, la vagina si contrae e non permette la penetrazione, l’orgasmo arriva troppo presto o non arriva mai, il desiderio non si fa sentire e così via.

Credo quindi che i sintomi delle difficoltà sessuali offrano una grande occasione per entrare nel mondo interiore di una relazione per poter capire le cose che fino a quel momento non avevano potuto essere pronunciate, ma che occorre prendere finalmente in considerazione.

Nelle coppie in crisi, in particolare, si vivono sentimenti contrastanti quali il desiderio e il suo opposto, e comunque si sperimenta continuamente la ricerca, soprattutto attraverso la sessualità, del modo per salvaguardare questo legame per passare sopra a quel muto rancore che fa paura solo ad essere pensato.

Tocca quindi al corpo esprimere la parte silente, quella che non vorrebbe essere detta, ma che ha bisogno d’essere affrontata, ed è normalmente la disfunzione sessuale ad assumersi il compito di esprimerlo.

E’ pertanto inutile accanirsi sugli organi che non funzionano, perché questo in fondo è la cosa più facile. Pensare che forse con qualche pillola tutto tornerà come prima. Ma in fondo gli organi stanno svolgendo correttamente la funzione di esprimere le emozioni autentiche e profonde della persona rispondendo a una volontà inconscia che va compresa.

Una buona coppia, infatti, non è una coppia che non ha problemi ma è una coppia che ha impara ad affrontarli, che impara a ritrovare la fiducia reciproca quando viene occasionalmente perduta e che perfeziona sempre meglio la capacità di comunicare i bisogni e le emozioni.

Certo che andando ad indagare sui sentimenti scopriamo talvolta che la distanza che si è creata è ormai incolmabile, ciò avviene generalmente quando il patto segreto che aveva legato una coppia al suo inizio era fondato sull’insicurezza e sull’immaturità, ma più in generale quando uno dei due ha avviato un suo processo di crescita e di maturazione mentre l’altro ha dimostrato troppa paura e si è rifiutato di seguirlo.

Vorrei a questo punto aprire una riflessione prendendo spunto da un’indagine datata 2003 realizzata dall’Abacus, nota società di ricerche di mercato e sondaggi d’opinione, svolta su un campione di mille persone di entrambi i sessi tra i 25 e i 70 anni in tutta Italia e presentata durante il convegno "L'amore non ha tempo" della Società italiana di andrologia.

Ai fini di questa trattazione emerge il fatto che quando il rapporto di coppia viene dato per scontato, ebbene è proprio allora che non tutto va per il verso giusto, invero quando si attraversa un periodo difficile nella propria vita sessuale gli intervistati ne attribuiscono la causa ad un eccesso di stress o a problemi sul lavoro 45%, al poco tempo che rimane per l’intimità 20%, a crisi personali o individuali 15%. Tra le possibili cause anche i problemi economici 9% o i problemi con il partner 7%. Come vedete tutta una serie di ragioni che sembrano far dimenticare la possibilità di patologie legate a vere e proprie disfunzioni di natura sessuale. Lo dimostra il fatto che alla domanda: come affronterebbe questo periodo negativo? Solo l’8% degli italiani risponde andrei dal medico per un consiglio e appena il 3% dice mi informerei su nuove terapie. Gli altri?  Il 63% del campione si limiterebbe a cercare il sostegno del partner e ben il 24% confessa che non farebbe nulla sperando che passi.  Scopriamo poi che a una certa età, per un italiano su tre, è proprio il caso di non parlare di sesso per convenienza.

Un atteggiamento di “non facere” confermato dal fatto che solo il 28% delle donne in presenza di un problema di natura sessuale del partner lo accompagnerebbe dal medico, mentre ben il 69% si limiterebbero a dargli sostegno e comprensione.

E’ facile quindi comprendere come per lui il sesso possa trasformarsi in problema. A tal proposito voglio ricordare che nel vissuto culturale del maschio così come sedimentato nella nostra società, la soddisfazione è misurata direttamente e tangibilmente sulla sua virilità e sul suo potere, a questo proposito giova ricordare come all'interno della coppia l'appagamento sessuale viene direttamente misurato con la soddisfazione della partner femminile, nei fatti l'indifferenza della donna alle prestazioni del partner può avere risvolti drammatici, come a dire che per l'uomo il raggiungimento dell'orgasmo della sua compagna è centrale nell'atto sessuale, ma non così per la donna.

