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Le comunità minorili terapeutiche umbre.

Le responsabilità delle istituzioni pubbliche

Tagliate le ali ai minori

per non farli tornare a volare!

di Ubaldo Valentini*

 

Sconcerto ha suscitato la trasmissione televisiva di Rai 3 “Chi l’ha visto” del 22.6.2016 nel corso della quale si è parlato a lungo di una comunità per minori umbra e sono state riportate alla ribalta inquietanti scomparse di minori in difficoltà, di cui una ritrovata morta per overdose all’Ospedale Forlanini di Roma. Un’altra bambina di quattrodici anni scompare dalla stessa comunità, dopo altri due tentativi di fuga, nel 2003 e di lei non si è più saputo nulla. La magistratura archivia il caso come fuga volontaria: forse in base alle dichiarazioni dei dirigenti e professionisti della comunità. I dirigenti del centro non hanno mai chiamato la famiglia di origine dei minori scomparsi!

Una ex-dipendente - che non vi lavora più dal 2011 - ha messo in evidenza come la comunità - che anni or sono percepiva dalle istituzioni pubbliche oltre duecento euro al giorno per ogni minore accolto e tale somma oggi sarà sicuramente ben più consistente – disattendeva ai programmi “terapeutici” sbandierati per il recupero dei minori, facendo loro superare le gravi criticità esistenziali e per il loro inserimento nel mondo del lavoro ed ha denunciato l’inesistenza dei controlli delle istituzioni proposte alla vigilanza.

Ogni visita-ispezione non avveniva a sorpresa ma era annunciata con molto anticipo, come attesta la ex-dipendente e come la nostra esperienza ventennale ci induce a confermare che così avviene, nei pochi casi in cui le ispezioni vengono fatte da strutture terze. Di alcuni minori non si sa più nulla da tredici anni dopo la loro scomparsa.

La comunità è sorta venti anni fa per iniziativa di due coniugi con l’obiettivo di realizzare una realtà capace di soccorrere, assistere, curare e prevenire le devianze e le sofferenze minorili. Per loro quel progetto, allora, era insieme una sfida ed un sogno. “Ora il sogno è una realtà – spiegano i coniugi che di fatto gestiscono la cooperativa sociale come una attività imprenditoriale privata -, ma resta sempre la sfida. Quella di far uscir fuori da atroci sofferenze questi ragazzi. Ridare loro le ali per farli tornare a volare. A vivere”.

La comunità – che forse gestisce anche altri centri, come si potrebbe intuire dal web - accoglie minori da tutto il territorio nazionale, inseriti con provvedimento del Tribunale per i Minorenni o dai Servizi Sociali degli Enti territorialmente competenti.

A maggio la presidente delle regione Umbria Catiuscia Marini, accompagnata dalla Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza dell’Umbria, Maria Pia Serlupini, ha fatto visita alla comunità e si è soffermata con educatori ed ospiti. “Stando con voi, anche se per poco tempo – ha detto la presidente Marini salutando le ragazze ed i ragazzi ospiti della comunità – ho avuto modo di avvertire con forza la grande e straordinaria carica affettiva che vi circonda e vi accompagna nel vostro difficile, ma importante cammino verso il superamento di una condizione di dolore e sofferenza. Qui ho trovato qualità, serietà e responsabilità sia da parte degli operatori che vi lavorano, che dei tanti volontari che prestano gratuitamente la loro opera al servizio di questa comunità. Questa è stata per me una visita importante anche perché mi consente di conoscere da vicino e meglio le problematicità di queste realtà, e ciò mi aiuta nelle decisioni che come Regione – ha concluso la presidente - dovremo assumere per la regolamentazione dell’attività di queste strutture”.

E’ desolante sapere che le ispezioni di controllo (che, ripetiamo, sarebbero dovute essere severe e avvenire a sorpresa), da parte dei servizi sociali anche da fuori regione, erano annunciate con una settimana di anticipo. Non possiamo non chiedere alla Corte dei Conti dell’Umbria di predisporre una ispezione sull’erogazione dei soldi pubblici alle numerosissime comunità minorili – e non solo - sparse sul territorio regionale.

La criticità di strutture - gestite da tante cooperative sociali, da privati che aprono case famiglie per il recupero dei minori e quant’altro o da società di dubbio volontariato che celano interessi economici di alcuni - è noto da tanto tempo. Non si può sottacere che alcuni giovani, una volta usciti da queste strutture, si sono tolti la vita. Se a ciò si aggiungono i disagi di coloro che all’interno di queste comunità non hanno trovato il dovuto supporto per superare il loro disagio esistenziale e coloro che sono “scappati” da questi centri e di loro non si sa più nulla, è inderogabile un immediato intervento della politica e della società civile.

Cosa dire, poi, della proliferazione in Umbria di comunità “ideologiche” che sfruttano l’onda emotiva che suscitano le violenze sulle donne e i minori disagiati per mettere in piedi centri di accoglienza che usufruiscono di finanziamenti pubblici – talvolta non dovuti – e sui quali nessuno controlla?

I protocolli d’intesa per gestire queste strutture, possibilmente a livello regionale, sono indispensabili e là dove esistono si deve pretenderne il rispetto. I controlli non possono essere pianificati e devono essere fatti da personale altamente specializzato, forti del fatto che il controllore e il controllato hanno ruoli diversi.

La nostra associazione da anni chiede apertamente che si stabiliscano con la massima urgenza severi controlli sulla gestione dei tantissimi centri e/o cooperative sociali operanti in Umbria per verificarne la specifica idoneità professionale degli operatori, il rispetto dei programmi terapeutici proposti sulla carta, la sussistenza delle finalità sociali dichiarate e il reale utilizzo dei finanziamenti per la tutela dei minori per tali finalità, la regolarità e specificità delle funzioni svolte dagli operatori, talvolta pagati a nero, e il loro inserimento nei libri paga della comunità.

La massima trasparenza dei finanziamenti pubblici e la loro congruità con il lavoro effettivamente svolto deve essere garantita a tutti, compresi i cittadini che hanno l’inalienabile diritto di sapere come sono gestiti i loro soldi. I centri antiviolenza, come le altre comunità, non possono operare con modalità proprie tipiche di imprenditori privati che, è bene ricordarlo, operano con capitale proprio.

Le tariffe delle rette erogate, comunità per comunità, dovrebbero essere pubblicate sul web pena la immediata revoca della convenzione.

La maggior parte degli ospiti di questi centri, minori in difficoltà, vengono mandati dal Tribunali per i minorenni e dai servizi sociali, mentre sarebbe più opportuno che le famiglie di origine dei minori vengano aiutate a tenere presso di sé i figli, ad educarli ed a farli crescere in un contesto affettivo a loro vicino.

Infine, la Regione potrebbe predisporre una indagine a tappeto tra tutti gli ex-ospiti di queste comunità per valutarne la reale valenza educativa, le ragioni del mancato recupero terapeutico e la stessa eventualità di una loro chiusura per non aver ridato “le ali ai minori” in difficoltà!

Alla presidente Marini e al card. Bassetti, viste le denunce fatte in tv, farebbero bene a far togliere dal sito web di alcune comunità umbre le loro immagini e i loro commenti fuori luogo e abilmente strumentalizzati dai “proprietari” di questi centri. Alla garante regionale dell’infanzia e dell’adolescenza, che percepisce uno stipendio pubblico (dei cittadini) vorremmo ricordare che il suo ruolo è quello di tutelare i minori e non i proprietari delle comunità.

Per far tornare a volare i minori occorre garantire loro le ali, altrimenti si aiutano non a vivere ma a morire.

 

  • presidente Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori
 

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