Provvedimenti contro i maltrattamenti in famiglia: Quali garanzie per il cittadino? Stampa

Garanzia di legalità e non propaganda politica

 

Provvedimenti contro i maltrattamenti in famiglia:

Quali garanzie per il cittadino?

 

Il Decreto Legge 14.08.2013 n° 93 inasprisce la repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking). Sono previste aggravanti se le violenze avvengono  in presenza di minori e se sono rivolte a donne in stato di gravidanza e quando il delitto vien commesso dal coniuge, anche se divorziato o separato, o dal partner. La querela per il delitto di atti persecutori, che contemplano anche la possibilità dell’arresto obbligatorio, è irrevocabile.

Il decreto prevede, infatti, che in presenza di gravi indizi di violenza sulle persone o di minaccia grave e/o di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone offese, il pubblico ministero – su segnalazione della polizia giudiziaria - può richiedere al giudice di emettere un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Il decreto assicura, per i familiari e conviventi oggetto dei maltrattamenti, che le parti ritenute – provvisoriamente – offese siano costantemente informate relativamente ai procedimenti in corso.

In ossequio alla Convenzione di Instambul  non ancora entrata in vigore,  la vittima di questi delitti è ammessa al gratuito patrocinio anche se ha redditi che vanno oltre i limiti previsti abitualmente per l’accesso a questo istituto.

Infine è stato varato un piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere con interventi trasversali per prevenire il fenomeno, per potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza e per formare gli operatori.

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Questo decreto, salutato come il vero rimedio contro la violenza domestica e di genere (contro le donne), così come formulato, sarà destinato a generare ulteriori confusioni sul delicato tema della violenza contro la persona. La violenza contro le donne è sempre esistita, soprattutto dopo la fine del matriarcato, ma per questo non  può essere in nessun meno tollerata e giustificata. Chi commette questi reati deve essere condannato senza nessun sconto. Il problema, però, non si risolve inasprendo solo le pene e dando vita ad una miriade di strutture (osservatori, centri di ascolto e accoglienza, ecc.) costose e di parte – che col tempo si rivelano quasi sempre veri e propri baracconi clientelari - così come è avvenuto per le Pari Opportunità che, in tutt’Italia, hanno finito per discriminare gli uomini e per portare avanti una arcaica politica femminista, danneggiando, di fatto, la stessa donna.

La violenza contro la persona è un fenomeno complesso, difficile da interpretare e da reprimere, che si manifesta con modalità diverse e con sofisticate sfaccettature e che, soprattutto, va ben oltre la pura sfera poliziesca e giudiziaria. E’ una cultura intera che deve cambiare e che deve rimettersi in discussione: una cultura dove anche la donna ha responsabilità non marginali.

La politica – che predilige l’apparire piuttosto che l’essere – deve fare scelte coraggiose di equità sociale, di rispetto della persona, di legalità e non può solo gettare fumo negli occhi dei cittadini con il solo fine di acquisire consensi elettorali e con il tacito e compiaciuto assenso di una certa informazione che punta al solo scoop e al gossip.

Le tragedie umane hanno sempre un retroscena spesso volutamente ignorato o mistificato. Alla radice di certi reati  esiste una rete di concause le cui responsabilità vanno ricercate soprattutto nella società. Certi episodi non si giustificano in nessun modo ma nemmeno si può pensare che gli artefici siano tutte persone fuori di senno o violenti di natura: cose queste che non restano quasi mai celate prima della tragedia. Certe predisposizioni alla violenza esistono fin dall’infanzia ma spesso è la società e il contesto familiare in cui il futuro reo cresce ad alimentarle ed ampliarle. La stessa donna, talvolta, vuole convivere col proprio carnefice e ciò è sintomo che in lei esistono reali difficoltà psicologiche. Tutte le istituzioni pubbliche e private, dinnanzi a fatti inaccettabili, non possono trincerarsi dietro al non sapevo, non vedevo, non pensavo.

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C’è da sperare che il Parlamento modifichi profondamente questo decreto legge nella parte in cui le accuse di violenza familiare e di genere non sono verificate dall’autorità giudiziaria poichè è indispensabile che sia garantito a tutti il diritto al contradditorio e alla certezza della difesa, prevedendo pesanti sanzioni e risarcimenti per chi dichiara il falso. In ogni caso, è indispensabile la verifica delle accuse e non si può punire sulle illazioni. Prevenire non vuol dire togliere arbitrariamente la libertà, soprattutto in uno Stato dove i giudici non hanno responsabilità civile e dove è quasi impossibile richiamare alle proprie responsabilità civili e penali alcuni membri delle forze dell’ordine che abusano del loro potere.

