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Giovedì 08 Gennaio 2015 19:46

Non è più tollerabile certi comportamenti della magistratura e dei servizi sociali palesemente dannosi per i minori che, loro, invece dovrebbero tutelare. In questo sito più volte abbiamo parlato di una prassi giudiziaria iniqua con sentenze e decreti che sono in netto contrasto con lo spirito dell’affido condiviso che ribadisce a chiare lettere il diritto alle pari opportunità genitoriali di ciascun genitore e soprattutto di quello non collocatario.

La legge esiste ma non si rispetta nello spirito e nelle decisioni concrete, favorendo sempre la figura femminile, dimenticando che il padre spesso è il genitore più idoneo ad avere presso di sé i figli.

I retaggi di una cultura arcaica, legata a ideologia religiose e politiche e a palesi interessi economici, ha sempre il sopravvento sui diritti naturali dei minori grazie anche alla impunibilità della magistratura e dei servizi sociali che si arrogano di diritti che non appartengono loro  sia per carenze professionali che per deformazioni ideologiche.

E’ ora di parlare di tutto ciò senza paura.

Con questo articolo inizieremo ad esporre casi-limite che non possono essere ignorati dal CSM, dal Ministero della Giustizia e dai gestori, politici e materiali, dei servizi sociali. Tutti costoro devono essere chiamati alle loro responsabilità, comprese quelle economiche, infrangendo una lobby che non rispetta i diritti dei minori così come da decenni sono ribaditi dalla Convenzioni internazionali. Facciamo valere i diritti dei nostri figli!

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Sotto quale CUPOLA?

 

Ricatti e trappole insidiano l'affare dei minori a Roma

 

Re Giorgio, il nostro Presidente della Repubblica, ha ragione quando lamenta che  la magistratura si deve spogliare dall'ansia di fare “protagonismo”. E' la sete qualunquistica che trascina l'uomo nel vortice di questa epoca, senza ritegno e senza rispetto del cittadino il quale pretende invece giudici coraggiosi ed una GIUSTIZIA giusta.

L'ansia fa dimenticare funzione e doveri e porta il magistrato a sbagliare e ad accanirsi nell'errore  anche contro la stessa giustizia, pur di non ammetterlo.

La confusione  giudiziaria finisce per diventare una feroce spada per il malcapitato che distrutto nei sentimenti, diviene una vittima di se stesso in questa società ammantata di falsi principi ed ipocriti corollari. La beffa comunque produce danno e il danno finisce nel solito posto dell'ortolano.

Riporto per sintesi  una vicenda vera  accaduta e ancora in corso che per la confusione del solito protagonismo ha portato  il caso in un tunnel da cui magistrati e istituzioni territoriali non sanno come uscire e pur di non ammettere di aver sbagliato, persistono nell'errore, sapendo di provocare la morte sentimentale e psicologica di un bambino, da quasi due anni in attesa di ricomporsi col padre..

Un collegio del tribunale per i minorenni di Roma, nel settembre 2011, chiamato a decidere sulla richiesta di parte femminile per l'affidamento esclusivo del figlio e la decadenza della potestà genitoriale del padre, dopo dieci mesi di indagini, istruttoria e approfondimenti, in data 16 luglio 2012 respinge il ricorso e dichiara che sono insussistenti i presupposti su cui poggia la domanda. In buona sostanza il collegio accerta anche che le denunce inserite per rafforzare la richiesta sono  risultate false.

La signora, non soddisfatta, bene “ ammanicata “ nelle istituzioni socio-sanitarie trova l'amica di collegamento, che con una relazione di favore le  sostiene la pretesa.

La Corte di appello della Giustizia minorile romana, mentre padre e figlio si ritrovano felici a fine estate, riprendendo il rapporto come prima, dopo una udienza durata il tempo disbrigato di qualche ora, senza alcuna istruttoria integrativa, in data 15 gennaio 2013 accoglie le lagnanze della donna, già esaminate e rigettate dal primo giudice e decide, intuitu personae, con un decreto depositato il 4 marzo, di affidare il bambino esclusivamente alla madre e di rimettere alla gogna del fantomatico percorso protetto padre e figlio, per esaminare la capacità genitoriale di lui.

