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Riflessioni a margine della tragica vicenda di Recanati


La madre viene sempre giustificata

anche quando è un pericolo per i propri figli


Ospitiamo un interessante contributo di un avvocato marchigiano esperto di tematiche socio-psicologiche minorili. Il suo intervento “vuole essere solo il contributo costruttivo di un padre che lotta per vedere con regolarità i propri figli” e che mette in evidenza le profonde contraddizioni di un sistema giudiziario italiano. *

Taluni giorni fa è capitato un evento tragico dalle mie parti - chi scrive è un padre marchigiano - cui tutti i telegiornali hanno dato il dovuto risalto: una madre, pur di non far vedere il proprio figlio all’ex compagno, l’ha ucciso con un coltello e si è poi suicidata. Una notizia tragica che ha lasciato tutti sgomenti e increduli. Già un anno prima, sempre da queste parti, è accaduto un evento simile: una mamma alla quale l’affidamento del figlio stava per essere cambiato in favore del padre, ha ucciso il proprio figlio.

Ma perché, perché succedono queste cose? E’ una domanda che si deve alzare con voce vigorosa e che non può essere liquidata come l’atto isolato di una squilibrata. La cosa che indigna è che quando succedono questi fatti la tendenza è quella di non colpevolizzare nessuno e meno che mai la madre, poiché il coro che si alza è che la donna non è stata compresa e non sono stati colti i segni di un disagio psichico, ben celato da sorrisi di circostanza o da una ostentata serenità esteriore.

Al padre, considerato quasi un lontano parente, uno zio acquisito, un inutile orpello, nessun pensiero. Ma se tali comportamenti fossero stati realizzati dal marito o padre ecco che si parla puntualmente di violenza femminicida, ecco che parte la grancassa mediatica che etichetta come mostri i mariti e come bambinoni incapaci di ruolo educativo i padri.

Perché, perché questi due pesi e due misure? Perché l’uomo deve sempre dimostrare di essere un padre perfetto pur di vedersi affidati i propri bambini nei casi in cui la possessività e la gelosia della madre è capace di atti inimmaginabili.

La questione  - è evidente - non si pone in relazione ai fatti che ho narrato, che rappresentano eventi eccezionali, ma si pone in tutti quei casi in cui il padre è ostacolato nei diritti di visita della prole dalla ex moglie, che si fa forte del rapporto privilegiato e continuo che ha col figlio per allontanare, denigrare, sminuire o offendere la figura paterna, una situazione che può essere macroscopica ma che può essere anche più sottile e strisciante e che magari può manifestarsi anche in coppie formalmente sposate e conviventi. Ciò che successo è solo la punta di iceberg, mentre il grosso del ghiaccio giace sotto il pelo dell’acqua, invisibile ai più e all’opinione comune.

 

Il tema è quello dell’alienazione genitoriale che se a livello teorico rimane controverso perché è il naturale campo di battaglia di contrapposizioni ideologiche o guerre di religione, è invece un problema concreto se si scende dal piedistallo delle idee e delle chiacchiere a quello pratico come ben sanno gli operatori del settore come giudici minorili, assistenti sociali, psicologici, etc. Io chiaramente non voglio affrontare questo tema poiché non ho le competenze tecniche e scientifiche per farlo e perché il mio vuole essere solo il contributo costruttivo di un padre che lotta per vedere con regolarità i propri figli. Uno dei tanti benefici che la moderna tecnologia ci ha regalato è che chi vuole può approfondire l’argomento cercando in rete, visto che ci sono tanti siti che ne parlano con competenza e completezza.

 

