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I minori tolti alla madre e ad ambedue i genitori

quando vivono in un contesto familiare violento



Il tema delle violenze nelle nuove convivenze della madre presso la quale sono collocati i figli minori o il perdurare della violenza all’interno della famiglia non sempre vengono presi in considerazione, soprattutto quando a sollevare il problema è il padre. Qualcosa, però, sta cambiando. Cambia la sensibilità di un numero sempre crescente di giudici che approfondiscono il tema emerso durante l’affido dei figli e cambia la professionalità dei servizi sociali che cercano di fornire indicazioni reali sullo stato dei minori e non temono di andare contro corrente e, in base ai dati in loro conoscenza, di riferire fatti oggettivi e porre solo i minori al centro dell’indagine.

Tolti alla madre i figli per il compagno violento

Cassazione, I Civile, sentenza n. 3060/2022

Il tema delle violenze nelle nuove convivenze della madre presso la quale sono collocati i figli minori o il perdurare della violenza all’interno della famiglia non sempre vengono presi in considerazione quando a sollevare il problema è il padre. Qualcosa sta cambiando. La Cassazione è intervenuta, su ricorso della madre che non accettava le decisioni della Corte di appello, sentenziando che i figli non possono assistere alle continue liti e violenze tra la madre e il nuovo compagno e che, se la madre non è in grado di sottrarli a questo devastante clima e di denunciare le violenze subite dal nuovo compagno, i minori vengono collocati presso il padre.

Nella relazione dei servizi sociali era stato riportato con chiarezza che i figli terrorizzati assistevano da tempo alle violenze subite dalla madre da parte del suo nuovo compagno e i piccoli (6 e 8 anni) erano sereni quando vivevano con il padre circondati dall’affetto dei nonni, degli zii e dei cugini che garantivano loro un ambiente affettuoso e stabile. Erano curati sia nell’igiene che nell’abbigliamento ed inoltre la nonna, quando il padre era impegnato nel lavoro, permetteva loro di seguire gli allenamenti di calcio e la danza.

I servizi sociali aveva invitato ripetutamente la madre a denunciare le aggressioni subite da parte del suo nuovo compagno ma solo alla fine si è deciso a farlo.

Il provvedimento del Tribunale, confermato dalla Cassazione, è stato possibile perché i servizi sociali e i giudici hanno posto al primo posto il superiore interesse dei minori e si sono pronunciati in base a questo principio e non condizionati dalle suggestioni di genere, riconoscendo il ruolo positivo del padre nell’educare e crescere i minori che potranno vedere la madre con modalità protetta.

La madre decade dalla responsabilità genitoriale

Cassazione, I Civile, sentenza n. 3546/2022

La Corte di appello di Roma aveva dichiarato adottabile un minore che aveva assistito "per anni a reiterati maltrattamenti fisici all'interno dell'abitazione familiare, agiti contro la madre dal padre, senza che quest'ultimo manifestasse alcuna concreta volontà di resipiscenza e di recupero, avendo continuato, anche dopo il collocamento del figlio in casa famiglia a fare uso di alcolici, a picchiare la compagna e a sottrarsi a qualsiasi percorso presso il Serd e i servizi sociali".

La madre – è scritto nella sentenza degli Ermellini- non aveva fatto nulla per tutelare il figlio affinché non "vivesse a lungo in un clima violento, senza compiere alcuna seria iniziativa per offrirgli una vita accettabile". Inoltre, la genitrice "aveva chiesto l'intervento delle istituzioni solo quando si era trovata a non avere alternative e, puntualmente, ogni volta, era tornata dal compagno, portando con sé il bambino, che ha iniziato a vivere serenamente solo quando è stato inserito, da solo, in una casa famiglia, mentre la madre è tornata dal suo compagno violento, mettendo, nei fatti, la relazione di coppia al di sopra degli interessi del bambino".

Il minore, nei momenti di violenza fisica del padre sulla madre, si rifugiava dallo zio paterno che viveva nell’appartamento accanto, il quale, però, non ha mai chiesto la collocazione del nipote presso di sé.

La madre ricorre in Cassazione che, però, rigetta il ricorso e conferma il decreto della Corte di appello.

 

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