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La Corte di Cassazione bacchetta se stessa

Nuovo giro di valzer sull’assegno divorzile


avv. Francesco Valentini*

La Corte di Cassazione Civile, a sezioni unite, con la sentenza n. 18287 dell’ 11 luglio 2018, appena un anno dopo, rivede profondamente la sentenza della I sez. (sent. n. 11504 del 10.5.2017) con la quale aveva stabilito che l’assegno divorzile deve essere calcolato non sul “tenore di vita matrimoniale” (criterio introdotto nel 1990) ma esclusivamente sul principio dell’autosufficienza del richiedente perché, argomentavano i giudici, “una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili … il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, cod. civ.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2, cod. civ.)”.

Gli ermellini, al fine di agevolare la valutazione dell’indipendenza economica del richiedente e l’adeguatezza dei mezzi a sua disposizione, proponevano gli indicatori da tener presente: “: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

L’attuale sentenza, a sezioni unite (quindi inclusi i giudici che avevano espresso il parere ora contestato) sconfessa quella della I sez. Civ. perché, a loro dire, lede il principio della solidarietà post-matrimoniale ”sottolineato, invece, dal legislatore sia in ordine al diritto alla pensione di reversibilità che in relazione alla quota del trattamento di fine rapporto spettanti al titolare dell’assegno” ed abrogano di fatto l’art.5 della L. n. 898 del 1970 e successive modificazioni.

Queste le loro deduzioni: il criterio dell’indipendenza od autosufficienza economica non solo non è previsto nella suddetta legge ma produce solo “ingiustizie sostanziali” nei matrimoni di lunga durata ove il coniuge più debole, a dire degli ermellini, avrebbe rinunciato alle proprie aspettative professionali per assolvere agli impegni familiari e con il divorzio dovrebbe modificare radicalmente il proprio tenore di vita, criterio ritenuto legittimo anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 11/2015). In definitiva, la “sperequazione reddituale e patrimoniale tra i due coniugi non è più colmabile”.

 

La Suprema Corte, a sezioni unite, ribadisce che “la funzione dell’assegno si risolve in uno strumento volto ad intervenire su una situazione di squilibrio “ingiusto” non in senso astratto, ovvero fondato sulla mera comparazione quantitativa delle sfere economico-patrimoniali o delle capacità reddituali degli ex coniugi ma in concreto, ponendo in luce la correlazione tra la situazione economico patrimoniale fotografata al momento dello scioglimento del vincolo ed i ruoli svolti dagli ex coniugi all’interno della relazione coniugale”.

Richiamando una loro precedente sentenza (n. 3520/83), I giudici vanno ben oltre asserendo che, poiché c’è stato - a priori- un effetto negativo sull’acquisizione di esperienze lavorative e professionali a causa dell’impegno versato essenzialmente nell’ambito domestico e familiare”, il giudice dovrà “accertare se fosse in concreto possibile per l’ex coniuge richiedente l’assegno essere competitivo sul mercato del lavoro senza dover svolgere attività lavorative troppo usuranti od inadeguate rispetto al profilo complessivo della persona”.

L’assegno divorzile, dunque, per i gli ermellini è sempre dovuto.

Per il relativo computo il giudice dovrà tener conto del criterio assistenziale (le condizioni dei coniugi e i rispettivi), compensativo (il contributo che l’ex coniuge ha fornito al nucleo familiare per la formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune durante il matrimonio) e risarcitorio “in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto”. Se ci sono squilibri, sostiene la Suprema Corte, devono essere compensati e riequilibrati, nel rispetto del principio costituzionale della solidarietà e della pari dignità degli ex-coniugi.

La Suprema Corte con questa sentenza – che ricusa la precedente n. 11504/17 – non tiene presente l’evoluzione della giurisprudenza in materia dal 1970 ad oggi; non considera che assai frequentemente l’ex-coniuge, lavorando a nero (per usufruire anche del patrocinio a spese dello Stato), non dichiara redditi; che i tribunali non valutano - caso per caso – le reali situazioni economiche dei singoli coniugi e che – per decenni - in nome della loro assoluta discrezionalità hanno finito per favorire il coniuge ritenuto, a prescindere, sempre il più debole, a cui, nella maggioranza dei casi, faceva comodo non cercarsi un lavoro come, avendo così l’alibi per la richiesta dell’assegno divorzile. In concreto, nelle famiglie normali e non ricche, come si attuano le loro decisioni?

Cosa cambia

In teoria la sentenza dovrebbe integrare il principio dell’autosufficienza, ma concretamente continua a garantire le forti lobby di genere. Una retta applicazione della sentenza dovrebbe eliminare abusi “applicativi” della legge che, in questi decenni, hanno finito per penalizzare il coniuge di sesso maschile.

Se non cambia la mentalità e la prassi degli organi giudicanti, questa sentenza mette ulteriormente in crisi i coniugi erogatori l’assegno divorzile che nella stragrande maggioranza hanno un reddito medio-basso e non sono detentori di consistenti capitali.

La Cassazione reintroduce un principio vecchio, quello del tenore di vita, ed abolisce nuovamente quello dell’auto-responsabilità economica di ciascuno dei due coniugi, come enunciato nel 2017, ritenuto lesivo del diritto dell’ex-coniuge alla solidarietà post-matrimoniale, così come sancito nella legge che ha istituito il divorzio. Si rintroduce il principio del tenore di vita goduto durante il matrimonio e non si parla che, con la separazione e divorzio, il genitore ritenuto meno debole di fatto deve mantenere due famiglie e, pertanto, resta di difficile comprensione la preoccupazione dei cassazionisti di tener presente solo le esigenze-diritti del coniuge, a loro dire, più debole dimenticando le difficoltà dell’altro coniuge. Non esistono solo diritti per chi rivendica l’assegno divorzile e doveri solo per chi deve subirlo. Senza equità sostanziale non può esserci nemmeno solidarietà post-matrimoniali.

Su queste problematiche torneremo di nuovo con ulteriori approfondimenti.

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