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Martedì 20 Dicembre 2016 09:51

Regione UMBRIA

Norme per le politiche di genere e per una nuova civiltà delle relazioni tra donne e uomini


Approda in aula il disegno di legge 341 che ha avuto un iter abbastanza travagliato. Un iter iniziato nella scorsa legislatura con un impegno di lavoro pressante, e ormai ultraquinquennale, delle associazioni femministe umbre che si era sostanziato nella presentazione da parte della Giunta dell’atto 1259, approvato in commissione ma mai approdato in aula.


Sperpero di soldi pubblici

in favore di associazioni femministe

 

Relazione di minoranza del consigliere Sergio De Vincenzi – Vicepresidente III Commissione – Consiglio Regionale dell'Umbria

***

Il ddl rientra nelle competenze previste dal titolo V della vigente costituzione e sostanzialmente

prende le mosse da convenzioni internazionali.

Fra queste, in particolare la relazione introduttiva al ddl fa riferimento alla Convenzione del Consiglio d’Europa per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica, adottata ad Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata dall’Italia con la legge 77/2013.

È comunque opportuno qui ricordare che ad oggi molti paesi pure firmatari di quell'accordo non hanno ancora ratificato la convenzione ed altri, come la Turchia, stanno introducendo norme contro le donne, che nello specifico ha in fase di approvazione la legge sulle bambine-spose.

Il ddl presentato dalla Giunta è stato originariamente redatto da un “comitato tecnico-scientifico” con una prima stesura che risale al biennio 2011-2013 ed il cui costo complessivo ci piacerebbe francamente oggi conoscere visto il massiccio dispiegamento di forze messo in campo su tutto il territorio regionale negli anni 2011-2015, sia da parte dell’Ente e delle varie Istituzioni locali che delle Associazioni Femministe che hanno teleguidato l’operazione, il tutto naturalmente a carico di noi cittadini.

Così se la Presidente vorrà anche renderci edotti su questo aspetto in molti Le saremmo senz’altro grati.

Ma questa è storia. Una minima premessa doverosa.

Oggi possiamo solo dire che la Giunta ha voluto caparbiamente perdere un'occasione importante per dare al nostro territorio una normativa che potesse essere sostenuta da una larga maggioranza perché veramente innovativa e rispettosa della dignità delle donne umbre, dimenticando totalmente che nonostante tutto governa la “democratica Umbria” con solo il 23% dei consensi degli aventi diritto al voto.

Il buon senso politico evidentemente alberga altrove, ma il PD non è certo nuovo a questi atteggiamenti.

Una legge che fosse organica nei contenuti e soprattutto veramente rispondente alle attese delle donne e alle loro necessità, e non solo a quelle in ambito lavorativo e nei vari contesti economico-sociali, ma anche in quello familiare, nel ruolo di moglie e di madre e, ancor più, ad esempio, a tutte quelle donne che si fanno carico di tante situazioni difficili nella società, senza essere considerate e senza far notizia sui media, a cominciare, ad esempio, da tutte quelle che dedicano con amore la loro vita nella cura di figli o familiari con disabilità, o di figli entrati nel vortice delle dipendenze e molte altre situazioni ancora.

E che dire delle donne nella terza e quarta età?

Una legge, in sostanza, che, con queste caratteristiche, avesse potuto riscuotere anche il convinto consenso della minoranza, perché sul tema della promozione della figura femminile non dovrebbero, né avrebbero dovuto, esserci distinguo né di metodi né di intenti.

Personalmente, in qualità di Vicepresidente della III Commissione ho chiesto formalmente un ripensamento attento e condiviso dell’atto proposto, perché  palesemente mal scritto e mal articolato nelle misure e negli obiettivi.

Ma la richiesta, a fronte di un’improvvisa accelerazione dell’iter, è caduta nel vuoto.

Ad onor del vero sono stati anche sollecitati degli emendamenti da parte della minoranza; ma come emendare un atto in larghissima parte non condivisibile?

Anche tutte le indicazioni provenienti dal mondo sociale audito non riconducibile al contesto del femminismo è stato totalmente ignorato.

Perché?

