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Attività della Pubblica Amministrazione


Il procedimento amministrativo è

presupposto di legittimità e di legalità


Avv. Gerardo Spira *

Il procedimento amministrativo, a distanza di 30 anni dalla legge 241/90, per le diverse vicende applicative, non ha ancora trovato il punto di incontro dei due interessi-poteri fondamentali: della Pubblica amministrazione e del cittadino. E ciò nonostante la uniforme giurisprudenza di merito che ha stabilito il principio di prevalenza dell’interesse legittimo del cittadino rispetto a quello del potere pubblico. Per questo occorre che l’impianto organizzativo della P.A sia posto nel corretto schema delle leggi di riferimento. Nella P.A gli atti devono essere pensati e adottati nel rispetto del procedimento logico-giuridico, e non secondo interessi di politica particolare.

Dopo trent’anni di pratica amministrativa ci troviamo di fronte al problema della nomina del responsabile del procedimento, dell’obbligo o meno di avviare il percorso, al diritto-interesse del cittadino a partecipare all’azione che lo riguarda, al problema della privacy. Eppure tutti sappiamo che il corretto svolgimento del procedimento amministrativo costituisce il punto nodale dell’attività della pubblica amministrazione.

Cercheremo, con linguaggio semplice, di chiarire la materia, rinviando allo studio specifico di approfondire i diversi aspetti e le conseguenze che lungo il percorso intaccano la legittimità degli atti.

Cercheremo, in buona sostanza, di chiarire perché è di fondamentale e primaria importanza porre un affare dell’attività amministrativa nel percorso rispettoso della legge e delle regole, condiviso e trasparente.

Che cosa è il procedimento amministrativo!

Dottrina e giurisprudenza lo definiscono un percorso attraverso cui la P.A manifesta, avvia e conclude una richiesta del cittadino o una pratica di ufficio.

Il procedimento amministrativo è regolato dalla legge 241/90, ma si aggancia ai principi fondamentali del nostro Ordinamento giuridico e costituzionale. Esso si sviluppa attraverso tre fasi: di avvio, di istruttoria e di conclusione. La prima si apre per impulso del cittadino o di ufficio; la fase istruttoria, la più importante per i contenuti, è quella cosiddetta di raccolta, di esame e di valutazione della documentazione; la terza fase, finale, è quella che conclude tutto il percorso con il provvedimento.

La nostra riflessione si incentra sulla fase centrale: “l’istruttoria”, perché risulta quella più funzionalmente rivolta ad accertare i presupposti di legittimità del provvedimento finale. Se il procedimento è stato svolto secondo legge, risulterà facile al cittadino interessato avere chiaro il quadro completo di tutto l’affare trattato.

Per questo è fondamentale che la P.A adotti i provvedimenti di costituzione della fase iniziale nella forma e nel contenuto assolutamente incontestabili. La nomina del Responsabile del procedimento deve avvenire attraverso la individuazione di una figura di assoluta garanzia di conduzione del percorso amministrativo. Il responsabile del procedimento ha, infatti, il potere di nominare, vigilare e controllare sottofigure con incarichi specifici all’interno del procedimento da percorrere. Centrale quindi è la figura individuata per fase istruttoria che il dirigente può anche nominare in sua sostituzione. La fase conclusiva, per il provvedimento finale, appartiene al dirigente, responsabile del Settore o unità organizzativa competente nella quale si concentra tutto il lavoro dell’istruttoria, “dalla ricerca, alla raccolta e valutazione degli atti”.

Si comprende quindi l’importanza della nomina della predetta figura professionale. Il Responsabile del procedimento agisce in nome e per conto dell’amministrazione all’esterno ed è il punto di riferimento dei cittadini interessati nella questione.

 

Le sue funzioni richiedono, dunque, capacità e preparazione di adeguato livello e cultura scientifica certificata e non semplicemente considerata dall’amministratore.  L’amministratore, competente ad individuarlo, ha il dovere di acquisire e richiamare nell’atto di nomina i titoli di origine e di formazione idonei a garantire una figura professionale preparata e capace di svolgere il ragionamento logico giuridico per emanare provvedimenti legittimi ed efficaci. L’atto di nomina, a mio avviso, coinvolge il titolare del provvedimento nelle responsabilità derivanti da tutto il processo di quella azione. E’ qui di aiuto non solo la legge, ma tutto il sistema regolamentare istitutivo di organizzazione della macchina amministrativa.

La Responsabilità amministrativa è punto chiave dell’attività della Pubblica Amministrazione.

L’area della P.A è il luogo in cui si incontrano il potere pubblico e i diritti del cittadino. Lo sviluppo deve avvenire nel rispetto dei principi di massima garanzia degli stessi fissati nell’art. 97 della Costituzione (buon andamento ed imparzialità) e della normativa mutuata dalla legge 241/90 e dal D.Lgs 165/2001.

Il principio ruota intorno ad un solo concetto: Il dirigente incaricato delle funzioni di responsabilità apicali deve provenire da pubblico concorso e possedere qualità e requisiti professionali, ben specificati nel D.Lgs 165/2001. L’interpretazione e l’applicazione della legge devono essere affidate a soggetti in possesso di idoneo profilo tecnico scientifico.