In questi casi dicevo, a dominare sono ignoranza e tabù ma c’è da restare addirittura sorpresi a scoprire del rapporto che le donne hanno con i farmaci che arrivano in soccorso della sessualità maschile, infatti, ad un’eventuale scoperta di assunzione da parte del partner di un farmaco contro le disfunzioni sessuali, il 39% delle donne si sentirebbe sorpresa, il 23% delusa e il 9% addirittura offesa.

Uno scenario preoccupante se si pensa che ad essere toccati da problematiche di vario tipo che hanno inciso sulla sfera sessuale sono circa il 35% delle coppie italiane, oltre una su tre secondo una recentissima indagine della Sia (Società italiana di andrologia).

Un capitolo a parte merita il rapporto sesso-terza età, così apprendiamo che il 25% degli intervistati è convinto che con i capelli bianchi il desiderio svanisca da solo.

Altro che capelli bianchi! Da una ricerca di qualche anno fa sulla popolazione degli Stati Uniti fatta dal Journal of American Medical Association, emerge che il 33% delle donne tra i 18 e i 59 anni soffre di parziale o totale assenza del desiderio sessuale, contro il 16% dei maschi.
Il calo del desiderio definito disturbo del desiderio sessuale ipoattivo o anoressia sessuale, è una disfunzione del comportamento sessuale, nei fatti una vera e propria malattia. I fattori che determinano il forte disagio sono complessi da analizzare e differenti tra loro. Se non imputabile a disturbi di natura organica o psichica, il calo del desiderio, in una persona che abbia in passato avuto una vita sessuale normale, affonda allora le sue radici nelle dinamiche della relazione di coppia. Avviene in pratica che il periodo di refrattarietà, ovvero il lasso di tempo caratterizzato da disinteresse per ogni attività sessuale, conseguente all’appagante conclusione dell'atto sessuale, diventi permanente.

In alcuni casi poi, questa forma di anoressia sessuale riguarda persone che non hanno mai provato alcun interesse verso il sesso. Un vissuto di rapporti solamente platonici senza avere lo stimolo ad andare oltre. In questo caso ciò assume un profondo significato psicologico e il problema può essere generato da un trauma presente nell'inconscio. A volte chi non riesce ad accedere alla sessualità adulta, è una persona con la paura di crescere. Come è noto nei primi anni di vita noi stabiliamo un naturale rapporto diadico con la mamma, un rapporto che risulta fondamentale sia per la sopravvivenza fisica che psicologica del bambino. Successivamente la sessualità esplode con la fase edipica. In questa fase particolare dai quattro ai sei anni ogni bambino si innamora della figura genitoriale di sesso opposto e di questo innamoramento nessuno conserva memoria. In questo periodo di sviluppo psicosessuale di bambini e bambine, si può talvolta riscontrare una gran differenza tra il comportamento dei genitori verso le figlie femmine che verso quelli maschi, si tratta di un limite culturale, purtroppo ancora diffuso in alcune culture e comunità. Stretta tra la dinamica della vergogna e della paura si può aprire così, soprattutto nella giovane donna, una voragine capace di inghiottire la sua sessualità in erba. Questo è solo un esempio di come si potrebbero formare le basi della anoressia sessuale.

E' evidente che una situazione di anoressia sessuale divenuta permanente richiede, ben oltre alla sensibilità e comprensione del partner, un aiuto professionale.

Vi parlo infine dell’anedonia, parola greca composta dal prefisso negativo an e hēdonē "piacere" e cioè della mancanza di interesse verso il piacere fisico e quindi anche la perdita della libido. In sé non è una diagnosi ufficiale ma è quasi sempre classificata come un disordine da scarso desiderio sessuale, perché la perdita del piacere quasi sempre causa una perdita del desiderio, anche se talvolta la perdita del desiderio si può verificare prima.

Come abbiamo compreso, appare chiaro che la sessualità è condizionata, anche e soprattutto, dalla qualità degli aspetti del rapporto che apparentemente non hanno nulla a che vedere col sesso: malattie, squilibri ormonali, farmaci che influiscono sul desiderio, allattamento e stato di costante stanchezza psicofisica oppure periodi della vita dove particolari e importanti obiettivi assorbono interamente l'individuo, come periodi di superlavoro in cui tutte le energie sono dedicate alla professione, bambini piccoli in casa da gestire tra le faccende, asilo, scuola, malattie, frustrazioni, sensi di colpa ed altro.

Da non sottovalutare è il fatto infine che la donna vive il sesso in modo più emotivo, questo significa che quando una donna non si sente abbastanza capita, amata e apprezzata, reagisce naturalmente ritraendosi a livello sessuale.