Le valutazioni che seguono si riferiscono alle lacune che si riscontrano nel decreto; non vogliono giustificare in alcun modo la violenza fisica, psicologica e sessuale, ma nemmeno vogliono che si usino due pesi e due misure nell’amministrazione della giustizia.

La certezza della colpa è alla base di qualsivoglia condanna preventiva e di qualsiasi provvedimento di restrizione della libertà. Preoccupazioni queste che non sembrano essere presenti  nel decreto governativo. In questo marasma politico era importante cavalcare temi cari ad una sinistra e ad una destra “forcaioli” e non tanto quello di tutelare la persona, indipendentemente dal sesso e dalla sua collocazione sociale.

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La donna viene trattata come oggetto e non come soggetto

 

La donna di cui parla il decreto non è la donna soggetto e protagonista della società, quanto piuttosto la donna-oggetto difesa dallo Stato. Il femminicidio è la negazione della femminilità - valore altamente positivo e creativo – ed è frutto di un consumismo che predilige non la donna quanto persona ma piuttosto la donna-oggetto, facilmente acquistabile e facilmente vendibile. La vera società si basa sulla persona e non esclusivamente sulla donna antagonista dell’uomo.

Una cultura della persona

“Lo Stato si schiera senza se e senza ma dalla parte delle vittime di questo genere di violenze”, ha sottolineato Alfano nella conferenza di presentazione del decreto. “Ma la vera svolta – sostiene Giulia Bongiorno – ci sarà quando si combatterà la matrice della violenza”, cioè quando si punterà concretamente su iniziative che vanno ad incidere sulla formazione e sulla cultura degli italiani.

La cultura della persona passa per la famiglia, in primo luogo, per la scuola, per la società, per il mondo del lavoro, per i centri di aggregazione sociale e culturale, per la politica, per la religione e per le variegate ideologie esistenziali

L’informazione mediatica propone modelli comportamentali e sociali che spesso sono la negazione della persona e dei valori esistenziali in genere. Se viene meno il riferimento a valori certi e perenni  quali la sacralità della vita, la inviolabilità della libertà, la lealtà, il rispetto e l’ascolto dell’altro, la legalità, ecc....  oppure se si fa riferimento a questi valori ma non si testimoniano nella quotidianità non  sarà possibile incidere concretamente su una formazione e su una cultura della persona.

Il decreto parla di osservatori e di preparazione di operatori sociali, dimenticando che ne esistono già tanti, dei quali sicuramente troppi risultano inutili e quasi sempre di parte, che finiscono non per prevenire e contenere  la violenza, compresa quella di genere, quanto piuttosto per soddisfare ben definite esigenze clientelari, ideologiche e spesso anche discriminatorie.

 

Provvedimento puramente repressivo

Molte persone hanno criticamente evidenziano l’aspetto puramente repressivo del provvedimento che interviene a violenza domestica già avvenuta o minacciata.

Viene concesso alle forze dell’ordine, inoltre, un potere di repressione – che talvolta, poi, si rivelerà una pura violazione dei diritti umani – e viene loro riconosciuta una discrezionalità non sempre supportata da competenza e trasparenza. In tutti questi anni la nostra associazione ha assistito a pesanti interventi su presunti maltrattamenti e stalking da parte di esponenti delle forze dell’ordine che, all’insaputa del marito o convivente e del giudice, da tempo frequentavano la casa della presunta vittima non per motivi di ordine pubblico ma per piacere privato. Cito solo alcuni esempi dei tanti che l’associazione conosce.

Il comandante di una stazione dei Carabinieri ha perfino instaurato una convivenza con la signora che frequentava ancor prima delle infamanti accuse della signora contro il marito (pedofilia verso un figlio adolescente, riferita ma mai dimostrata nemmeno dal minore), “fedelmente” riportate nei verbali di indagine, omettendo di riferire, ovviamente, del suo presumibile interesse a descrivere le cose in modo da favorire la sua amante. Questo marito, poi, ha un figlio che, in questi anni,è stato indotto dai nonni materni, dalla madre e dai suoi vari amanti a ripudiare perfino il cognome paterno. In questi casi, complicati e dolorosi, come può l’ignaro cittadino difendersi?