Con un provvedimento, privo di riferimento normativo o di scienza giuridica, il Giudice di Appello affida ai Servizi del Municipio 2 del Comune di Roma l'incarico di accertare, attraverso un programma, non esplicitato, che quel genitore sa fare il padre.  E' come se attraverso atti e documenti generici si volesse provare che quel giudice ha la capacità togata di sapere fare il magistrato o che quel giudice che dispone in materia minorile sa fare la madre e questa condizione le consente di verificare la capacità genitoriale del coniuge.

Chi lo deve accertare poi sono alcuni assistenti, figli di famiglia, in cerca di occupazione e al servizio di una cooperativa del “giro”.!? Una assurdità che purtroppo fa giustizia incontestabile!

I Servizi sociali non sanno eseguire il provvedimento e tra una diffida e l'altra decidono di affidarlo ad una Cooperativa amica, la quale con metodi e sistemi non codificati e non legittimati, mette padre e figlio a giocare in un appartamento privato alla presenza di un assistente esterno di cui non si conoscono né qualificazioni professionali e né provenienza di “casta”.

Dopo circa 12 incontri dal 6 maggio al 27 giugno 2013 il minore che ha un rapporto molto confidenziale, si infastidisce  e rifiuta apertamente quel percorso, ripetendo all'assistente di turno che lui e il padre sono sempre stati bene insieme  all'aperto e liberi.

Il padre, a questo punto dopo avere contestato tutto il procedimento, intuisce che il percorso può arrecare pregiudizi al figlio, affetto da malattia rara, lo interrompe e chiede il rilascio di  un certificato di garanzia di idoneità di quanto disposto.

Intanto il 7 luglio 2013 viene pubblicato il decreto della Corte di appello. emesso il 4 marzo, dopo che nella stessa data  il legale del genitore, sulla scorta dei verbali di incontri già avvenuti,  aveva presentato istanza al Tribunale per  la revoca   del  provvedimento della Corte di Appello. Coincidenza ?

La cooperativa insiste per fare gli incontri, senza un programma e neppure un calendario, i servizi socio-sanitari si rifiutano di rilasciare il certificato di idoneità del percorso e il Giudice della Corte di Appello non risponde alle richieste.

Passa l'estate 2013 e passano anche le festività di Natale. Padre e figlio si sentono per telefono, senza vedersi e neppure la magistratura assume iniziative. Infatti il Decreto della Corte di appello dispone che i due  devono fare un percorso protetto, ma non dispone che non possono vedersi.

Non è accaduto, ma se i due si fossero incontrati per strada ed il bambino fosse accorso tra le braccia del padre, che cosa sarebbe accaduto? Chi lo avrebbe vietato?  la madre? E se il minore non avesse prestato ascolto al divieto?

L'8 novembre 2013, il Collegio sempre di genere, dopo un ragionamento “al femminile “, senza richiamare i verbali allegati degli incontri avvenuti e senza alcun supporto giurisprudenziale,  dichiara che le eccezioni  sollevate dal padre sono di merito e non attengono al provvedimento emesso per cui respinge l'istanza e lo rimanda al provvedimento della Corte di Appello.

In buona sostanza il collegio del tribunale dice: non mi interessa quello che tu hai rilevato, devi rifare ciò che ha stabilito la Corte di appello, anche se è sbagliato o non è possibile fare.

La disposizione infatti  non può essere eseguita perché il Comune non ha una struttura pubblica, l'incarico è stato affidato  ad una cooperativa e il minore non ha voluto continuare con quegli incontri.

Ma non è finita! A gennaio del 2014 la signora , affidataria esclusiva, senza alcun assenso dell'ex marito si trasferisce a Milano col figlio.