Personalmente resto del parere, ed esce più quanto mai confermato, che il più potente organo sessuale è la nostra testa, per dirla con lo psicosessuologo americano John Money, infatti, un grande aiuto alla vita sessuale di coppia è fornito dalle fantasie, quest’ultime intese come le spezie nella cucina, capaci di farci esplorare i piaceri in forma innocua e sicura sempre tuttavia ricordandoci che la sessualità come normale attività dell'organismo può assumere forme estremamente variegate e non si riduce, nell'essere umano, ad una semplice e fredda attività copulatoria finalizzata esclusivamente alla procreazione.

Vi ricordo come nel campo della sessuologia, il desiderio si concretizza proprio nella fantasia di praticarlo. Sembrerà strano ma è proprio questo desiderio di pratica e la conseguente soddisfazione che alimenta il desiderio stesso in quanto l'insoddisfazione di tale progetto è portato a determinare un’inibizione dello stesso ed una maggiore prudenza in una successiva situazione.

Voglio ora citare una ricerca sulle fantasie erotiche maschili e femminili datata 2008 e condotta dal Centro Studi e Ricerche in Psicologia Emotocognitiva diretto dal Dott. Baranello.

Grazie a questo studio scopriamo che la maggior parte degli intervistati dichiara si di non aver mai realizzato concretamente le fantasie (soprattutto quelle che coinvolgono altre persone oltre la coppia), ma che comunque desidererebbe farlo. Di fatto questo dimostra che il desiderio di realizzazione costituisce una parte integrante della fantasia stessa. Chi invece ha potuto mettere in pratica la propria fantasia raramente ha dichiarato di non aver apprezzato l'esperienza.

Altri dati relativi all’esperienza clinica indicano però che molte persone hanno difficoltà ad accettare il contenuto di alcune fantasie del proprio partner, soprattutto quando nella fantasia sono coinvolte altre persone. Alcuni pensano, infatti, che una fantasia erotica sia l'espressione di un desiderio che si vorrebbe realmente concretizzare. Così molti temono l'idea che il proprio partner possa fantasticare situazioni orgiastiche o sesso con altri/e.

In realtà i dati dimostrerebbero, come dicevo, che l'intenzione di realizzare la propria fantasia altro non è che parte della fantasia stessa, raggiunto lo scopo per il quale la fantasia è stata prodotta (desiderio-eccitazione-orgasmo), la stessa fantasia perde, in quel momento il suo valore.

Va quindi ricordato che anche  se ognuno di noi attinge al proprio giardino segreto, per dirla con il titolo del best seller della scrittrice femminista statunitense Nancy Friday, per stimolare la propria vita sessuale, ciò non comporta e non significa automaticamente che non si stia bene con il proprio compagno.

Confidare certe fantasie e condividerle non può che approfondire l'intesa sessuale creando ulteriore complicità, ma come ho detto può provocare irritazione e reazioni negative perché rivelarle implica un rapporto di assoluta fiducia all'interno della coppia.

Nelle coppie incapaci di comunicare è ancora più difficile saperle accettare per utilizzarle in modo positivo, in questi casi occorrerà essere sempre molto cauti nel fare outing.

In altre parole certi desideri che possano anche sfumatamente violare fattori sociali, culturali e soprattutto morali rischiano di creare ulteriori insicurezze pertanto richiedono esplicitamente di rimanere nascosti. Anche quelli che sembrano nati per essere comunicati e magari anche messi in pratica insieme, dovranno essere soffocati quando chi ascolta non è in grado di essere aperto, ricettivo e complice, e questo è il classico caso delle coppie di cui ci stiamo occupando.

Non posso sottacere poi l’esistenza di una categoria di persone che senza rendersene conto lavorano ogni istante contro l’idea stessa di coppia. Parlo dei duri, uomini e donne che non devono avere o sentire emozioni, quelli che agiscono e che sono convinti che avere fantasie per loro è segno di debolezza, ma che per questo non distinguono gli stati d'animo più ovvi delle persone che hanno accanto, che parlano di quello che fanno ma mai di quello che sentono, che quando esprimono un'opinione lasciano sempre il dubbio che non siano le loro, che hanno tante conoscenze, ma nessun rapporto profondo, aggiungerei che non hanno mai problemi perché rifiutano di mettersi in discussione, hanno in pratica un deficit della competenza emotiva ed emozionale, palesato dall'incapacità di mentalizzare, percepire, riconoscere, e descrivere verbalmente i propri e gli altrui stati emotivi, Ebbene questi soggetti definiti alessitimici, termine che letteralmente significa "non avere le parole per le emozioni”, dicevo, non aiutano certo una sana relazione con le loro infinite difese, la loro finta razionalità, talvolta gelida, indifferente e pungente, e l’incapacità di sostenere qualsiasi conflitto, così come sono proiettati a fuggire ancora più lontano nel buio, al riparo dall'abisso infernale delle loro emozioni.