Cosa dire poi di quei poliziotti che, di nascosto prima e pubblicamente dopo l’allontanamento del marito, “consolano” la signora con cene a casa sua? Cosa dire, inoltre, del comportamento di questi stessi poliziotti che, una volta concessi gli arresti domiciliari al marito denunciato, gli facevano “visita” anche quatto o cinque volte per notte per constatarne la presenza in casa, incuranti che lo stesso alle cinque del mattino si doveva recare al lavoro? E la Questura cosa ha fatto per questo abuso di cui era stata allertata? Nulla!

I maltrattamenti devono essere – sempre - verificati dal magistrato e solo dopo, su suo mandato, le forze dell’ordine provvederanno ad allontanare la persona riconosciuta violenta dall’ambito familiare. Il giudice non può assecondare, senza riscontro, le proposte delle forze dell’ordine.

 

Denuncia anonima alle Forze dell’ordine

La denuncia anonima, vietata dal codice di procedura penale (art.333), senza nessun oggettivo riscontro e contraddittorio, è sufficiente per allontanare una persona dalla propria famiglia e, di fatto, anche per arrestarlo.

Se l’amante di tua moglie telefona alla Polizia per accusarti di stalking e di violenza verso i tuoi familiari, anche se separato, ti inguaia e rischi grosso, soprattutto se non hai soldi per pagarti un buon avvocato per difenderti, mentre l’avvocato della moglie e dei figli è pagato dallo Stato, cioè da noi cittadini.

In definitiva si parte dal pregiudizio che l’uomo sia sempre un violento e che la sua parola non abbia alcun valore, mentre quella della moglie e degli anonimi (spesso suoi amici) non necessita nemmeno del pur minimo riscontro. Il contraddittorio è ritenuto inutile.

Questo decreto legge è stato fatto per tutelare la donna e dei minori ma, in definitiva, finisce prevalentemente per denigrare e danneggiare il marito, il compagno e il padre. La stragrande maggioranza delle denunce fatte nelle separazioni conflittuali risultano false col passare del tempo. Chi risarcirà l’uomo privato del suo diritto alla genitorialità e all’affettività. Sì, perché l’affetto è un sentimento che va rispettato e non può essere rigettato dalla sera alla mattina, come pure la genitorialità è una opportunità paritetica tra padre e madre.

Chi fa una denuncia se ne deve assumere la responsabilità. Non sono le denunce anonime a tutelare la donna e garantire la giustizia, ma, come sostiene la matrimonialista Bernardini de Pace, “ci vorrebbero meno difficoltà burocratiche, più responsabilità nei medici, maggiore preparazione psicologica ma soprattutto ci vorrebbero dei giudici rapidi efficienti. Nell’affrontare queste vicende c’è spesso uno scarso senso di responsabilità da parte di chi dovrebbe rappresentare lo stato e invece agisce in modo superficiale o senza gli adeguati mezzi”.

“ Chiunque – scrive il giornalista Graldi sul Messaggero - può chiamare la polizia e, sicuro che verrà protetto il suo anonimato, sparare una denuncia contro un marito, magari dell’appartamento accanto, che sta litigando con la moglie. Un diverbio dove volano i piatti insieme con le parole grosse. Si prende il telefono, si chiama il commissariato ed ecco arrivare la volante con il potere di far sloggiare immantinente l’uomo giudicato pericoloso: fuori di casa per quanto tempo la legge non lo stabilisce, la legge dice solo che la polizia avverte il pubblico ministero il quale avverte il giudice per le indagini preliminari”.

 

Irrevocabilità della querela

La querela di parte non può essere rimessa, come spesso avviene e come prevedeva la legge allora vigente, soprattutto nelle separazioni poiché l’origine delle querele è da ricercarsi nella volontà di punire l’altro coniuge – supportata anche da qualche avvocato senza scrupoli - oppure ad avere un affido esclusivo dei figli oppure maggiori vantaggi economici dalla controparte. Talvolta la denuncia viene fatta su fatti inesistenti e si accusa falsamente l’ex partner magari per coprire i propri tradimenti in base al principio che accusare sia meglio che difendersi.

Nelle separazioni, le conflittualità iniziali si possono smorzare, i figli crescono e possono dire la loro, i rapporti genitoriali col tempo prevalgono sulle rivalse coniugali e così la querela, visti i lunghi tempi della giustizia italiana, può essere rimessa consensualmente. Ciò ora non sarà più possibile e la volontà della donna non avrà alcun valore, nemmeno dinnanzi alle denunce anonime.

