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Riflessione su un’altra sentenza del tribunale di Aosta


Il divorzio è un affare di genere,

paga sempre il padre!


Avv. Gerardo Spira*

Un’altra sentenza del Tribunale di Aosta ha stimolato le nostre riflessioni sulla giustizia di “confine”.

Armati della solita serenità mentale e con l’ausilio del puntiglioso bagaglio culturale, rafforzato dallo spirito di sfogliare le migliori pagine del diritto, leggiamo e commentiamo un’altra decisione emessa dal Tribunale di Aosta che certamente, animerà la critica giuridica e segnerà effetti nella vita di persone che, in ogni caso sono state attori e vittime della vicenda. Quando la Giurisprudenza cambia orientamento, vuol dire che il giudice ha intensamente impegnato la sua professionalità, nella ricerca quotidiana di interpretare i diversi aspetti evolutivi della società. Oppure è l’avvocatura di frontiera che, da posizione fortemente autonoma, coglie le nuove spinte dei rapporti umani e li sottopone al vaglio rigoroso di un tribunale attento e pronto a recepire le novità.

Siamo d’accordo che i genitori sono autorità e punti di riferimento, ma non di impressione o pressione. Se la base di formazione è di assoluto rispetto, nessuno figlio si oppone al genitore. Egli discute, si esprime, ma non lo rinnega mai. Quando un figlio si pone in contrapposizione, l’equilibrio familiare si interrompe e salta tutto il sistema di rapporti e relazioni. Ciò generalmente accade quando il punto di riferimento non esiste e uno soltanto dei genitori esercita il controllo sui figli. Da qui nasce il disagio e si sviluppano i cosiddetti “atteggiamenti iperprotettivi materni (sic). Sono atteggiamenti studiati o istinti di natura non controllabili?”.

In questo momento la giustizia deve puntare il faro, vigilare ed osservare. In questa fase le istituzioni devono attivare le armi dei controlli. La ragione non sta mai da una parte, si dice.

E’ vero. Ma il genitore non deve essere mai rifiutato, specialmente se per futili motivi di vita conflittuale. Il genitore (padre e madre) è un valore che supera ogni ragione critica personale. Il discorso si può ampliare in tante direzioni, ma il genitore resta sempre tale e la Giustizia deve disporre che i servizi sociali e chi li sostituisce adottino metodologie capaci di assicurare un risultato condiviso. L’uomo e la donna hanno uguali opportunità, sono parimenti riconosciuti nei principi costituzionali e sono uguali davanti alla legge.

Dunque condizioni e situazioni vanno esaminate con questa visione nelle separazioni e nei divorzi. Entrambi i genitori, detta la legge, devono adempiere ai predetti doveri, responsabilmente insieme. Il legislatore usa il termine “entrambi”. Non esiste un genitore di serie A e di serie B, oppure uno migliore dell’altro. Entrambi hanno funzioni e ruoli che tendono allo stesso fine, quello di crescere e far maturare la famiglia secondo, si dice, la regola del buon padre. Le istituzioni, in questa materia, con le decisioni più disparate invece di risolvere hanno aggravato il problema. Le condizioni critiche esistono, ma vanno esaminate e considerate, senza pregiudizi e trattamento di favore.

I figli maggiorenni, usciti fuori dalla responsabilità genitoriale, vanno considerati “uomini o donne” e non ragazzi. E, come tali, trattati negli impegni. Se un figlio non ha fatto niente, o non ha assunto capacità di scelta, la società deve porsi seriamente il problema e ricercarne la ragione. Qualcuno ha sbagliato e la causa va ricercata non nella parte che è stata tenuta lontana, bensì nell’ambito in cui i membri vivono gioie e dolori della vita quotidiana. Il collocamento presso uno dei genitori, comporta anche questa responsabilità, che va addebitata, innanzitutto, come tutti gli oneri, sul genitore che ne ha preteso ed ottenuto quella destinazione. Si sa che la frequenza fa la pratica e questa produce buoni frutti se correttamente idonea. La Giustizia ha un grande ruolo propositivo nella funzione, per il rispetto delle regole e della legalità, per il rispetto del ruolo dei genitori, e quello della famiglia e di tutti i membri. La famosa regola della diligenza del buon padre di famiglia vale per tutti e va sempre tenuta presente

I figli della coppia, che stiamo esaminando, alla data della sentenza (luglio 2019) hanno la seguente età: la figlia anni 17, il figlio anni 24.

Veniamo al caso (Tribunale ordinario di Aosta - Sentenza n. 248/2019 pubbl. il 25/07/2019).