Da ciò emerge ancor di più quanto far ricorso alle fantasie sessuali e dare spazio all'immaginario erotico sia assolutamente normale e positivo.

È stato, infatti, provato che fantasticare rende gli esseri umani più estroversi, migliora la frequenza orgasmica e rende più disinibiti. Pensate soltanto che le donne che hanno fantasie sessuali sono, per esempio, meno condizionate da certe norme tradizionali e sono generalmente favorevoli all'autoerotismo e ai rapporti anche durante il periodo mestruale.

E' addirittura possibile che la fantasia rappresenti proprio una rivalsa verso il disagio nei confronti dell'altro sesso.

In altre parole le fantasie erotiche sono il luogo dove possiamo recuperare un potere che, nella realtà, è precario.

Con il passare degli anni i contenuti dei sogni tendono a modificarsi accentuando nell'immaginario che sia il partner ad assumere un ruolo più attivo, di iniziativa e di seduzione come se cercasse la conferma di essere ancora desiderati.

Purtroppo è proprio dalla continua disillusione, dall’abitudinarietà, dalla razionalità e dal rifiuto stesso della fantasia e del sogno che i partners iniziano a percorrere due cammini di crescita paralleli, senza uno spazio di sana e costruttiva condivisione, spesso vivono compressi nella rabbia, nella frustrazione e aggiungo nell'isolamento.

Isolamento che offre sempre la risposta sbagliata e che consiste nel ragionare per senso comune quasi fosse naturale che con il passar del tempo il desiderio cali.

Per capire quanto questa posizione sia sbagliata userò una analogia alimentare: con l'età è naturale ingrassare! In questo modo ho formulato un banale ma corretto rilievo statistico, ma ho evitato di approfondire le connessioni profonde fra i fattori in gioco. E' questo il metodo, con cui molti di noi finiscono con l’accettare l’idea della natura poligamica dell'uomo oppure arrivano ad affermare che il sesso non è poi così importante.

La domanda che mi pongo è allora se sia possibile evitare di entrare in una tale strada che certamente non è compatibile con la massima qualità della vita.

D'altra parte negli ultimi decenni, soprattutto grazie alle lotte per l’emancipazione della donna, si dono verificate le condizioni necessarie per la “democratizzazione” anche dei rapporti personali, riferendomi con ciò alla crescita dell’autonomia individuale all’interno di una relazione.

Il sociologo britannico Anthony Giddens, nel suo saggio "La trasformazione dell’intimità" pubblicato nel 1995, ci ha indicato come il rifiuto di alcuni aspetti istituzionali della relazione, quali promesse di eternità a scapito dell’esplicita preferenza per una libera costruzione del quotidiano, abbia messo in discussione il modello tradizionale di famiglia.

Inoltre, ci ha detto che osservando taluni comportamenti viene avvalorata l’ipotesi secondo cui la pluralità delle tipologie familiari, origina dalla facoltà dell’individuo di sperimentare nuovi percorsi, ed evidenzia una crescente domanda di autonomia da parte degli individui, anche e soprattutto nei rapporti di coppia.

Le nuove coppie decidono, infatti, in piena libertà se sposarsi, convivere, separarsi, procreare, in base alla soddisfazione che deriva loro dal prendere una tale decisione e con tutti i rischi che essa comporta.

E' certo che l’autonomia individuale accresce l’instabilità della famiglia e che questo è il prezzo dell’emancipazione e della libertà di scelta dell’individuo.

Una caratteristica di questo processo che a questo punto potremmo definire di costruzione della propria autonomia risiede nella radicale revisione del patto che, fino a quel momento, aveva regolato la vita quotidiana.

Giddens, a tal proposito, sostiene che tutte le relazioni si basano su un contratto rivedibile cui si rinvia quando le situazioni diventano ingiuste od opprimenti e questa attività di negoziazione appartiene ai partner quando discutono anche sulla natura del loro rapporto.

Vorrei ora dire con quello che può apparire un gioco di parole che dalla negoziazione alla negazione il passo è breve, giacché quando la finalità cosciente non è più la stabilità della coppia ma della soddisfazione da parte di un componente, deve essere sempre data la possibilità di uscita dalla relazione.

