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Martedì 15 Marzo 2016 12:47

 

A dieci anni dall’entrata in vigore


L’affido condiviso resta pur sempre

una mezza riforma snobbata dai giudici


di Ubaldo Valentini*

Il 1 marzo 2006 veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la legge n. 54 del 8 febbraio 2006: "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli". La legge, che andava a riformare l’art. 155 del c.c. e ad integrare gli artt. 708 e 709 del c.p.c., fu il frutto di tanti compromessi che hanno snaturato il progetto iniziale dell’on. Vittorio Tarditi per lasciare spazio a troppe discrezionalità e per non toccare gli interessi di influenti lobby: avvocati, psicologi, pedagogisti, operatori socio-sanitari, le donne, le madri e le femministe la cui maggioranza consideravano i figli come una loro proprietà e mal sopportavano la condivisione della genitorialità con il partner dopo la fine della convivenza. Queste categorie, non propense ad un affido condiviso realmente paritetico tra i genitori, avevano un forte peso nella compagine parlamentare e finirono per condizionare la stesura finale della legge che ha finito per trascurare i veri interessi dei figli che a parole diceva di voler tutelare.

L’evento fu salutato come una vittoria dei padri e come l’affermazione del principio della bigenitorialità, dimenticando che la stessa non è una conquista ma un diritto naturale sia per i figli che per i genitori che nemmeno la legge sul divorzio può ignorare.

Sono passati dieci anni ed è doveroso fare un bilancio su una legge che indubbiamente costituiva una rottura contro una prassi giudiziaria che non era molto propensa all’affido dei figli al padre nemmeno quando la figura materna era meno idonea. Il padre, nei tribunali, non era tutelato nemmeno nel suo inalienabile diritto genitoriale poiché, di fatto, nell’economia educativa dei figli, gli veniva riconosciuto un ruolo marginale e ai figli non veniva garantito il diritto alle

pari opportunità genitoriali.

Nel 2006 sono state gettate le basi – almeno a livello teorico – per garantire la centralità dei figli nelle separazioni, per una genitorialità condivisa nella quotidianità e per un ruolo significativo degli ascendenti: nonni e parenti. I fatti poi in molti tribunali saranno ben diversi.

Altro punto giustamente rimarcato era la questione economica degli assegni di mantenimento, delle spese straordin

arie e della casa familiare, aspetti, questi, importanti che indubbiamente non potevano essere ignorati (art. 155 e 155 qu

ater c.c.).

Particolare rilevanza aveva l’art.709 ter c.p.c., che prevede interventi incisivi per contenere la prassi diffusa da parte del genitore affidatario – quasi sempre la madre – di ostacolare con i più assurdi pretesti il diritto alla genitorialità dell’altro genitore, incurante del danno psicologico ed affettivo subito dai figli per la mancata osservanza delle disposizioni del tribunale o degli accordi sottoscritti nella consensuale.

La legge voleva c

orreggere certe prassi giudiziarie incentrate quasi esclusivamente sulle questioni dei genitori (quasi sempre di natura economica) e non sui diritti dei figli e sui doveri degli adulti nei loro confronti.

Entrata in vigore la legge e già vi era chi parlava dell’esigenza di un nuovo provvedimento legislativo a causa della sua mancata applicazione nelle aule giudiziarie da parte di tanti giudici. C’era poi chi chiedeva di imporre la mediazione familiare per risolvere la conflittualità tra i genitori. Tesi, queste, fatte proprie da associazioni che troppo spesso celano interessi di varia natura e/o che sono di supporto di partiti, di professionisti e di strutture mantenute con i soldi pubblici.

Criticità della legge sull’affido condiviso

La legge, al di là delle affermazioni di principio, non ha previsto meccanismi vincolanti per garantire, nei fatti, la centralità dei figli nelle separazioni. E’ stata lasciata una discrezionalità eccessiva ai giudici che - come già accaduto in precedenza - la legge non l’applicano e troppo spesso la interpretano in base a teorie pseudo-psicologiche o, purtroppo, solo su prassi consuetudinarie discutibili e non riconducibili ai principi scientifici dalla psicologia dell’età evolutiva.

 

La centralità dei figli e il ruolo educativo e formativo di entrambi i genitori non possono essere ignorati se non si vuole far crescere gli adulti di domani nel disagio e nell’incertezza della giustizia. I figli hanno bisogno di certezze che sono alimentate dalla consapevolezza che per tutti esistono diritti e doveri e che fra questi, considerata la loro particolare età, un posto di rilievo hanno le pari opportunità genitoriali che il giudice deve garantire a tutti e in primis ai minori.

