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Mercoledì 02 Marzo 2016 19:03

Una madre d’oltralpe penalizzata dai tribunali liguri per aver difeso la propria figlia

 

La Giustizia minorile del tribunale di Genova

tra fallimento, incompetenza ed arroganza

 

 

Non vogliamo essere considerati dei giustizialisti ma nemmeno siamo disponibili a subire lo strapotere di alcuni giudici che fanno del tribunale un loro feudo e che, senza alcun controllo, negano ai semplici cittadini, italiani ed europei, l’elementare diritto alla giustizia.

Non sappiamo se il Ministro della Giustizia si ponga effettivamente la questione del funzionamento di alcuni tribunali e se consideri l’ipotesi - doverosa a nostro parere – di destinare ad altra occupazione tutti coloro che, nel loro quotidiano operare, sembrano ignorare la legge. Sorte non diversa dovrebbe essere riservata ai loro diretti superiori. Alcuni presidenti dei tribunali, se allertati per le inadempienze e/o irregolarità di alcuni giudici, invece di ascoltare i reclamanti e verificare le loro tesi, li azzittiscono in nome dell’alta professionalità dei giudici contestati.

Ci lascia perplessi quando gli esposti sulla “discutibile” attività di alcuni giudici supportati da denunce, precise e scientificamente documentate, di fatti concreti rimangono a lungo – talvolta per sempre – nei cassetti di corti d’appello, ministero, Csm, procura generale presso la Cassazione, di garanti dell’infanzia nazionali e regionali. Il loro silenzio, se troppo lungo, potrebbe far sorgere inquietanti dubbi sull’uguaglianza dei cittadini e sulla inutilità di certe istituzioni fondamentali per la sopravvivenza della società poiché si radicalizza la certezza che quando la giustizia è incapace ad applicare la legge la nostra società è giunta al capolinea.

Questi i fatti.

Il Tribunale per i minorenni di Genova, investito di un presunto caso di abuso sessuale da parte di un padre sulla figlia di otto anni con lui convivente da parte della Procura della Repubblica di Sanremo/Imperia, condanna immediatamente e senza appello la madre che aveva formulato la denuncia, su insistenza della Questura di Imperia, che aveva ricevuto una segnalazione da Telefono Azzurro.

E’ l’inizio dell’epilogo di una vicenda da incubo sia per la madre, per i nonni e per i cittadini tutti.

La madre, alcuni anni prima, si era vista tolta la figlia all’età di due anni e mezzo perché - su denuncia del padre mentre lei si trovava in ferie con la minore dai nonni materni in Francia - avrebbe sottratto la piccola al convivente per espatriare in un paese africano.

Il solerte Pm della Procura della Repubblica presso il Tribunale minorile di Genova, il giorno successivo alla presentazione della denuncia per eventuali abusi sessuali paterni, era già in grado di sentenziare – forse perché dotato di potenti facoltà divinatorie non avendo fatto alcuna indagine – che i fatti prospettati dalla madre erano inesistenti e che la stessa si era inventato tutto per vendicarsi del padre che le aveva sottratto la figlia. Conseguentemente alle sue “dovute” conclusioni, chiedeva al tribunale minorile: di sospendere immediatamente gli incontri liberi figlia-madre e predisporre quelli protetti in presenza di una educatrice, oltre all’attivazione dell’iter per la decadenza della responsabilità genitoriale materna.

Il tribunale, ha subito decretato di delegare i servizi sociali del comune di residenza della minore con un mandato generico per far seguire la minore dal servizio psichiatrico dell’Asl, per predisporre incontri protetti in presenza di una educatrice con l’obbligo di riferire allo stesso eventuali anomalie. Dopo quattro mesi – periodo in cui la bambina non sapeva dove fosse finita sua madre o meglio era continuamente “bombardata” da padre e company del suo abbandono - sono iniziati gli incontri protetti con cadenza quindicinale e per la durata di 90 minuti. Quando la madre non poteva parteciparvi per motivi di lavoro, tali incontri non venivano recuperati per la indisponibilità del padre ad accompagnare la figlia; nel periodo natalizio e a seguire il giorno del suo compleanno, il 13 gennaio, la signora non ha mai potuto incontrarla per fittizi pretesti dei servizi stessi (molto vicini al padre e ai suoi familiari) che da subito si sono dimostrati ostili e prevenuti nei confronti della donna straniera (francese di origini nobili).