Il padre  informa tutti i soggetti intervenuti nel caso: Tribunale, P.M, Giudice della corte di Appello e Servizi territoriali. Nessuno risponde!

A febbraio 2014, il legale del genitore padre presenta istanza al Tribunale con la nuova legge ( L.219/12-D.Lgs. 154/2013), per fare ascoltare il minore il quale ha ormai dieci anni. Passa tutto l'anno 2014,  in assoluto silenzio, mentre padre e figlio si sentono continuamente per telefono in attesa che la situazione si sblocchi.

In data 12 dicembre 2014,  il genitore interessato, recatosi in Tribunale per depositare altra istanza di sollecito con una memoria, viene a sapere, per caso, che il 17 ottobre 2014, lo stesso Collegio del Tribunale dell'8 novembre 2013 ha, senza comunicarlo alla parte, emesso un altro provvedimento su iniziativa del P.M  attivata il 26 marzo 2014.

Il collegio, dopo sette mesi, ha respinto l'istanza del P.M con una motivazione che offende qualsiasi intelligenza abituata a ragionare sulla sequenza logica dei fatti.

Gli stessi giudici dell'8 novembre 2013, questa volta, non richiamano  più il decreto della Corte di Appello, ma sostengono che la situazione è ancora conflittuale.

La decisione porta ad una sola conclusione: La giustizia non vuole o non può risolvere il caso!

Il P.M  ha assunto l'iniziativa per sollevarsi dalla  responsabilità funzionale mentre il collegio, sempre lo stesso (!?) ha deciso con due  provvedimenti che fanno acqua da tutte le parti.

Infatti tutti, magistrati e servizi interessati sanno che da oltre 3 anni la coppia vive in pace perché lei (l'unica parte conflittuale) si è rifatta una vita con  un altro compagno dal quale ha avuto un altro bambino e  vive a Milano da un anno.

P.M e Tribunale per i minorenni di Roma sapevano e  non hanno voluto  assumere  iniziative perché lei, la madre del minore, illecitamente si è trasferita senza consenso dell'ex marito, sottraendo dolosamente il minore alla disposizione del provvedimento della Corte di appello e soprattutto alle cure filiali  del padre come prescrive la legge.

Una magistratura attenta avrebbe deciso per altri risvolti. Il caso invece deve restare così come  intrappolato! Così è deciso senza motivi!

Lo stesso collegio del Tribunale, non ricusato da chi aveva l'obbligo di farlo, col decreto dell' 8 novembre 2013 ha respinto l'istanza perché il genitore doveva attenersi al provvedimento della Corte di Appello, mentre col secondo del 17 ottobre 2014 (dopo un anno), tenuto gelosamente nascosto, ha respinto la richiesta del P.M per presunta conflittualità.

Dunque  è confusione giudiziaria o vi é altro celato motivo che impedisce padre e figlio di vedersi e di frequentarsi? Sotto quale “CUPOLA” opera chi ha complottato la trappola di questo vergognoso comportamento?  A quale prezzo? Chi c'è dietro la Cooperativa che ha preteso di continuare incontri  fasulli e inutili, senza programmi, a tempo indeterminato al solo scopo di sottrarre ingenti somme dalle  finanze del Comune?

Re Giorgio si lamenta del  protagonismo della magistratura quando questo è assunto per fare carriera, ma non si lamenta quando il protagonismo istituzionale affonda le radici in ben altre motivazioni.

Nessun tribunale può decidere nella sfera affettiva del minore e nessun giudice ha il metro giusto e valido per valutare la capacità genitoriale.

Case protette ed incontri forzati sono solo occasione per aprire lucrosi contenziosi.

Sorge spontaneo l'interrogativo: ma questa giustizia si comporta allo stesso modo con casi di genitori separati che riguardano magistrati?

Agli archivi l'ardua sentenza!!!

Altre considerazioni, pur di logica giuridica, sono sottratte alla libera e pubblica discussione per evitare rigurgiti di risentimenti e spropositi  di vendetta.

avv. Gerardo Spira

 

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