Proprio nella dissociazione tra interesse della coppia e interesse del singolo legato alla realizzazione personale e all’emancipazione e promosso da un’etica tutta individualista, è possibile ritrovare l’elemento che dà un senso alle trasformazioni della vita privata, poiché, comprensibilmente, nel tentativo di raggiungere una felicità puramente individuale sia i ruoli che le istituzioni vengono percepiti come scomodi impedimenti o fili che legano.

In questo, i mille altri impegni prioritari che in qualche modo sembra abbiano sempre più rilevanza della possibilità di stare insieme e la conseguente rappresentazione della vita quotidiana come rapida successione di piccole emergenze, permette all’individuo di isolare il tempo presente sia dal passato, liberandolo così da ingombranti promesse di fedeltà e coerenza, sia dal futuro, sottraendolo, di fatto, al compito di assumere impegni per il lungo periodo e deresponsabilizzandolo rispetto alle conseguenze.

Queste affermazioni sono alla base dell’elaborazione del concetto di “relazione pura” come specificità dell’odierna vita di coppia realizzato da Giddens.

In altre parole si tratta di descrivere una relazione che si costituisce in virtù dei vantaggi che ciascuna delle parti può trarre dal continuo rapporto con l’altra.

“Una relazione pura si mantiene stabile fin tanto che entrambe le parti ritengono di trarne sufficienti benefici come per giustificarne la continuità” cosicché questo rapporto non si alimenta di sostegni materiali o di costrizioni esterne, al contrario, si costituisce e viene sostenuta esclusivamente dalla volontà dei partner, sulla base del valore che attribuiscono alla relazione come luogo dell’autorealizzazione.

In questa prospettiva si capisce che una relazione pura può essere solo capace di una sessualità duttile e svincolata da mere esigenze di riproduzione, come pure dal controllo sociale, divenendo il mezzo per l’espressione e la realizzazione personale.

Diversamente dal concetto tradizionale di sessualità regolata da norme e precetti religiosi, la sessualità duttile viene plasmata interamente dall’individuo, dovendo esprimere un tratto della sua personalità.

Appare ovvio che anche il concetto di sentimento amoroso subisce una propria evoluzione e da romantico si trasforma in “convergente” e, bisogna dirlo, tale modello di amore può trovare conferme sia nel campo eterosessuale che omosessuale perché pone la sessualità al centro del rapporto di coppia, attribuendogli il compito del raggiungimento del piacere sessuale reciproco e un ruolo chiave per la continuità o l’interruzione della relazione.

Non mi dilungherò ancora, ma appare chiaro come tutto ciò contribuisca ad aumentare l’instabilità, perché un legame che si fonda sulla parità sessuale e sentimentale è destinato a durare solo fino a quando i contraenti ritengono che i benefici ne giustifichino la sopravvivenza.

A questo punto potremmo concludere che la qualità delle relazioni si riflette direttamente sulla loro durata e se, da una parte le relazioni pure hanno offerto la possibilità di democratizzare radicalmente sia i rapporti di coppia che quelli tra le generazioni, dall’altra questo ha generato una perdita del potere genitoriale laddove il calo della natalità ha segnato una tappa importante, se non vincolante, nel processo di trasformazione della famiglia, contribuendo a quella che potremmo definire la scissione tra matrimonio, sessualità e riproduzione, elementi ora tutti alla ricerca di spazi e significati autonomi.

Se la famiglia ha perduto alcune funzioni la prole non rappresenta più un capitale ma un costo che la coppia, nell’intimità, decide se sopportare, oppure, anche se è brutto dirlo “un bene di consumo affettivo” che acquista un senso in base alle gratificazioni affettive che lo stesso riesce ad accordare alla coppia genitoriale. Quindi se le relazioni sentimentali sono finalizzate essenzialmente al raggiungimento della felicità individuale, connaturale alla realizzazione di un desiderio, il rischio è che i diritti del bambino vengano oscurati da un “diritto al bambino”, inteso soltanto come figlio scelto che risponde al desiderio di autorealizzazione degli adulti. Nel nostro paese e nei paesi occidentali, non dobbiamo nasconderlo, la procreazione si iscrive ampiamente in questa logica e non sarà un caso che la quasi totalità delle nascite siano nascite desiderate.

