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Assegno divorzile all’ex moglie


Avv. Francesco Valentini

La Cassazione interviene nuovamente sulla controversa questione dell’assegno divorzile all’ex moglie. Non sempre la concessione di tale risorsa economica a spese dell’ex marito risponde a quanto prevede la legge. Da qui i continui interventi per meglio chiarire a chi spetta o meno detto assegno. Peccato che il parere degli ermellini non trovi spazio nelle aule dei tribunali per stereotipi non più tollerabili, per la non puntuale conoscenza della giurisprudenza e per una diffusa ideologia di genere.


Non dovuto se non quantifica i redditi da lavoro saltuario e/o a nero

(Cassazione, I civ., ordinanza n. 5603/2020 - dep.28.2.2020)

La mancanza di prove sull’effettivo guadagno della ex-moglie, in possesso di capacità per produrre reddito e in presenza del suo mancato contributo alla formazione del patrimonio familiare, fa venir meno il suo diritto all’assegno divorzile, il quale ha una “natura perequativa, compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di  solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare”.

Ricorda la Cassazione che per determinare sia il diritto all’assegno divorzile e, per analogia, si potrebbe supporre anche per l’assegno alla moglie nella separazione nonché, se spettante, la sua entità, il quantum, non ci si può basare solo sulla dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio della richiedente (non viene quasi mai concesso all’ex marito) ma si deve predisporre la comparazione dei redditi dei coniugi, il contributo dato dal coniuge più debole alla realizzazione del patrimonio familiare, la durata del matrimonio, l’idoneità al lavoro, l’età anagrafica del coniuge (Cass. Sez. U., 11/07/2018, n. 18287; Cass., 23/01/19; n. 1882) ed avere la prova certa dell’effettivo reddito derivante da attività saltuarie, momentanee, irregolari e/o in nero “con l'attività svolta, che comunque - in quanto in concreto accertata — evidenzia una capacità lavorativa e reddituale” della richiedente.

(da altalex.com)L’assegno divorzile, secondo la Cassazione, viene meno se manca il preventivo ed obbligatorio accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente e se non si accerta l’impossibilità di procurarseli per motivi oggettivi. Chiarezza, dunque, su questa delicata e controversa maniera troppo spesso trattata, sull’onda emozionale di genere, in modo sbrigativo, alimentando nella maggior parte dei casi una forte conflittualità per l’ingiustizia subita dall’obbligato, le cui asserzioni sul lavoro a nero dell’ex moglie non vengono sistematicamente prese in considerazione sia dal giudice che dalla GdF e dalla Corte dei Conti - usufruendo la ex quasi sempre anche del patrocinio a spese dello Stato - che dovrebbero accertare anche se siamo in  presenza di danno erariale ed evasione fiscale.

Per constatare l’autonomia economica del richiedente l’assegno divorzile, la Corte di Cassazione ha indicato quattro parametri o "indici" per stabilire quando il coniuge sia autosufficiente: a. possesso di redditi di qualsiasi specie; b. possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e/o immobiliari; c. capacità e effettive possibilità di lavoro personale dell'ex.; d. stabile disponibilità di una casa di abitazione (Cassazione, I Civ., sent. n. 11504/2017 del 10.5.2017)


Condizioni per aver diritto all’assegno divorzile e sua riduzione

L’assegno divorzile può essere previsto solo dopo l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi di sussistenza e della impossibilità a procurarseli per ragioni oggettive. “Infatti - scrivono gli ermellini - se la solidarietà post coniugale si fonda sui principi di autodeterminazione e autoresponsabilità, non si può che attribuire rilevanza alle potenzialità professionali e reddituali personali, che l'ex coniuge è chiamato a valorizzare con una condotta attiva facendosi carico delle scelte compiute e della propria responsabilità individuale, piuttosto che al contegno, deresponsabilizzante e attendista, di chi di limiti ad aspettare opportunità di lavoro, riversando sul coniuge più abbiente, l'esito della fine della vita matrimoniale" (Cassazione, I Civ. ordinanza n. 3661/2020 - dep. il 13.02.2020).

(da money.it)Si ribadisce che l'assegno divorzile in favore della ex moglie può essere concesso non a seguito di un sommario giudizio comparativo delle condizioni personali ed economiche delle parti, bensì solo dopo aver fatto accertamenti sull’esistenza dei presupposti: contributo fornito dalla richiedente alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, durata del matrimonio nonché dell’età dell'avente diritto.

Dopo la separazione, chi richiede l’assegno divorzile deve fornire la prova del fatto che si sia attivato nella ricerca di un'occupazione senza conseguire risultati positivi. Se permangono le ragioni della concessione, l’entità verrà dimezzata e, comunque, ridotta rispetto all’assegno post-separazione, proprio per l’incertezza dovuta al fatto che il richiedente si sia attivato o meno per garantirsi la propria autonomia economica. (Cassazione, I Civ., ordinanza n. 3662/2020, dep. 13.02.2020)

 

Perdura la “illecita” prassi di decidere in base al “tenore di vita” goduti in costanza di matrimonio

Il principio di garantire all’ex moglie un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio è stato superato dalla Corte suprema (Cass., I Civ. n. 11504/17) che ha affermato il principio del superamento dell’assegno divorzile come garanzia del tenore di vita matrimoniale (come prevedeva la L. n. 898/1970 e L. n. 74/1987), introducendo nuovi criteri valutativi per la valutazione dell’assegno divorzile, quali la sua funzione assistenziale e la possibilità dell’indipendenza economica dell’ex moglie, che ne faceva richiesta in considerazione anche del fatto che la stessa non prestava più un’attività regolare in famiglia, come avveniva prima della separazione.

(da altalex.com)Negli anni successivi ci sono stati “aggiustamenti” per rendere maggiormente operativa ed equa la rivoluzionaria sentenza della Cassazione. Resta intoccabile, però, il principio che l’ex coniuge, dopo il divorzio, se non ha reali impedimenti dovuti allo stato di salute e all’avanzata età, deve provvedere al proprio mantenimento, soprattutto se il suo contributo alla gestione della famiglia è stato marginale o è mancato addirittura.

Il “nuovo” principio elaborato dalla giurisprudenza, dopo tre anni, trova ancora difficile applicazione nelle sentenze di divorzio di troppi tribunali italiani che, di fatto, con equivoci ed iniqui provvedimenti, prediligono ancora l’intoccabilità dell’ex moglie. E’ un vero e proprio abuso istituzionale perché il divorzio, se vogliamo essere pratici, penalizza sempre l’uomo sia nel mantenimento dei figli che dell’ex moglie, protetta dalle troppe organizzazioni di genere, che vedono l’uomo sempre come nemico della donna. L’allineamento delle Pari-opportunità (che incomprensibilmente escludono l’uomo), finanziate con soldi pubblici, è giuridicamente inaccettabile.


Cosa fare per far valere i propri diritti

Quando i tribunali con troppa facilità ignorano le ordinanze e/o sentenze della Cassazione sarà compito del legale far valere le ragioni del proprio assistito, anche se ciò comporterà la ferma contestazione dei giudici che non vogliono ascoltare le motivate di chi è obbligato a mantenere la ex, che, di fatto, continua ad avere un tenore di vita non più spettante dopo la separazione.

Se il legale non è disponibile a soddisfare le richieste dell’assistito non resta, a quest’ultimo, che revocare il mandato e segnalare il suo operato all’ordine forense di appartenenza.

 

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