 

Il giudice, come ci ha ricordato più volte Strasburgo, deve decidere e deve far rispettare le proprie decisioni senza delegare strutture terze a “sostituirlo”. La prassi pilatesca non tutela i figli, anzi diviene, ben conoscendo il modo di operare di certe strutture, una passiva adesione alle ideologie di genere che le stesse portano avanti. Non è affatto vero che la madre sia sempre e comunque vittima del partner e che sia sempre la più idonea ad educare e far crescere i figli. Un pregiudizio, questo, che sotto mentite spoglie condiziona il condiviso nella stragrande maggioranza delle separazioni.

Non è facile far convivere le esigenze dei figli con quelle dei genitori separati, ma indubbiamente sono quest’ultimi che, nelle loro scelte, devono tener conto delle primarie esigenze dei figli che necessitano di stabilità e continuità affettiva e relazionale. Sradicarli dal loro contesto sociale e parentale per seguire il genitore collocatario che, a sua volta, insegue le proprie “opportunità” affettive crea nei minori - e negli adolescenti in particolare – uno stato di incertezza nei suoi punti di riferimento e un profondo stato di disagio, talvolta ben mascherato, destinato prima o poi ad esplodere con modalità non più gestibili.

L’affido condiviso alternato, raramente preso in considerazione, obbliga i due genitori a relazionarsi tra loro e ad assumersi specifici impegni con i figli, compreso quello di garantire loro una continuità relazionale con l’ambiente in cui vivono e sono vissuti. La residenza dei genitori non più conviventi dovrà inevitabilmente tener conto che i figli, crescendo, dovranno avere la possibilità di frequentare liberamente le loro reciproche abitazioni senza cambiare amici, scuola e “parenti”. Bene le famiglie allargate purché siano stabili i componenti, accettati dai figli e purché i nuovi partner non si sostituiscano all’altro genitore.

La legge, inoltre, è vaga sul ruolo dei servizi sociali, sulla mediazione familiare, sui percorsi genitoriali e sulle modalità di togliere i figli ai genitori per affidarli a case famiglia, famiglie affidatarie ed istituti in nome della conflittualità genitoriale e delle momentanee difficoltà economiche ed esistenziali dei genitori naturali. Fattori questi che hanno dato vita ad una infinità di strutture e figure professionali che assorbono la maggioranza dei fondi economici pubblici messi a disposizione dei minori, sui quali non vi è un serio controllo esterno sul loro corretto funzionamento, sulla loro opportunità, analizzando caso per caso, e sulla professionalità degli operatori. E’ ovvio che non possono essere i servizi sociali a valutare tutto ciò, poiché queste strutture sono una loro emanazione o con esse hanno vari interessi. Il controllo deve essere fatto da un’équipe altamente specializzata ed esterna ai comuni e alle Asl, proveniente da altre regioni o da centri specializzatine non di parte.

I servizi sociali - sia dipendenti dai comuni, sia da un consorzio di comuni che dall’Asl – troppo spesso sono una lunga mano del potere politico locale e non sempre evidenziano professionalità, competenza ed imparzialità. Traspare, nelle loro relazioni, superficialità, tanta discrezionalità condizionata ideologicamente, arroganza e scarsa esperienza in queste delicate questioni familiari. Il metodo copia-incolla è molto diffuso e gli schemi manualistici adottati sono quanto mai impropri. I servizi sociali arrivano addirittura ad assumere ruoli decisionali del tutto “abusivi” sia in relazione al diritto di famiglia sia alla luce della legge sulla pubblica amministrazione che riconosce loro specifiche e circoscritte competenze. Resta difficile comprendere come possa il giudice fare acriticamente proprie le loro conclusioni.

Le recenti sentenze europee sono molto critiche nei confronti dei servizi sociali italiani e dei giudici che lasciano gestire loro la delicata materia minorile. La delega che viene loro data dal giudice di “verificare” e gestire interventi sui genitori allunga i tempi della decisione, aumenta la conflittualità del genitore collocatario/affidatario che alimenta impunemente la sindrome di alienazione parentale (Pas) nei figli inducendoli a rifiutare l’altro genitore grazie ai provvedimenti del tribunale, quasi sempre generici, eternamente provvisori ma non modificabili, penalizzandolo nei suoi diritti genitoriali e con una iniqua imposizione economica. Questo modo di procedere, anche quando non si arriva alla Pas, crea inevitabilmente una frattura tra i figli ed il genitore meno presente e/o emarginato.