Nel 2016 la sig.ra (x) ricorre al Tribunale per la separazione, che viene definita consensualmente alle condizioni, concordate e accettate da entrambe le parti. I figli vengono collocati presso la madre.

Il sig. (y) con l’entrata in vigore della nuova legge, decide di chiedere il divorzio, nel 2017 (epoca in cui la figlia aveva 15 anni e il figlio 22), sulla scorta di una serie di domande, che lasciano comprendere lo stato della questione.

La sig.ra x contesta, rifiuta l’istruttoria su alcuni punti, aderisce su altri, e accetta l’ammissione al divorzio ma a condizione.

Il Giudice emette la sentenza di scioglimento, ma subordina l’affido condiviso a condizioni che dipendono dalla libera disponibilità dei figli. Di fatto l’affido condiviso, nella sentenza, è una vuota dichiarazione di principio.

Esaminiamo il merito assunto dal tribunale nella decisione.

In via preliminare il Tribunale sceglie una via strategica, disponendo l’ascolto della figlia minore, già collocata presso la madre, senza la presenza delle parti e dei loro difensori e senza videoregistrazione. Vengono coinvolti i servizi socioassistenziali, con l’attivazione del sostegno psicologico individuale alle parti ed alla figlia, e “al figlio maggiorenne, di anni 24, uomo e non più ragazzo come definito dal giudice, nonché all’attivazione del servizio di sostegno educativo territoriale nei confronti dei genitori e della minore. Strada piena di insidie per il genitore padre.

Superata la fase preliminare con rigetti ed ammissioni di prove e documentazione, il Tribunale dichiara la declaratoria di scioglimento del matrimonio, ritenendo non esistente controversia tra le parti. (No comment!).

Più complessa appare al Giudice la disciplina di affidamento della figlia minore, in quanto il padre ha posto il serio problema della PASS secondo cui “l’alienazione genitoriale provocata dalla madre sulla figlia, coadiuvata dal figlio maggiorenne incapace di opporsi alla genitrice, ha portato la minore a rifiutare il genitore”. Per questo il signore, padre, ha richiesto l’affido etero familiare, da subito, fino alla maggiore età, dichiarandosi disposto a seguire anche lui un percorso psicologico e di sostegno alla figlia. (Atteggiamento molto importante).

La madre invece ha chiesto l’affido esclusivo della figlia.

Il giudice, partendo dalla normativa applicabile di cui all’art.337 ter c.c “ conferma il principio che:” il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione ed assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriali”. Sicché, per realizzare siffatte finalità, il Giudice adotta i provvedimenti  relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” ed a tal fine  valuta…(Omissis).

Tutto il ragionamento di personale cultura pseudo-psicologica, sorretto dal sostegno dei servizi socio-sanitari, spesso richiamati, perviene ad una conclusione contraddittoria con la situazione conflittuale, che tale resta, per l’ostinata e concorde posizione di tre membri contro uno. La straordinaria tesi del Giudice non trova alcun aggancio a normative di riferimento. Essa risulta derivata da un ragionamento basato su presupposti di interpretazione puramente personale. Per ciò stesso fallaci.

Sentenza esemplare!

Dal momento della separazione 2016, i figli della coppia non hanno avuto un buon rapporto col padre, mentre invece, si dice, che stanno bene con la madre. Nella sentenza non si fa alcun accenno alla situazione precedente alla separazione. Né i servizi sociali, che la conoscono hanno lasciato traccia della precedente relazione. Essi non sanno del precedente, ma “riferiscono” quando parlano del padre. Noi riteniamo, sulla scorta di altri indici, che prima della separazione la famiglia vivesse in perfetta armonia. Dunque lo sconvolgimento psicologico è avvenuto dopo la separazione, chiesto, peraltro dalla donna. La reazione dei figli, non è dovuta, secondo il giudice, alla reclamata pass, ma alla mancanza e colpevole assenza dell’altro genitore. Infatti senza voler addebitare responsabilità specifiche che pure esistono, lo stesso Giudice ammette che la situazione conflittuale ha determinato “atteggiamenti iperprotettivi materni”, a cui il sig. y ha risposto con una posizione difensiva.  Secondo il pensiero del Giudice l’uomo non avrebbe dovuto difendersi dalle pretese della donna, ma restare acquiescente, nell’interesse dei figli. Secondo il Giudice è più colpevole il padre che non ha saputo assumere iniziative, che la madre la quale, invece, ha attivato la iperprotezione verso i figli. Chi ha violato la regola del superiore interesse? L’equilibrio, secondo questo Giudice, dipende da chi ostacola il rapporto, e non suggerisce e usa i figli. Fallo grossolano, superato strategicamente dal Tribunale con la famosa audizione, da cui risulta, come dichiarato in sentenza, che la minore ha scelto di voler stare con la madre, mostrando disagio e resistenza nel rapporto col padre. Né il giudice e né i servizi sociali hanno saputo approfondire la questione che, purtroppo, esiste e condizionerà la sentenza.