Da tutta questa riflessione ne deriva che la fine del patto, non dovrebbe coincidere mai con la fine storica del legame, cioè con la definitiva rottura, quanto con una fine-passaggio. Infatti, non risulta possibile uscire da un vincolo affettivo annullandolo, anche se è quello che molti disperatamente ricercano. E’ invece possibile separarsene, nel senso di riconoscerlo per quello che è stato, sapendo al contempo riproporre il valore e la speranza del legame in altri contesti.

Ora vorrei avviarmi alla conclusione sottolineando il fatto che comunque tutte le coppie soffrono, schiacciate da una forte pressione del dover essere armoniose, nel dimostrare di non avere problemi o se ne hanno di essere all’altezza di risolverli, ma mi preme sottolineare come è drammaticamente scontato che i partner non rinunciano mai ad uscire dalla posizione di vittima, quasi fossero sempre preda dell’effetto di qualcosa che viene causato da altri.

Le vittime evitano, infatti, di farsi delle domande che potrebbero mostrare una parte di responsabilità in tutto quello che gli capita addosso e nascondono la propria forza per manipolare meglio gli altri e attribuirne sempre le colpe.

A tal proposito ho voluto prendere in considerazione, ai soli fini esplicativi, il dato Istat delle separazioni giudiziali, evidenziando come circa l’80% di esse è concesso per intollerabilità della convivenza, e il 15% con addebito al marito e solo il 4% con addebito alla moglie. Vi ricordo che costituiscono fatti che possono condurre all'addebito della separazione quelli che ledono il dovere di lealtà, quali i maltrattamenti, l'omessa assistenza morale e materiale, l'abbandono ingiustificato della casa coniugale e pur anche le vessazioni della suocera. Infine ricordo che secondo la giurisprudenza, l'adulterio, di per sé, non è causa di addebito, se non quando sia grave e notorio al punto da determinare discredito sociale in pregiudizio dell'altro coniuge.

Inoltre occorre evidenziare il fatto che la diversità degli attori rispetto al contesto di origine, del quale tuttavia il luogo di nascita può essere considerato parzialmente indicativo, sembra influire sulla stabilità del legame. Le coppie formate da soggetti nati entrambi in Italia presentano un quoziente di separazione inferiore al valore corrispondente alle coppie in cui uno dei due è nato all’estero specialmente se si tratta della donna. I quozienti, inoltre, sono più bassi quando entrambi sono nati nella stessa ripartizione geografica rispetto a quelli nati in ripartizioni diverse, mantenendo i differenziali territoriali tra Nord e Sud.

Negli ultimi anni con la crisi economica poi è cresciuto il numero di chi proietta le proprie preoccupazioni economiche al presente e al futuro. Sto parlando di persone stressate che sono in preda a sintomi di depressione, di cui il calo della libido è sempre il primo segno. Se è normale che esista un fisiologico calo della passionalità, è vero anche che il maschio non sempre riesce a viverlo come tale e ne soffre. A volte la defaillance può essere occasionale, ma, se lui ne risulta preoccupato, crea una spirale: la paura del fallimento diventa essa stessa il fallimento, uno stato cosiddetto di ansia anticipatoria capace di bloccare ogni risposta fisica. Perché trasforma la donna, o l’uomo, in una/o spettatore severo, quasi in un giudice della propria prestazione sessuale. Ricordo qui come la parola impotenza era un tempo sinonimo di vergogna e spesso di rottura, anche delle coppie più solide.

Quest’emozione negativa, per dirla con la sessuologa Alessandra Graziottin, può poi essere ulteriormente peggiorata dall’inesperienza, dall’incapacità di abbandonarsi e/o dalla paura di perdere il partner.

La paura come è noto innesca il “circolo vizioso” di rilascio di adrenalina,ed è proprio il picco di adrenalina, che accompagna l’ansia, a ridurre fino a inibire del tutto l’eccitazione genitale. L’adrenalina è un potente vasocostrittore. Impedisce quindi la vasodilatazione da cui dipendono le risposte fisiche di eccitazione che consentono il rapporto fisico. Nella donna questo implica la congestione dei vasi perivaginali e dei corpi cavernosi, la lubrificazione vaginale durante l’eccitazione e la formazione della cosiddetta “piattaforma orgasmica”. Con questo temine indichiamo l’insieme dei tessuti genitali congesti per l’eccitazione. Quando, infatti, l’eccitazione fisica è inadeguata, nella donna compare secchezza vaginale durante il rapporto. Sintomo che, dal punto di vista fisiopatologico, è l’esatto equivalente del deficit di erezione nell’uomo. Lo stato di tensione emotiva scatena inoltre un ipertono muscolare generale, che porta a ridurre la percezione delle sensazioni e mette tutto l’organismo in uno stato d’allarme generale. Nell’uomo la vasocostrizione associata all’ansia è responsabile del deficit di erezione. Questi aspetti disfunzionali, dovuti a fenomeni biochimici transitori, come è appunto il picco di adrenalina, diventano più impegnativi, anche dal punto di vista terapeutico, quando si associno ad altri problemi di salute, per esempio il diabete, l’ipertensione o altre malattie cardiovascolari, perché, in tal caso, l’ansia scompensa una situazione vascolare già danneggiata sul fronte anatomico. In questi casi evitare ogni forma di intimità è una risposta di adattamento, una sorta di fuga per evitare di stare male ogni volta.