La consuetudine di imporre ai genitori un percorso di mediazione e talvolta di psicoterapia – imposizioni condannate dalla Cassazione anche di recente – alimenta la frattura tra i genitori poiché parte dal presupposto che la conflittualità sia causata da ambedue i genitori, mentre in realtà è originata dallo strapotere del genitore che tiene con sé i figli e che considera l’altro genitore – è bene ricordarlo, quasi sempre il padre – esclusivamente un genitore bancomat. Tutto ciò non accadrebbe, se il giudice fosse sempre solerte e determinato nel decidere ed equo nei provvedimenti, prevedendo chiaramente il cambio di collocazione-affido dei figli quando l’altro genitore non si attiene alle disposizioni del tribunale. Ovviamente si parla di provvedimenti equi anche nella parte economica.

I tribunali con molta fantasia impongono le spese straordinarie senza mai determinarne la natura specifica e senza mai prevedere che le stesse debbano essere concordate preventivamente di volta in volta tra i due genitori e senza imporre che la relativa documentazione fiscale debba essere intestata ai figli. Per porre fine alle inutili discussioni ed ai possibili abusi, occorrerebbe che lo stesso Ministero della giustizia - sentiti i tribunali, gli avvocati e i genitori tramite le loro categorie - formuli un protocollo con le spese da ritenersi straordinarie e quelle che, invece, rientrano nelle spese ordinarie coperte dall’assegno di mantenimento per i figli. Lo stesso protocollo potrebbe prevedere i parametri per una equa ripartizione dell’assegno di mantenimento dei figli che non può gravare, come spesso avviene oggi, solo sul genitore non collocatario/affidatario e che non può tener conto di parametri standard legati ai redditi reali, anche se non dichiarati. I protocolli esistenti in alcuni tribunali sono stati formulati tra il tribunale e l’ordine degli avvocati. E i diretti interessati, i genitori, perché sono sistematicamente lasciati fuori?

La corretta applicazione della legge

Le riforme per un vero affido condiviso non possono essere surrogate dal divorzio breve (una inutile ritualità) e dalla abolizione dei Tribunali per i minori. E’ da sempre nota l’inutilità di questi tribunali, la loro inefficienza e pure la scarsa professionalità della stragrande maggioranza dei giudici onorari. Trasformare i tribunali minorili in una sezione della famiglia dei tribunali ordinari non serve a nulla senza una profonda riforma del loro funzionamento e senza un radicale cambio dei magistrati togati e dei giudici onorari, con un reclutamento ex-novo che privilegi la loro specifica competenza professionale e che renda obbligatorio anche per loro l’aggiornamento continuo per dare risposte sempre adeguate ad ogni singolo caso da loro trattato. Struttura nuova, dunque, con personale nuovo e preparato.

Il condiviso non può escludere, come spesso avviene in molti tribunali, l’affido alternato, cioè la frequentazione paritetica dei due genitori da parte dei figli che, ovviamente, dovranno rimanere a vivere nella zona in cui i figli sono sempre vissuti. Ogni genitore provvederebbe direttamente agli alimenti dei figli quando sono con lui e provvederebbe, d’accordo con l’altro, alle spese ordinarie e straordinarie. La quotidianità dei figli diverrebbe, così, la quotidianità dei genitori e anche tante inutili conflittualità provocate dalle istituzioni verrebbero meno.

E’ doveroso prevedere protocolli operativi dettagliati e continuamente monitorati tra tribunali, servizi sociali e genitori in tutti quei casi in cui si rendono necessari interventi sociali mirati per la gestione della genitorialità in situazioni critiche attraverso le strutture pubbliche e private che operano con i finanziamenti pubblici. Protocolli sì, ma con l’apporto diretto dei genitori a cui unicamente appartengono i figli, per eliminare abusi e sfruttamenti che oggi sono, purtroppo, ampiamente presenti.

Una nuova legge sull’affido? No. Grazie! C’è bisogno solo di meno business e di tanta più professionalità. Ad ogni livello, ovviamente.

  • filosofo, pedagogista, sociologo e presidente dell’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori.
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