Ogni pretesto era buono per sospendere gli incontri protetti per lunghi periodi, fino ad oltre sei mesi, e per permettere al padre di ascoltare abusivamente gli incontri madre-figlia per conoscere cosa la minore avesse raccontato alla genitrice. I servizi arrivarono a costringere la madre a parlare in italiano con la figlia, pur sapendo che la stessa ne conoscesse solo poche parole; che la figlia parlasse molto bene il francese e che l’educatrice conoscesse bene la lingua d’oltralpe. La cittadina ligure dove vive la bambina – molte volte agli onori della cronaca nera - dista pochi km. dal confine francese.

Dinnanzi alla denuncia di possibili abusi sulla minore da parte del genitore con cui conviveva, il Pm e il Tribunale minorile genovese avrebbero dovuto mettere in sicurezza la minore togliendola immediatamente al padre e collocarla provvisoriamente presso una famiglia, come chiedeva la madre, per non inquinare eventuali sue testimonianze.

 

A differenza di tutti gli altri tribunali italiani e in barba alla giurisprudenza, la figlia è stata costretta a vivere nella casa del padre denunciato per presunti abusi su di lei e vivere senza più la presenza rassicurante della madre a cui era particolarmente legata. La figlia verrà sentita dal tribunale solo dopo molti mesi, la quale, temendo il papà ed avendo di fatto perso la mamma, ovviamente si è rifiutata di parlare e non poteva essere diversamente, come ben dimostrato nelle due Ctu commissionate – ma inutilmente - dalla Procura della Repubblica di Imperia.

Il padre, vendicativo e legato ad un ancestrale modo di pensare tipico della sua regione di origine – dove la donna deve solo eseguire gli ordini dell’uomo (in questo caso voleva dire abortire!) e se era poi francese veniva comunemente ritenuta una malafemmina - dopo la denuncia della ex compagna ha inasprito la sua guerra contro questa donna chiedendo al tribunale e ai servizi sociali il suo allontanamento dalla figlia perché sarebbe stata, a suo dire, una pazza e un pericolo per la minore.

La bambina non si rassegnava alla privazione della madre e non accettava le continue pressioni della nonna paterna che parlava solo in dialetto e del clan familiare del padre che la terrorizzavano per istigarla a rifiutare la mamma, dicendole che non l’amava e che voleva mandare in galera suo padre e metterla in un collegio perdendo definitivamente sia il padre che la madre alla quale il tribunale avrebbe vietato dio vederla.

I servizi sociali e la psicologa dell’Asl non hanno mai ascoltato le denunce della bambina e non hanno dato il dovuto risalto alle relazioni delle educatrici che riferivano del suo malessere per l’ingiusto allontanamento della madre e che avevano rilasciato preoccupanti dichiarazione all’autorità giudiziaria che indagava sul padre. Non solo. Inspiegabilmente queste educatrici non allineate venivano allontanate o costrette a rinunciare all’incarico per le pesanti ingerenze (leggasi minacce) del padre.

 

Le responsabilità del tribuinale  minorile di Genova

Il Tribunale minorile genovese, che ben conosceva i fatti e dalle varie Ctu era stato informato della inadeguatezza genitoriale del padre mentre la madre veniva descritta positivamente e nelle quali si sottolineava come fosse indispensabile la sua presenza libera e continuata con la figlia, rigettò tutte le istanze materne per il ripristino degli incontri liberi e per permettere alla minore di frequentare nuovamente la sua casa, cioè a pochi km. di distanza, così come Avveniva in pssato.

