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Giovedì 12 Novembre 2015 16:56

Tribunale di Monza


Arroganza senza ritegno!


Una seguitissima trasmissione televisiva, alcuni mesi or sono, aveva sollevato seri dubbi sul funzionamento del tribunale di Monza. Si auspicava, con questa pubblica denuncia, un cambiamento di rotta. Speranza infranta poiché quella istituzione sembra far parte di un altro Stato dove i diritti del cittadino, di fatto, non sempre vengono tutelati.

Il pregiudizio nelle istituzioni, se esiste, è la morte della giustizia e della democrazia.

In queste pagine abbiamo riferito di una madre e di una minore di sei anni “ostaggi” di un tribunale che costringe loro a vivere in un paese della zona perché così vuole il padre (sarebbe più giusto dire la nonna paterna) e non si tiene conto che la stessa non colà non trova lavoro e che lui percepisce uno stipendio di oltre 1.600 euro al mese (14 sono le mensilità!) e, nel tempo libero, invece di stare con la figlia – che sistematicamente lascia a persone terze anche a dormire - svolge altre attività commerciali e artigianali con la nuova compagna, mentre paga un esiguo assegno di mantenimento. La casa familiare affidata alla figlia e alla moglie è della suocera e lui vive in una casa nuova acquistata da sua madre ma intestata a lui come prima casa per non pagare le tasse, mentre il mutuo, stando ai movimenti bancari, è pagato dalla madre. Nella casa familiare non ha mai avuto la residenza, mentre sua madre resta “saldamente” nello stato di famiglia della moglie e figlia. L’ex nuora, a causa della pensione della suocera che si aggiunge al suo misero stipendio, non può accedere al patrocinio gratuito e - cosa ancora più grave - non ha risorse per pagarsi legali, ctu e quant’altro per potersi difendere nelle sedi giudiziarie dai continui attacchi di marito, suocera & C.

La madre è senza lavoro e deve vivere con un assegno mensile di mantenimento per lei e per la figlia di €. 550,00. L’abitazione in cui la madre “deve risiedere” ha un costo di utenze di oltre 200 euro al mese! La madre, con laurea e specializzazioni varie, si è diplomata anche come operatrice socio-sanitaria per avere la possibilità di reperire più facilmente un lavoro.  Lo aveva trovato,  come O.S., nella zona di residenza coniugale. Sopraggiunte le difficoltà di convivenza con il marito - che aveva già programmato la propria vita con altre donne, anche contemporaneamente - e che con la richiesta di separazione da parte della moglie - che non accettava il ruolo di favorita in un harem tutto privato - il coniuge si rifiutava di contribuire al pagamento della baby-sitter che assorbiva tutto il suo stipendio.

Alla madre, terminata la maternità facoltativa, non restava che licenziarsi e seguire personalmente la crescita della bambina, trasferendosi presso i propri genitori che l’ospitavano e le tenevano la figlia durante l’orario di lavoro. Infatti, nel paese in cui era vissuta e dove la sua professionalità ed umanità era apprezzata trovò quasi subito un lavoro part-time come O.S. Questa scelta fu obbligata poiché non aveva la possibilità di vivere in quella città e la nonna paterna non era stata disponibile a collaborare con la nuora, da lei mai accettata.

Il giudice dei provvedimenti presidenziali, molto attento alle esigenze del padre e della suocera onnipresente, vista la conflittualità tra i genitori (senza tener conto che tale conflittualità era dovuta ad un marito che pretendeva che la moglie accettasse la compresenza nel letto di altre sue amiche (amore di gruppo) e che investiva il suo stipendio non per le esigenze della famiglia ma per continui acquisti di videogiochi per sé; che si opponeva a qualsiasi trasferimento della moglie separata con la figlia per evitare il cambio del tribunale e per timore della revisione delle condizioni economiche della separazione) stabilì, senza alcun plausibile vero motivo, l’affido della minore ai servizi sociali con collocazione presso la madre; impose alla stessa di restare presso la casa coniugale e determinò l’assegno di mantenimento a 350 euro per la figlia e 200 per la moglie perché, a suo dire, il marito doveva pagare il mutuo della casa dove di fatto abitava la suocera ed ora anche lui.

Alla signora venne concesso il gratuito patrocinio, ma che, poi, su denuncia del legale del marito, le venne tolto immediatamente perché la suocera, titolare di una buona pensione, aveva la residenza nel nucleo familiare suo e della figlia. Tutto ciò ha un chiaro significato: non permettere alla moglie di potersi difendere nei tribunali poiché non poteva pagarsi i legali!

Alla madre – che nel frattempo lavorava nella sua città di origine e abitava con la figlia presso i propri genitori – venne imposto di far ritorno al paese del marito senza minimamente preoccuparsi del suo mantenimento, non avendo il lavoro. Ad una precisa istanza di revisione delle condizioni economiche contenute nei provvedimenti provvisori, il tribunale stabilì che nei mesi di luglio ed agosto il padre avesse versato una integrazione mensile di 100 euro!

Inoltre il giudice, su richiesta del legale del marito, “pretende” che la madre si sottoponga a psicoterapia e ad una cura con farmaci, così come suggerito dalla Ctu, psicoterapeuta ma non psichiatra. La Corte suprema, in merito, è stata molto chiara: senza la disponibilità della persona interessata non si può imporre la psicoterapia e nemmeno la mediazione familiare. La psicologa, inoltre, non essendo un medico-psichiatra, non può condizionare i diritti della madre ad una cura farmacologica! Si prospetta un vero e proprio abuso di professione e d’ufficio.