I governanti sono portati a ritenere che il “maltrattante” ricatti e minacci sempre e continuamente la ex-moglie-compagna e che il diniego alla remissione tuteli la donna. Non è superfluo sottolineare nuovamente che il denunciato  spesso non ha nemmeno i soldi per difendersi.

 

Troppa discrezionalità nell’acquisizione di testimonianze

C’è poi tanta discrezionalità nell’acquisizione di testimonianze con modalità protette quando la vittima è una persona minorenne o maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità senza prevedere, in definitiva, che tutti gli adulti possono avere una personalità vulnerabile, possono avere nascoste problematiche psicologiche di persecuzione o di vittimismo in genere e che,  soprattutto nelle separazioni conflittuali,  i minori possono essere strumentalizzati dalla presunta vittima dei maltrattamenti e dello stalking. La richiesta di audizioni protette vengono richieste dalla vittima o dal suo legale.

La legge dovrebbe prevedere tutti i casi in cui le audizioni  sono ammesse e le modalità attuative, permettendo, però, al legale di controparte di poterne prendere visione perché ognuno ha il diritto a difendersi. Il principio che le vittime, donna e figli, dicano sempre la verità è stato troppe volte clamorosamente smentito.

Il presunto carnefice, talvolta, è proprio colui che aveva subito e subisce pesanti “maltrattamenti”. La violenza da parte della donna non viene mai presa in considerazione e si punta sempre l’indice contro l’uomo. Quanti mariti, compagni, padri, fidanzati, sono stati ingiustamente accusati e perseguitati dalla giustizia, su istigazione della moglie e dei figli. Tutto ciò non trova nessun accenno nel decreto poiché è convinzione dei nostri governanti che la violenza familiare e la persecuzione non possa avere il colore rosa.

Quanti padri non vedono i figli, subiscono quotidianamente ingiustizie nella indifferenza delle istituzioni e della magistratura, compiono atti contro se stessi e nessuno parla di loro. Se uno – disperato - si abbandona a gesti assurdi, si punta il dito mediatico contro di lui e si addita come un mostro. La disperazione ha sempre una causa e la vittima spesso si rende, consapevolmente o inconsciamente, carnefice di se stessa.

 

Garanzie per l’accusato

Gli avvocati penalisti criticano il decreto perché si tratta prevalentemente di misure demagogiche che non tengono affatto conto del fatto che spesso esistono “accuse strumentali sulla base delle quali domani si andrà direttamente in galera senza alcun filtro preliminare: uno scenario preoccupante che se accontenta le istanze dei forcaioli equamente distribuiti tra maggioranza e opposizione certamente imbarbarisce il sistema”.

“E’ vero – ammette l’avvocato matrimonialista Antonella Tomassini – ho assistito donne che hanno accusato falsamente i propri mariti. Personalmente, però, mi sento più di stare dalla parte della donna che rischia di essere uccisa dal marito anziché del marito che finisce ingiustamente in galera e che poi potrà essere tirato fuori da un bravo avvocato”.  E se uno l’avvocato di grido  non può permetterselo?

E’- come giustifica anche la matrimonialista romana - un provvedimento ad effetto, incurante dei diritti dell’uomo-marito-compagno-padre ed indifferente all’ingiusta detenzione.

Il decreto non prevede i tempi del provvedimento di allontanamento o dell’arresto cautelare, la obbligatorietà delle prove, la eccessiva discrezionalità lasciata alle forze dell’ordine e ai giudici, la obbligatorietà di un inventario e una documentazione video dei beni presenti nella casa familiare al  momento dell’allontanamento, beni talvolta esclusivamente suoi o anche suoi che l’allontanato potrebbe non trovare più al suo rientro in casa, come troppo spesso avviene. C’è chi ha venduto opere d’arte del marito per comprarsi casa ed andarci a vivere col nuovo compagno.

L’ingiustizia e le prevaricazioni poliziesche non giovano alla tutela della donna e nemmeno rispettano i diritti fondamentali dei figli poiché - per una denuncia della madre o per una soffiata di anonimi - non si può negare loro il diritto alla serenità, garantita solo dalla bigenitorialità.

Il provvedimento governativo, infine, non prevede nessun spazio per l’uomo maltrattante. A lui  non è concessa nessuna possibilità di redenzione e la sua esistenza sarà sempre l’esistenza di un delinquente a vita.

C’è da sperare che nelle aule parlamentari, durante il dibattito di conversione del decreto in legge, torni a prevalere la legalità, il buon senso senza stratagemmi e senza condizionamenti emotivi.

 

Ubaldo Valentini

 

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