La mamma è stata tenuta all’oscuro di tutto ciò che riguardava la figlia e nessuna risposta è mai stata data alla richiesta di sostituire i servizi sociali per la loro inadeguatezza professionale, per gli stretti rapporti interpersonali con il padre ed i di lui congiunti, per il rifiuto di regolamentare in modo dettagliato e con un apposito protocollo la loro attività nei confronti della minore, per aver dimostrato in questi anni di essere pericolosamente prevenuti nei confronti della madre arrivando ad una vera e propria persecuzione nei suoi confronti.

La minore da sempre supplicava i servizi di farla stare con la madre e nel dicembre 2014 continuava a dichiarare alla Ctu di voler vedere e frequentare liberamente la madre anche in Francia dove aveva tanti amici che da anni non vedeva, ripetendo che le mancava tanto.

Il padre – fortemente adirato per il contenuto della relazione della Ctu, nella quale veniva descritto in modo non positivo, a differenza della madre e si sosteneva l’urgenza di ripristinare immediatamente i rapporti madre-figlia e si censurava il modo di operare del tribunale minorile genovese, ritenendolo dannoso per la minore – nell’udienza del 20 febbraio, appena un mese dopo la relazione della contestata Ctu, avanza energicamente la richiesta di sospensione degli incontri figlia-madre e l’allontanamento della madre perché ciò era il desiderio di sua figlia che, piangendo, la rifiutava per il danno recato a lei figlia, a lui, ex compagno, e al suo clan familiare. Chiedeva con insistenza l’audizione della minore.

I legali della signora, nel respingere la richiesta del padre, richiamavano le conclusioni della Ctu che invitava drasticamente il tribunale a non sottoporre più la minore ad interrogatori di qualsiasi genere perché devastanti per lei e perché la ragazzina non avrebbe mai più detto la verità.

 

Le responsabilità del giudice relatore

Il giudice relatore, senza tener in alcun conto l’autorevole parere della Ctu e delle obiezioni della madre, predispone l’audizione della minore senza i genitori e i legali da parte di un giudice onorario senza specifico titolo professionale, contravvenendo al diritto ed alla giurisprudenza che regola dettagliatamente come debba avvenire l’audizione. La bambina viene accompagnata dal padre e dall’assistente sociale denunciata dalla madre che, assolutamente inaccettabile, interverrà con propri pareri all’audizione. Non è stata prevista nemmeno la videoregistrazione dell’audizione per garantire trasparenza e il diritto del contraddittorio per la madre.

Il verbale stilato è di circa trenta righe per un incontro durato quasi due ore e riporta, in poche righe, la volontà della figlia o meglio la sua dichiarazione di non voler vedere più la madre fino a quando non chiederà scusa al padre per il male che lei le avrebbe fatto. Dichiarazione che, stranamente, coincide alla lettera con quelle fatte in precedenza dal padre e verificabili negli atti!

I Servizi sociali, di propria iniziativa, sospendono gli incontri in base all’audizione e ai colloqui avuti con la minore.

Il tribunale, informato del fatto, non ha contestato che tali decisioni erano di esclusiva pertinenza del giudice e dovevano essere prese a seguito di contraddittorio tra le parti. Una bambina di 12 anni può esprimere il proprio parere al giudice ma non può decidere da sola se incontrare o meno la madre, e non può sconfessare, dopo poche settimane, quanto andava ripetendo da anni ed aveva ribadito, più volte, anche tre mesi prima alla Ctu. Il giudice, inoltre, non può sottovalutare i pesanti condizionamenti subiti dalla minore a casa del padre come risulta agli atti.

In data 27.1.2016, il tribunale emette un decreto – fotocopia dei precedenti - con il quale sospende definitivamente qualsiasi rapporto della bambina con la madre, con i nonni e parenti materni.