Infatti L’attività della P.A è improntata ai principi di trasparenza, efficienza efficacia, pubblicità, di assoluto peso giuridico. Il cittadino non è più il soggetto passivo che subisce, bensì il protagonista che promuove l’azione e vi partecipa. Poiché le attività della P.A intaccano diritti e interessi pubblici e privati, la funzione del potere dispositivo e decidente è garantita dalle conseguenze previste dalla legge in ordine alla responsabilità per il caso di errori, ritardi od omissioni.

Sul principio di responsabilità si stabilizza tutto il discorso del procedimento amministrativo. Ritengo infatti che il procedimento amministrativo sia il cuore e l’anima dell’attività della Pubblica Amministrazione. I difetti ed i vizi ne provocano il mal funzionamento o la morte.

Giova evidenziare che la responsabilità va considerata come la capacità culturale della funzione di sapere usare il potere attribuito dalla legge. Questo risulta inquadrato e specificato nel Piano di Organizzazione dei Servizi e degli uffici dell’Ente. Il Piano è la fonte in cui individuare la figura del responsabile.

Il responsabile del procedimento e la P.A di appartenenza si considerano il punto di riferimento per le responsabilità verso terzi per danni derivanti dall’omesso o ritardato compimento delle attività previste dalla legge o regolamento.

La responsabilità si configura, per dolo, colpa grave e colpa lieve. Dal peso ne deriva il danno.

La responsabilità può essere amministrativa, civile e penale (quest’ultima ex art. 328 c.p., in caso di rifiuto e art.323 c.p., abuso di ufficio, in caso di violazione di norma di legge o di regolamento). La responsabilità amministrativa traspare in tutti i casi in cui il funzionario, per la sua condotta illegittima o illecita, abbia causato direttamente o indirettamente danno alla P.A. La responsabilità civile comporta la violazione di norme di diritto privato. Essa può essere fatta valere solo attraverso un giudizio civile, che inizia in seguito ad un atto del danneggiato. Può essere proposta nel caso di responsabilità accertata di condanna penale od amministrativa.

Possiamo concludere che il quadro normativo che regola il comportamento del pubblico funzionario non consente margini di discrezionalità comportamentale. L’azione amministrativa deve essere svolta secondo un percorso regolamentato ed orientato verso l’obbiettivo della legittimità e legalità garantita, della pubblicità e della trasparenza. Sono proprio questi principi che suggeriscono di tracciare, in via preliminare, il percorso da seguire, segnando i conseguenti segmenti, su di una scheda sintetica, supportati da richiami normativi e regolamentati (trasparenza attiva).

Il percorso disposto all’inizio dell’azione, con la partecipazione del cittadino, garantisce la legittimità del risultato finale in cui si incontrano l’interesse del cittadino e quello del potere pubblico.

* Avv. Gerardo Spira - gerardospira@yahoo.it– tel. 348.4088690 - Gerardo Spira blog

Il procedimento amministrativo solo raramente viene applicato dalla Pubblica amministrazione e, talvolta, addirittura si arriva a negarne la necessità in barba alla L. 241/90. Non solo. Si arriva a sostenere che i servizi sociali, quando vengono chiamati dal tribunale a riferire sui minori coinvolti nelle separazioni dei genitori, rispondono al giudice e non hanno l’obbligo-dovere della trasparenza verso i genitori e i cittadini. Siamo all’assurdo!

Così ai malcapitati genitori i servizi sociali  di fatto negano l’accesso ai fascicoli che riguardano loro e i loro figli, non viene permesso loro il contraddittorio in tribunale e non si permette loro di contestare le relazioni – generiche, ripetitive, fotocopia e quasi sempre prive della indispensabile terzietà che, invece, la legge pretende – mancando verbali sottoscritti dai genitori (talvolta non ci sono nemmeno quelli inerenti le audizioni dei minori), videoregistreazioni e quant’altro indispensabile per valutare i singoli casi su  cui si va a riferire.

Dinnanzi alla esplicita richiesta di un programma da sottoscrivere, il servizio pubblico, al contrario, propone linee programmatiche vaghe e pretende che il genitore firmi la relazione che verrà inviata al tribunale, eventualmente evidenziando il proprio dissenso che, a loro dire, avrà un peso nella decisione di affido dei figli. Sovente il genitore non è in grado nemmeno di comprendere la reale portata della terminiologia usata e, nonostante ciò, non gli viene permesso di consultarsi con il proprio legale sul testo su cui si “pretende“ il loro assenso.

Troppi tribunali si rimettono alle relazioni del servizio socio-psicologico pubblico e non si preoccupano di verificare le modalità con cui sono stati condotti gli incontri servizio-genitori, servizio-minori e non si preoccupano di garantire effettivamente trasparenza e terzietà ai genitori per assicurare il contraddittorio nel processo e prendere provvedimenti che rispondano veramente al sempre invocato – quasi sempre a sproposiito – “superiore interesse del minore”.

Solo con la treasparenza, la terzietà – oggi quasi inesistente nella maggior parte dei servizi sociali e non solo – si tutelano i minori ed ambedue i genitori, soprattutto il non collocatario la  cui esistenza non può esaurirsi nei doveri economici e troppo spesso senza diritti genitoriali. Bigenitorialità e cogenitorialità, altrimenti, sono espressioni vuote e prive di senso. (ubaldo valentini)

 

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