I servizi sociali – ai quali la madre, senza lavoro e senza possibilità di sopravvivenza nel paese lombardo, si era rivolta – le risposero che loro non potevano aiutarla economicamente perché dall’Isee risultava il reddito della suocera (la quale nonostante le garanzie date dal legale del figlio dinnanzi al giudice, non aveva ancora trasferita la propria residenza) e che pertanto doveva rivolgersi alla Caritas per mangiare e per i pacchi dono!

Gli si prospettava una vita da barbona!

Se avesse trovato un lavoro, i servizi le avrebbero concesso di tenere la bambina in una struttura diurna per persone con difficoltà esistenziali! Cosa dire di questa sensibilità dei servizi sociali e cosa pretendere di più dalla vita?!?

Dinnanzi alla possibilità di avere un lavoro stabile e una serenità per la figlia e per sé, la sfortunata madre ha accettato un lavoro part-time a tempo determinato ma che si trasformerà, tra breve, in assunzione a tempo indeterminato ed ha fatto ritorno al proprio paese di origine.

La Cassazione ha ribadito anche i recente che il genitore collocatario può trasferirsi con i figli anche in località distanti dall’abituale dimora coniugale per motivi di lavoro.

La madre, con tanto di contatto di lavoro, ha  fatto una istanza urgente al giudice per l’anticipazione dell’udienza programmata fra alcuni mesi, facendo presente la situazione economica e sociale in cui si sarebbe trovata se fosse restata in quella città e per chiedere l’autorizzazione a trasferirsi in Toscana..

Il giudice ha rigettato l’istanza di potersi trasferire con la figlia per motivi di lavoro, mentre ha subito accettato quello del padre che chiedeva l’affido esclusivo della figlia.

Il giudice istruttore, con inaudito provvedimento e poca dimestichezza con le sentenze della Corte suprema, ha stabilito che la figlia sia affidata al padre, che la madre la possa vedere un fine settimana alternato e durante la settimana ma a casa del padre (cioè deve sostenere le spese di un viaggio – andata e ritorno -  di 750 Km.) abitando, per il pernotto con la figlia nella casa dell’ex-marito!

Il marito non dovrà dare il mantenimento alla moglie perché percepisce uno stipendio fino a dicembre – di cinquecento euro al mese con cui deve pagarsi anche le spese di viaggio (alcune decine di km.) per recarsi al lavoro e, inoltre, la madre dovrà passare al padre un assegno mensile di 250 euro per il mantenimento della figlia! L’attuale suo stipendio è di 500/550 euro al mese: cifra non sufficiente nemmeno per sostenere i costi per andare a trovare la figlia. Il marito che ha un ottimo stipendio, oltre ad incentivi e retribuzioni per partecipazioni per conto della ditta in cui lavora a manifestazioni, mostre e fiere, conduce una vita dispendiosa e aiuta la compagna nell’attività artigianale e commerciale di articoli per l’estetica.

Per questo tribunale lombardo giustizia è fatta!

Le istanze e le richieste della signora vengono puntualmente rigettate o ignorate dal giudice, mentre quelle del marito sono prontamente accolte.

La moglie, a seguito del provvedimento che le toglieva la collocazione della figlia, ha messo in rete il suo dolore e le sue giuste preoccupazioni, ricevendo una marea di consensi e di solidarietà.

Far ricorso al Web e mettere in rete le proprie preoccupazioni di madre - disperata perché nessuno prestava attenzione alle sue giuste richieste - non è un reato e nemmeno è indice di incapacità genitoriale e nessuno pensa che questa madre debba incontrare la figlia – vissuta sempre con lei – in modalità protetta alla presenza contemporanea di due operatori di cui non è dato sapere la qualifica e il ruolo.

Il marito lo ha fatto presente ai servizi sociali che - sostenuti anche dalla psicoterapeuta che da anni segue la suocera (che non disdegna i farmaci per combattere le sue repentine crisi depressive ed affettive) e il marito – hanno chiesto al tribunale provvedimenti urgenti per la sospensione delle visite libere madre-figlia. Immediata la risposta favorevole del giudice! Tutti concordi chiedono che la madre si sottoponga a psicoterapia e ad una cura farmacologica così come chiesto dalla Ctu.

Cosa dire?

Il padre, un autentico Peter Pan del terzo millennio, nell’ultima udienza dinnanzi al giudice era concentrato sul cellulare per giocare, come sempre! A lui ciò che veniva detto nell’udienza non interessava. E’, questo, un padre adatto a tenere la figlia? Per i servizi sociali e per il giudice sì!

Sarebbe opportuna, a questo punto, la sollecitata ispezione di controllo da parte delle autorità nazionali (CSM e Ministero della Giustizia) sul funzionamento di questo tribunale, per indagare su questi fatti e sarebbe opportuno, a livello di legge, legare lo stipendio dei giudici al lavoro realmente svolto  e renderli economicamente e disciplinarmente responsabili del loro operato.

Non basta trincerarsi dietro la libertà valutativa dei giudici. Non è in discussione la loro professionalità, ma solo gli errori che alcuni (o tanti) giudici continuamente commettono nelle aule dei tribunali  a spese di cittadini inermi.

Ai minori e al genitore più debole – cittadini anch’essi – chi deve provvedere?

 

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