Le responsabilità del P.M.

Il P.M., da cinque anni, prospetta scenari apocalittici, privi di qualsiasi riferimento scientifico alla psicologia dell’età evolutiva e alle risultanze delle recenti Ctu, ma basati, come appare, solo sulle sue convinzioni o presunzioni che, come troppo spesso accade in queste situazioni, potrebbero essere sempre devastanti per la minore e per il genitore estromesso dalla vita dei propri figli. Le competenze del P.M. sono legate al codice e non alla psicologia “familiare” che compete esclusivamente alle Ctu e ai Ctp. Il giudice fa il giudice ed è chiamato a far rispettare la legge, decide alla luce del diritto e non delle passeggere teorie e/o sue emozioni psicologiche!

Il giudice relatore non solo ha sempre rigettato le istanze della madre ma si è permesso di intromettersi, con una propria lettera a difesa delle assistenti sociali, nel procedimento aperto dalla Procura della Repubblica competente a seguito della denuncia della madre per la “loro” sospensione degli incontri con la figlia, provvedimento non di loro competenza, come è ben specificato dalla legge sulla pubblica amministrazione.

Vari organismi nazionali, a cui compete vigilare sui tribunali e sui diritti dei minori, sono stati chiamati ad intervenire su questa kafkiana situazione.

Dopo tre mesi ancora tutto tace. Il Csm ha mandato ispettori al Tribunale minorile di Genova e alla Procura della Repubblica di Imperia? Cosa si deve dedurre?

Il Tribunale per i minori di Genova, allertato di quanto stava succedendo, non ha mai messo in atto procedure per la tutela della minore e della madre, prevedendo, con la partecipazione dei legali della madre, un protocollo per determinare le finalità, le modalità e la trasparenza degli incontri protetti e di quelli tra la bambina, i genitori e i servizi sociali e la psicologa che la segue e, non ultimo, tra la bambina e il giudice.

Il giudice relatore ha addirittura cercato di condizionare le decisioni del giudice penale e non ha mai voluto revocare l’incarico ai servizi sociali che hanno dimostrato la mancanza di competenze professionali, la inammissibile discrezionalità nel rispetto delle direttive sulla p.a. e la palese mancanza della par condicio tra i genitori. Mancano i verbali degli incontri madre-figlia e di quelli dei servizi sociali con la minore e con i genitori; mancano rapporti specifici che giustificano l’attività e le conclusioni dei servizi il cui unico scopo è solo quello di riferire al giudice e non di precederlo con le loro iniziative sulla minore e sulla madre. Da ultimo, è bene ricordare che inspiegabilmente non sono stati mai tenuti incontri congiunti figlia, genitori ed operatori del servizio sociale.

La madre non ha perduto la responsabilità genitoriale e che ancora è operante l’affido condiviso della minore tra madre e padre, con collocazione della minore presso di lui, e pertanto tutte le decisioni sulla minore devono coinvolgere anche la madre, altrimenti è applicabile l’art. 709 ter cpc nei confronti del padre.

Ma perché non viene fatto tutto ciò?

Questo decreto richiama la cultura giuridica medievale e questa giustizia, oltre a non essere garantista, è incapace ad applicare la legge.

Tutte le deduzioni sono state fatte dal giudice relatore e dalle “amiche” assistenti sociali che hanno fatto un abuso nel sospendere gli incontri poiché non di loro competenza. Il giudice relatore è, come detto, corso subito in loro soccorse al tribunale penale, con una pericolosa intromissione, motivata forse anche dal fatto che potessero venir fuori le pesanti inadempienze del giudice minorile. Il tribunale se voleva salvarle doveva emettere un provvedimento – con evidente forzatura - con il quale confermava la sospensione precedentemente adottata dalle assistenti sociali su sua specifica – quindi non generica - autorizzazione.