Ma allora fare l’amore può far bene o male all’ansia? Si può rispondere che il sesso fa male, quando è ansiogeno, ossia esso stesso detonatore di ansia ma può far bene se il rapporto avviene all’interno di una relazione d’amore e lo fa con due meccanismi: uno diretto e l’altro indiretto.

Il primo, potentissimo, è legato all’ossitocina, un neurormone che aumenta nel sangue e nel cervello al momento dell’orgasmo. L’ossitocina, infatti, abbassa la pressione arteriosa, riduce la tensione muscolare, aumenta il senso di benessere e facilita l’entrata in un sonno ristoratore. In più imprime nel nostro cervello l’immagine della persona che ci ha reso felici: è dunque il principale fattore biologico che traduce le emozioni d’amore in attaccamento affettivo, scritto letteralmente nella struttura del nostro cervello. Per farvi un esempio l’ossitocina aumenta anche quando il bambino succhia il seno, così ad ogni poppata aumenta il legame tra madre e bambino e abbassa l’ansia di entrambi. Il secondo attraverso il rapporto fisico perché l’abbraccio, le carezze, i baci, gratificano il bisogno di amore, di attaccamento affettivo e sono l’antidoto più efficace contro la solitudine, uno dei più potenti detonatori di ansie esistenziali.

Un recente studio dell’Ispo, Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione presieduto da Renato Mannheimer che ha coinvolto 800 italiani tra i 18 e i 65 anni, ha indagato sull’universo maschile scoprendo interessanti contraddizioni: gli uomini sono pieni di autostima, il 91 per cento del campione dichiara di averla alta o molto alta, però se si parla di sesso il 72 per cento degli intervistati ha riferito di avere défaillance sotto le lenzuola.

Ma l’uomo prova ancora vergogna a parlare dei propri problemi sessuali, resta chiuso in se stesso e impiega 2-3 anni prima di rivolgersi a un esperto. Perde così tempo prezioso per iniziare le cure, farmacologiche o psicologiche, necessarie. Con conseguenze ovvie anche sul rapporto di coppia. La donna, è infatti spesso portata a pensare di essere la causa di una mancata erezione.

Sorprendentemente il dato positivo arriva proprio dal genere femminile. In più del 15% dei casi, è proprio lei a spingere l’uomo a farsi controllare.

Qualche anno fa poi, un’inchiesta del settimanale “Gente” riferiva le dichiarazioni dell'andrologo milanese Maurizio Bossi riguardo e una casistica allarmante. “Non è più tempo degli uomini che vanno in giro vantandosi del proprio membro e di straordinarie prestazioni sotto le lenzuola”, affermava,

“le donne, sono molto cambiate negli ultimi decenni. Sono forti, autonome, molto esigenti, anche sessualmente. Alcuni uomini di fronte a queste donne che esigono e soprattutto giudicano, scappano e si rifugiano in quello che io chiamo l'evitamento.”

E' questo il nome tecnico di ciò che più prosaicamente qualcuno ha definito la "Sindrome di Topo Gigio". Il famoso roditore è stato infatti assunto come testimonial di questa defaillance tutta mascolina perché ritenuto quanto di meno eroticamente evocativo.

A questo proposito occorrerà dire che farmaci sintomatici come il citrato di Sildenafil, il cui nome commerciale più diffuso è Viagra, il Tadalafil nome commerciale del Cialis e il Vardenafil conosciuto come Levitra o Vivanza, commercializzati fin dal 1998 sono usati in Italia da un milione di uomini al giorno, un numero che sembra alto che tuttavia è ben lontano dai ben 3 milioni che probabilmente, secondo l’urologo Emanuele Belgrano, ne avrebbero bisogno.

