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Psicoterapia e mediazione familiare

non possono essere imposte dal giudice


avv. stabilito Francesco Valentini *

 

Parole chiare su un errato modus operandi dei tribunali e dei servizi sociali che “consigliano” e, in taluni casi, addirittura esplicitamente impongono ad un genitore, quasi sempre il non collocatario, la mediazione familiare e/o il percorso di psicoterapia come conditio sine qua non per vedere i figli.

Queste richieste erano motivate a seguito delle accuse della parte vincente (quasi sempre la madre) contro l’altro genitore per mettere in discussione le sue capacità genitoriali. La mediazione, invece, doveva servire per stemperare il clima di tensione esistente tra i due genitori quasi sempre a causa di disposizioni di affidamento dei figli e di determinazione dell’assegno di mantenimento non eque. La conflittualità dei genitori è sempre presente nelle relazioni dei servizi sociali e nelle disposizioni del tribunale, soprattutto quelle emesse durante l’udienza presidenziale.

Nella fase iniziale della separazione giudiziale - la stessa cosa dicasi per l’affido dei figli dopo la fine di una convivenza - la dialettica tra i due genitori esiste è vero e non potrebbe essere diversamente visto che il genitore non affidatario e non collocatario è e/o si sente estromesso dalla vita dei figli.

La conflittualità è la negazione dei bisogni effettivi ed affettivi dei propri figli, la negazione della bigenitorialità, cioè la negazione del diritto dei propri figli ad avere un padre e una madre. Contrariamente a quanto talvolta si afferma in alcuni tribunali, la conflittualità è provocata non da ambedue i genitori – come spesso avviene – ma da un solo, quello sicuro della collocazione dei figli presso di sé e che considera la presenza dell’altro genitore ingombrante per la realizzazione dei propri progetti affettivi e relazionali per i quali ha rotto la convivenza. Questo è un atteggiamento devastante per i figli e per il genitore non collocatario e troppo spesso sfocia nella PAS (sindrome da alienazione parentale) che induce il minore a rifiutare il genitore perdente, il non collocatario.

I tribunali e i servizi sociali, per i quali esiste la conflittualità tra i genitori anche quando uno di loro è vittima di questo conflitto, propongono come rimedio la mediazione familiare per la coppia e la psicoterapia per il genitore non collocatario e solo eccezionalmente per ambedue. Nelle carte spesso si parla di consigli, ma in realtà sono veri e propri  vincoli che rinnegano i diritti personali e che se un genitore rifiuta, come suo sacrosanto diritto, viene penalizzato.

La Corte Suprema, 1° sez. civile,  con sentenza n. 13506 del 1 luglio 2015, ha definito  queste imposizioni (o condizionamenti psicologici) lesive del diritto alla libertà.

 

Ciò nonostante alcuni tribunali continuano ad “imporre” la psicoterapia per preparare il genitore ad essere equilibrato, rimuovendo i condizionamenti subiti, e “pretendono” la partecipazione a percorsi di sostegno alla genitorialità (mediazione familiare) per contenere la conflittualità.

 

Ecco, invece, cosa sentenziano i supremi giudici.

“La prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme è lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l'imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari.

Tale prescrizione - continua la sentenza della Suprema Corte - pur volendo ritenere che non imponga un vero obbligo a carico delle parti, comunque le condiziona ad effettuare un percorso psicoterapeutico individuale e di coppia confliggendo così con l'articolo 32 Cost.. .... la prescrizione di un percorso psicoterapeutico individuale e di sostegno alla genitorialità da seguire in coppia esula dai poteri del giudice investito della controversia sull'affidamento dei minori anche se viene disposta con la finalità del superamento di una condizione, rilevata dal CTU, di immaturità della coppia genitoriale che impedisce un reciproco rispetto dei rispettivi ruoli. Mentre infatti la previsione del mandato conferito al Servizio sociale resta collegata alla possibilità di adottare e modificare i provvedimenti che concernono il minore, la prescrizione di un percorso terapeutico ai genitori è connotata da una finalità estranea al giudizio quale quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che non può che rimanere affidata al loro diritto di auto-determinazione”.

Queste prescrizioni, spesso umilianti e proposte da persone con inadeguati titoli professionali, sono quasi sempre la vera ragione dell’insorgere di criticità nella coppia genitoriale che perdurano negli anni e che procurano seri danni nella psiche dei bambini.

La Cassazione, nel ribadire l’osservanza dei diritti costituzionali e la sfera di competenza dei giudici, si fa interprete di un diffuso malessere tra i minori, privati ingiustamente di un genitore, e tra i genitori ingiustamente estromessi dalla vita dei figli. Questi “abusi” non devono essere tollerati dal genitore che tiene al benessere dei figli e che non rinuncia al suo diritto-dovere alla genitorialità e spetta a lui far valere in tutte le sedi i diritti inalienabili dei propri figli e suoi, pretendendo legalità e trasparenza nelle istituzioni chiamate a tutelare i minori.

Nel caso in cui il tribunale e i servizi sociali continuassero a prospettare/imporre questi provvedimenti il genitore danneggiato dovrà prendere l’iniziativa di chiedere la immediata “revoca della prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psico-terapeutico individuale oltre a un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme” e se la loro richiesta rimarrà inascoltata, come extrema ratio, denunciare i servizi sociali ed il giudice inadempienti.

* del foro di Perugia

 

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