Se il figlio maschio di anni 24 non trova lavoro, la colpa è della dinamica conflittuale, provocata, secondo il giudice, dal padre. Se la figlia, di anni 17, mostra disagi scolastici, la colpa è sempre del padre, non presente.

Dalla disamina di considerazioni puramente di scienza psicologica è scaturita la sentenza così come di seguito:

1) dichiarare lo scioglimento del matrimonio, con mandato alla cancelleria del tribunale per tutti gli adempimenti conseguenti, perché richiesto da entrambi; 2) affidare la figlia minore congiuntamente ad entrambi e la colloca stabilmente presso l’abitazione materna; 3) disporre che i rapporti tra la minore ed il padre siano disciplinati nel rispetto della volontà e disponibilità psicoemotiva della ragazza e secondo le modalità meglio adeguate ai suoi bisogni, anche affettivi e relazionali, nel sostegno educativo psicologico…. 4) mandare il servizio  psico-sociale  all’USL di continuare a garantire il sostegno psicologico individuale, ove lo consentano, per la maturazione  del ruolo genitoriale ai figli, ove questi lo consentano… (omissis); 5) porre a carico del padre l’obbligo di corrispondere mensilmente alla sig.ra madre un contributo di euro 600 per la figlia (tale importo predisposto nei provvedimenti provvisori dal presidente del tribunale era stato ridimensionato dalla Corte d’appello, alcuni mesi prima, ad €.400) ed euro 100 per il figlio di 24 anni, fino al compimento del 26 anno di età…omissis; 6) porre a carico del padre l’obbligo di pagare il 50% delle spese per i figli nei limiti e con le modalità di cui al protocollo in vigore presso il tribunale, approvato da magistrati ed avvocati; 7) rigettare la domanda di assegno divorzile; 8) condannare il padre alle spese del procedimento di euro 5.885 oltre iva e cpa (cioè €. 8.586,92) e rimborso forfettario delle spese al 15% in favore della moglie e per essa allo stato, essendo stata la sig. ammessa al libero patrocinio.

Qui si conclude il pensiero del Giudice, propendendo verso la maternal preferenza.

Il tribunale, a nostro avviso, non ha saputo superare il disagio interpretativo della situazione verso una decisione certa. Il padre, resta condannato senza soluzione di continuità (fino a quando? )

Infatti il punto 2 della sentenza è sottoposto alle condizioni dei successivi 3 e 4 nei quali il Giudice dispone che i rapporti tra la minore ed il padre siano disciplinati dai servizi nel rispetto della volontà della figlia. L’affido condiviso di fatto è subordinato a condizioni di tempi e modalità incerti. Quindi diventerà condiviso se.

Da qui i dubbi: E se la figlia continua a non voler tenere rapporti col padre? Chi lo certificheranno sempre gli stessi servizi che hanno mal gestito la fase tra la separazione e la sentenza?

Lo stesso discorso vale per il grado di maturazione dei figli nelle scelte scolastiche, scelte criticate, con molta responsabilità dal padre, controllate dalla madre collocataria. Il rilievo del padre appare più responsabile di tutti, proprio nell’interesse dei figli. Non era il caso, secondo una certa teoria scientifica, di approfondire la questione del disagio scolastico per rivedere la strategia istruttiva, educativa di responsabilità in una direzione completamente diversa, proprio nel superiore interesse dei figli, che tanto minori non lo sono più?

E ancora, non era il caso che il Giudice, nel rispetto del principio di condivisione responsabile dei doveri, disponesse l’obbligo di seguire un preciso percorso agli interessati? Non era il caso di disporre un progetto ben definito in un protocollo concordato a garanzie del padre, che risulta il più penalizzato?

Nella sentenza è stato stabilito che Il padre dovrà provvedere al contributo di mantenimento della figlia minore e del figlio maggiorenne. Ma chi avrà la responsabilità di garantire la cura, l’istruzione, l’educazione, qualora madre e figli impediranno il normale rapporto col padre? Quando la sentenza sortirà i suoi effetti? Se gli adempimenti disposti non avranno seguito, quale valore dispositivo avrà la dichiarazione di affidamento condiviso in sentenza? Perché il giudice non ha disposto l’obbligo di un protocollo durante la fase di riavvicinamento dei soggetti, fissando tempi e modalità?