L’audizione della minore è stata fatta senza la presenza del legale e dello psicologo di parte e non è stata condotta dal giudice togato come prevede il protocollo ministeriale. Pertanto le conclusioni che se ne sono tratte sono del tutto inutili perché l’audizione stessa è nulla.

L’ultimo decreto sospende gli incontri della minore con la madre e con i nonni e demanda alle stesse assistenti sociali di verificare le nuove condizioni senza precisare il modo e i tempi della verifica stessa. Queste assistenti sociali sono state denunciate dalla madre e mai più potranno essere considerate come persone neutre.

Il decreto ultimo, ancora una volta prova il fallimento e l’incompetenza della GIUSTIZIA minorile del tribunale di Genova e non tiene conto che la bambina è completamente plagiata dal padre e dal suo entourage familiare con la complicità di altri.

Nel Tribunale minorile di Genova si fatica a camminare col passo della legge, lo stato confusionale del diritto ha portato anche a violare l’istituto della ricusazione, calpestato apertamente dallo stesso giudice di genere femminile, il quale per difendere la sua dannosa onnipotenza entra in ogni procedimento riguardante lo stesso caso, senza avvertire il dovere di starne lontano. Sempre lo stesso giudice, in corso di denuncia penale contro le assistenti sociali, si è permesso di interferire con una nota scritta per difenderle da un reato clamoroso, quale l’abuso, commesso durante la sospensione dei contatti tra madre e figlia. Le predette, di autorità, con un proprio provvedimento hanno disposto la fine degli incontri, sostituendosi ad una competenza esclusiva del Tribunale.

Tutto ciò mette in evidenza in quale situazione vive la Giustizia minorile di alcuni tribunali italiani e con quali capacità professionali vengono affrontati casi che possono essere risolti da “manuale”.  Il decreto del 27 gennaio 2016, infatti, è un esempio che mortifica la scienza giuridica, la logica del diritto e la dignità della persona del minore. E’ violato il principio sulla giustizia a dimensione di minorenni e quello più sacrosanto del contraddittorio. Il provvedimento si conclude ... e il caso è consegnato all’intruglio della cultura locale che vi ha messo le mani sopra e nessuno sa quando sarà risolto.

Non solo! Nessuno si sa con quali modalità e tempi le assistenti sociali, quelle coinvolte in palesi conflitti ambientali, si muoveranno. Il Giudice, sempre lo stesso, non ha voluto stabilirlo o non ha potuto, lasciando strategicamente il caso nelle mani di cose locali. Ma vi è di più. Con questo provvedimento, il tribunale, consigliato da quel giudice relatore, quello di sempre, ha finalmente disposto la fine degli incontri, incontri sempre osteggiati, esercitando finalmente la competenza più volte richiesta dal legale della madre.  Il tribunale ha sbugiardato le assistenti sociali, confermando la sussistenza del reato di abuso da parte loro. Il Tribunale, con il provvedimento si è messo al riparo dal reato di concorso, lasciando intendere che l’iniziativa era stata presa senza il consenso del tribunale. Il tribunale no, non c’entra, invece il giudice, quello di sempre, sì, perché in corso d’opera ha scritto una lettera per giustificarle.

Quale strategia sarà attuata per scolpare la Giustizia? Se il Tribunale voleva salvarle, poteva emettere immediatamente un provvedimento di conferma di quello fatto dalle assistenti, riportando gli effetti a quella data. Il tribunale non conosce questo risvolto di diritto?

Vero è che il CSM non interviene sulle procedure, ma sulla logica del diritto trattato sì.

Il cittadino paga le tasse per avere servizi certi e qualificati. Se questo non è possibile, almeno facciamoli pagare di meno o in modo adeguato ai servizi resi. Forse è più giusto e possiamo anche trovare la giustificazione a ciò che accade.

Si invita a leggere il precedente articolo dal titolo “In nome della Legge! Ma siamo proprio certi?”

(II parte – continua)

 

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