Eppure in Italia c’è una legge che tutela questo fondamentale diritto che non tutela - si badi – l’interesse esclusivo e quasi egoistico del padre, ma il fondamentale diritto dei figli stessi a vedersi garantite entrambe le figure genitoriali: è la legge 8.02.2006 n. 54. Anzi, proprio in questi giorni la legge ha compiuto il suo decimo anniversario, un periodo di tempo adeguatamente congruo durante il quale la legge, che all’inizio è apparsa come una sorta di ufo, è stata recepita e metabolizzata dai vari addetti ai lavori. I tempi sono quindi maturi per un primo serio bilancio. Il punto in questione resta in fondo il solito: si può parlare di affidamento condiviso se il padre vede i propri figli uno e due pomeriggi infrasettimanali e il sabato o la domenica, come si faceva già da tempo. Lo spirito della legge è rispettato? La effettiva tutela dei figli a vedersi riconosciute entrambe le figure genitoriali è garantita? Forse in questi dieci anni si è realizzata con la compiacenza di tutti una “truffa delle etichette”, buona solo a pulirsi la coscienza, come in chiesa ci si fa la comunione e poi tutto torna come prima. Nell’applicazione che ne stata fatta, questa legge somiglia tanto a un regalo da quattro soldi che compriamo in un negozio di cinesi e lo impacchettiamo con la più bella carta da regalo che riusciamo a trovare nella migliore cartoleria della città.

Sono queste in fondo le ragioni perché taluni studiosi parlano di affidamento formalmente condiviso e affidamento materialmente condiviso e ciò spiega anche perché nel Parlamento italiano giace un disegno di legge sulla riforma dell’affidamento che metta precisi paletti temporali (oltre ad un disegno di introduzione del reato di alienazione genitoriale presentato, come saprete, da Michelle Hunzicher e Giulia Bongiorno), così come analoga raccomandazione provenga dal Parlamento dell’UE.

Se la madre (ma il discorso vale per qualunque genitore per chiare esigenze di par conditio) non si dimostra capace di garantire una pur minima condivisione nel ruolo genitoriale, non solo si può cambiare, ma bisogna cambiare. È un passaggio obbligato che bisogna compiere, sempre che l’altro genitore sia capace, idoneo e ben consapevole del ruolo che andrà ad assumere con tutti i pesi e le responsabilità che ciò comporta. Quest’ultimo punto, anche se può esserlo, non è scontato, perché non tutti i padri magari possono avvertire questa necessità per esigenze legate al lavoro, alla volontà di rifarsi una propria vita o anche per disinteresse stesso. Mai quei padri che lottano per i propri figli devono essere tutelati, non possono essere tacciati come rompiscatole, violenti e psicotici. In questo senso la perizia che i giudici dispongono deve servire tanto ad accertare la presunta alienazione perpetrata da un genitore, quanto l’idoneità educativa e genitoriale dell’altro.

Qui si tocca in fondo il cuore del diritto del diritto di famiglia, una materia che più di qualunque altra in questi anni è cambiata in profondità. Chi mastica il diritto sa che nell’ambito del diritto civile argomenti come la proprietà, il contratto, la responsabilità trovano la loro origine nel diritto antico e tutti sanno che l’antica Roma viene universalmente definita come la culla del diritto. Tutto vero tranne che per il diritto di famiglia, che a partire da un’epoca relativamente recente, è stato rivoltato come un calzino a partire dall’abolizione della potestà maritale e della dote, l’introduzione del divorzio fino agli ultimi recenti provvedimenti che hanno agevolato la fine del rapporto matrimoniale.

Se il rapporto tra i sessi è divenuto oggi maturo e paritario, non lo è ancora il rapporto con i figli in cui incrostazioni mentali e resistenze ideologiche rischiano di farci rimanere in mezzo al guado, pur con una legge che formalmente garantisce eguali diritti. La tutela incondizionata della maternità fino al limite stesso della impunità è ancora forte e inattaccabile al punto che forse siamo davanti più ancora ad un dogma che ad un principio di sano buon senso. Non è forse un caso che tanti dogmi proclamati dalla religione cattolica (e non direttamente dalle sacre scritture) si riferiscano a quella figura che per l’eccellenza nel corso dei secoli ha incarnato la donna come la madre di Gesù Cristo, come il dogma dell’immacolata concezione o l’assunzione della Madonna in cielo.

Ed è senz’altro buffo pensare che questa mancata paritarietà tra i sessi si verifichi quando proprio in questi giorni sta per crollare forse l’ultimo tabù del diritto di famiglia, quello delle unioni civili omosessuali, su cui tutti in Parlamento sono praticamente d’accordo a prescindere dalla fine che farà la stepchild adoption.

In bocca al lupo a tutti i padri che lottano per i propri figli!

 

* Chi vuole intervenire nel dibattito o rivolgere domande all’autore dell’articolo può scrivere a Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. o telefonare al 347.6504095 e sarete richiamati.

 

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