Concludo ribadendo che diventare individuo è una condizione complessa, difficile, perché comporta un lungo faticoso cammino, non sempre esente da pericoli che si snoda dall’iniziale completa dipendenza del neonato, all'autonomia dell'adulto.

In genere noi siamo circondati da “dividui”, ovvero persone che come indica l'etimologia (la radice indoeuropea vidh o veid indica divisione, mancanza, da cui il termine vedova) hanno bisogno per completarsi, di un'altra persona.

Diventiamo in-dividui se riusciamo a comprendere la necessità della mancanza, ovvero il desiderio, e con ciò presupporre che ciò non solo esiste ma può essere esaudito. Se sboccia cioè questa sinergia, per dirla con un termine francese quasi intraducibile “l’alliage”, ovvero la riunione della forza e della debolezza che crea l’unico spazio in cui affiora la verità stessa dell’essere persona.

Lo psicoterapeuta francese Jean G. Lemaire affermava che la coppia è il luogo privilegiato di espressione dell'ambivalenza del desiderio. Potremmo dire più semplicemente che la coppia è l'espressione di un’aggregazione affettiva tra due soggetti basata su di un progetto esistenziale, presumibilmente di lunga durata.

Ho parlato di soggetti e non di soggetto-oggetto, questa non è una pura espressione lessicale ma veicola una differenza di fondo, perché spesso l'altro (l'oggetto) è rappresentato come risposta, il Sé come bisogno; l'altro è il seno (per lo psichiatra francese Jacques Lacan riduzione immaginaria compensatoria di ciò che è invece nella realtà impossibile da riavere perché perduto per sempre, e, per la psicoanalista inglese Melanie Klein il prolungamento di se stesso), il Sé è la fame, e questa complementarietà a mio avviso può essere rovesciata senza cambiare la sostanza.

Necessita invece di accettare una posizione ove il riconoscimento, pur nella diversità, deve essere reciproco e il riconoscimento è possibile solo quando riconosciamo all'altro una pari dignità.

Quando due partner formano una relazione particolarmente intensa, che mette in gioco dei processi fondamentali come quelli della sicurezza, del riconoscimento reciproco dell'esaudimento di bisogni e appunto di desideri, è ovvio che ci troviamo di fronte ad una situazione: la coppia appunto, che non può essere la semplice somma delle singole dinamiche intrapsichiche.

Nello studiare un avvenimento molto comune e frequente, la formazione di una coppia, che spesso dai soggetti è vissuta come autodeterminata, bisogna invece evidenziare il complesso delle forze, e la relativa conseguente importanza, che spiegano questa scelta. Pressioni sociali, culturali, condizionamenti economici, pulsioni, affetti, ruoli sociali, rapporti di potere e interessi materiali, conflitti interpersonali, pulsioni aggressive, proiezioni, angosce, difficoltà comunicative ed altro, e occorre capire in che modo questi fattori concorrono alla formazione e/o alla rottura della coppia, nel contesto di una società che pur mettendo in evidenza questa dimensione non offre un gran che di aiuto all’espressione dei propri sentimenti di fronte alle difficoltà relazionali.

La necessità quindi di osservare i processi della coppia da diversi punti di vista, comporta, permettetemelo di dire, un problema di metodo: evitare semplicistiche interpolazioni e soprattutto non confrontare dati ricavati da metodologie, teoriche e di intervento, diverse. Trovare risposte scontate, banali e ovvie, talvolta del tutto personali, non confrontabili con un preciso o generico concetto di normalità. Credo anzi che sia proprio l'assenza di un identificabile range di normalità a condannarci al disagio.

E mi piace finire lasciandovi l’immagine evocata dal sociologo e filosofo britannico Zygmunt Bauman, che se non sbaglio, ironicamente ha paragonato la coppia ad un ponte che costruito per romantiche passeggiate, ponte che si pretende poi di utilizzare per far passare grossi camion da trasporto, ed il resto viene da se.

*  Testo estratto dall’Intervento tenuto dal dott. Alessandro La Noce ad Aosta (Sala della Regione) - nell’ambito delle Conferenze AGS - .il 7 aprile 2010.

ALESSANDRO LA NOCE, nato a Roma, laureato in Sociologia, si è formato presso l’Istituto di Sessuologia Clinica diretto da Chiara Simonelli. Dirigente dell’Associazione Nazionale Sociologi, è accreditato come docente presso prestigiosi centri di formazione e consulenza mentre come giornalista pubblicista ha all’attivo diverse collaborazioni con quotidiani, riviste scientifiche, Radio e TV.

 

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