Qui è la chiave di svolta della vicenda che la decisione ha reso ancor più ingarbugliata. Chi risponderà davanti alla legge delle inadempienze, dei ritardi e mancati controlli? Perché non sono state nominate le figure di controllo durante la fase cosiddetta di riavvicinamento? Sarà lo stesso Tribunale a farlo? In che modo il padre sarà tutelato e garantito negli adempimenti prescritti in sentenza?

Il contributo di euro 600 per la figlia e di euro 100 per il figlio sono il risultato di una discutibile valutazione che, a nostro avviso, appare esagerata, in riferimento sia alla situazione economica del padre e sia anche per la mancata chiarezza di quella della madre, pur denunciata e non accertata e quella dello stesso figlio maggiorenne che, pare, avesse lavorato. L’incertezza si sa favorisce chi vive nel mondo del lavoro a nero e precario e non chi vive alla luce del sole. La decisione, paradossalmente colpisce chi vive alla luce del sole.

Ma c’è di più. Non è stabilita la durata di tempo del contributo alla figlia, mentre il figlio dovrà vivere fino all’età di ventisei anni con la madre (per ragioni di studio?), quindi nel suo nucleo familiare, che, con gli altri membri, ha l’obbligo di fare la dichiarazione dei redditi. Chi controllerà che la situazione reddituale consentirà la sussistenza del diritto?  Chi accerterà che i figli vivranno con la madre fino al limite del tempo? Perché le predette condizioni non sono state esplicitate con più precisazione? La decisione, dunque, peserà soltanto sul padre, il quale dovrà vivere una condizione di continuo e grave disagio psicologico, correndo il rischio di essere accusato anche di interferenza nel caso di legittime richieste di informazioni. Articolato complessivamente vessatorio nei confronti dell’uomo.

Il punto 7 risulta pesantemente gravoso, per vaghezza e genericità. Si parla di spese del 50%, senza specificazione di quali spese. Il giudice si richiama ad un Protocollo stipulato tra magistrati ed avvocati. Il Protocollo richiamato risulta sottoscritto dal Presidente del tribunale e dal Presidente dell’ordine degli avvocati della V.D.A Formalmente il documento porta l’impegno dei due presidenti, mentre mancano i riferimenti costitutivi che legittimano la rappresentanza del Tribunale e del consiglio dell’ordine per i magistrati e per gli avvocati. Il documento sortirà effetti legittimi?  Noi riteniamo di no. Per di più il documento non risulta coerente con altri protocolli redatti presso altri tribunali e neppure con le linee tracciate dal Consiglio dell’ordine nazionale forense.

unto 9-  Condanna alle spese del procedimento di euro 5.885,00 oltre iva e cpa (cioè €. 8.586,92)  l’ex marito in favore della ex moglie e per essa allo Stato per il gratuito patrocinio concesso, oltre al 15 % per spese forfettarie. Non è dichiarato nella sentenza che la sig.ra avesse diritto al gratuito patrocinio, né risulta che ciò sia stato accertato, a meno che il giudice, si è assunta la responsabilità della sua regolarità, per averlo ammessa a liquidazione. La disposizione desta molte perplessità, per diversi aspetti che comunque si riversano sul pubblico danaro. Un padre, socio dell’associazione genitori separati per la tutela dei minori, che ha avuto l’ardire di farsi difendere da un legale nominato dall’associazione deve pagare il conto salato per la sua impudenza. La giustizia spesso si muove nel nostro Paese con le sensibilità e gli umori che non appartengono alla cultura giuridica che ha reso speciale il diritto. Diceva mio nonno, pescatore, “guai a chi subisce un danno e non ha la tutela dalla legge”. Dice Sceusa, Presidente del tribunale dei minori di Trento, che il giudice che si lascia trascinare dalla scienza psicologica in una questione di famiglia, finisce per non decidere più come giudice.

Noi pensiamo ad un’altra Giustizia, a quella non dei privilegi e dei favori, bensì alla Giustizia che decide con la benda e non distingue il colore dell’uomo o il sesso. Pensiamo alla GIUSTIZIA che applica il diritto secondo la scienza del diritto e non secondo teorie che non hanno a che fare col processo logico-giuridico.

Noi, purtroppo, parliamo senza toga.

*esperto di diritto minorile e di diritto amministrativo

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