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Una firma per i Referendum sulla Giustizia


Responsabilità civile e penale dei giudici

artefici della Ingiustizia nelle separazioni


di Ubaldo Valentini

Premetto che in passato ho espresso il mio consenso sulla responsabilità civile e penale dei magistrati, ma gli interessi di una parte politica hanno disatteso i risultati del referendum, tradendo la volontà di una stragrande maggioranza di cittadini. Preciso pure che non ho nessuna tessera di partito e che quello che dirò vuol essere una difesa dei giudici onesti e rispettosi del diritto civile, penale e amministrativo – nonchè delle relative procedure – a tutela dei cittadini. Firmare, anche se non si condividono i contenuti dei singoli referendum, vuol dire permettere ad una parte di cittadini di potersi contare sulla modifica di una legge vigente e ciò concretizza il rispetto di un diritto di democrazia e non rappresenta affatto alcuna volontà di assenso ai quesiti referendari per cui si firma. La condivisione o meno dei quesiti avverrà solo con il voto.

Il primo referendum per cui si chiede la modifica della l. n. 117 del 13.4.1988 (c.d. legge Vassalli), che disciplina il risarcimento dei danni causati ai cittadini dai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni giudiziarie, riguarda, di conseguenza, la loro responsabilità civile. Il cittadino che si ritiene danneggiato non può chiamare in causa direttamente la responsabilità del magistrato responsabile del danno, ma deve rivolgersi allo Stato (cioè a noi cittadini contribuenti), che, una volta accertata la violazione del giudice, dovrebbe fare rivalsa sul magistrato stesso. Ma non avviene quasi mai!

 

Con il referendum, viceversa, si chiede l’eliminazione di questa preclusione e la possibilità per il cittadino di agire per il risarcimento dei danni direttamente nei confronti del magistrato. Secondo Lega e Radicali, infatti, al momento non esiste un “adeguato obbligo, da parte dell’operatore della giustizia, di rendere conto delle eventuali decisioni sbagliate assunte”.

La giustizia, negli affidi, separazioni e divorzi, troppo spesso si risolve con risoluzioni che sono espressione di convinzioni del tutto “private” del magistrato e di un mondo che trae vantaggi ideologici, confessionali ed economici da questa mala giustizia. Il magistrato non applica la legge, ma la interpreta con presunzione, fino ad arrivare a negarne i suoi principi. La Cassazione, poi, spesso, sforna provvedimenti contraddittori, sullo stesso argomento, tra le varie sezioni e finisce per alimentare solo la confusione tra i cittadini. Ma ha senso tutto ciò?

Non bisogna rifare le leggi, che sono troppe, ma occorre che chi le amministra usi meno discrezionalità, in nome di arcaici e clientelari privilegi, e si limiti ad applicarle in modo trasparente ed oggettivo. I politici, che da una parte si sentono vittime (non a torto) della magistratura, dall’altra non fanno nulla per riformarla e renderla, obbligatoriamente, a servizio della Costituzione e dei cittadini. Le loro lagnanze non sono più credibili perché, quando erano al governo con una indiscussa maggioranza, si sono guardati beni dal toccare la magistratura ed ascoltare le doverose proteste dei cittadini, vittime di occulti poteri di cui numerosi giudici, come le recenti cronache confermano, e non disdegnano di farne parte assieme a molti “rappresentanti” del popolo.

I genitori non più conviventi e i loro figli, ogni giorno, sperimentano sulla propria pelle l’ingiustizia imperante in molti tribunali, che “perseguitano” (quando si negano i diritti di una persona non si fa altro che perseguitarla) il genitore maschile e, fatto inaccettabile, ignorano i diritti dei minori. La Giustizia non può essere succube dell’arroganza di genere femminile, che si sorregge su verità che tali non sono e che la politica non ha il coraggio di sconfessare per convenienze elettorali.

Permettere ai cittadini di esprimersi sull’operare dei magistrati vuol dire difendere la sana magistratura e ridare fiducia ai cittadini e, per quanto ci riguarda, ai padri separati e ai loro figli a cui, troppo spesso, è negata la bigenitorialità e la co-genitorialità.

Il nostro invito ai separati di firmare i referendum non va inteso come sostegno di partiti politici, anche perché alla Lega non si può perdonare di essere stata l’artefice del nefasto Ddl 735/2018 (c.d. ddl. Pillon), che, di fatto, abolisce l’affido condiviso ed è espressione di una retrograda visione della giustizia minorile e familiare a sostegno di ben precisi interessi economici, confessionali e politici.

Nonostante ciò non possiamo non riconoscere la validità dei sei referendum sulla giustizia e non possiamo rifiutare la nostra firma per permettere che i cittadini si esprimano sui punti contestati. E’ una opportunità per far sentire la nostra voce sulla mala giustizia o ingiustizia nelle separazioni e nell’affido dei minori.

 

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