E così è prevalsa da parte della Giunta, e ce ne dispiace, la scelta di dare seguito ad una norma chiaramente connotata con quelle tinte di un femminismo ideologico, stantio e vetero-sessantottino, scevro da adeguamenti storico-sociali e culturali, che ancora una volta ha riproposto lo stereotipo di una contrapposizione fra i sessi tutto giocato su ruoli di oppressione e di prevaricazione, che per altro spesso sono frutto di fuorviante narrazione mediatica proveniente da ambienti culturali orto direzionati piuttosto che da realtà di vita generalizzata.

E con questo certo non si vuole minimizzare l’esistenza di casi di violenza di genere per i quali invece urge, anche a ns avviso, una reale ed efficace prevenzione, che tuttavia, e con certezza di valutazione e di previsione, questo ddl non potrà concretamente offrire.

Insomma, un ddl figlio di un femminismo assolutamente anacronistico e avulso dalla realtà, del quale la minoranza di liste civiche/centro-destra di certo non condivide le posizioni, specie quando afferma sui giornali online che il ddl introduce politiche di genere come elemento imprescindibile e trasversale a tutte le altre politiche pubbliche per proporre la liberazione dalle gabbie degli stereotipi di genere (CS Ass Gylania su Tuttooggi – ago 2015) con una generalizzazione di condizioni di svantaggio della donna nelle relazioni esistenti fra i sessi che oggi francamente non esiste o, per lo meno, non esiste nei termini presunti.

E questo è ulteriormente avvalorato dal fatto che le vere condizioni di sfruttamento e di violenza sulle donne non vengono nemmeno citate né sfiorate lontanamente nella norma in discussione.

Qualche esempio?

Ci piacerebbe così sapere come mai la Giunta, e con essa le associazioni femministe, non abbiano sentito la benché minima necessità di introdurre misure a tutela delle donne rispetto alla prostituzione, allo sfruttamento nell'industria della pornografia, ad una pubblicità stereotipata sul clichè della donna-oggetto, alla pratica dell’utero in affitto e di quella della donazione o del prelievo di ovuli che richiedono trattamenti ormonali fisiologicamente devastanti per chi vi si sottopone.

È francamente scorretto usare due pesi e due misure, a secondo delle convenienze, specialmente se chi lo fa dovrebbe rappresentare gli interessi di tutte le donne umbre, indistintamente, e, ancor più, se chi lo fa è proprio una donna!

Come mai su questo fronte ci si dimentica che il Consiglio d’Europa ha bocciato lo scorso ottobre proprio la pratica dell’utero in affitto cosicché nella legge non c’è proprio nessuna traccia di adeguamento alle indicazioni internazionali?

Come mai?

Ma sia chiaro questo non lo chiede De Vincenzi, lo chiedono le tante donne che si sentono prese in giro da leggi come queste che oggi ci troviamo a discutere.

Resta il fatto che nel ddl non è scritta una misura, non una parola, su questi abomini. Anzi, su tutto questo un silenzio assordante.

Per non dire poi della sottolineatura che la legge invece ripropone del fondamentale diritto all’aborto delle donne, come se questo presunto diritto, che nega, questo si, il diritto inalienabile del bambino alla vita, in questa regione fosse così largamente impedito che non manca mese che qualcuno, più realista del re, non senta la necessità di scriverne sui media.

La realtà vera è che quella dell’aborto è una pratica che oltre ad essere un abominio, perché è nei fatti un omicidio, checché se ne pensi e che dica il ns ordinamento giuridico, è condizione distruttiva per chi lo pratichi e condanna noi tutti amministratori di fronte a Dio per non aver fatto abbastanza per offrire alternative concrete affinché una vita in più potesse venire al mondo.

Se a ciò poi aggiungiamo che ciò avviene in un quadro di declino demografico conclamato allora le responsabilità sono anche di fronte alla storia di un popolo.

E sì che il titolo della norma era accattivante e foriero di aspettative: “Norme per le Politiche di Genere e per una Nuova Civiltà delle Relazioni tra Donne e Uomini”. In realtà il testo è sostanzialmente declinato sul fronte delle politiche femminili e vagamente ambientaliste, come emerge sin dal primo comma, piuttosto che su quello di una nuova civiltà delle relazioni fra donne e uomini di cui invece tanto bisogno si avverte, specie in taluni ambiti della nostra società.

E allora sarebbe stato molto più onesto intitolare questo atto, ovviando alle ipocrisie di facciata, semplicemente “Norme per la promozione e la protezione delle donne”, anche se francamente, per quanto già illustrato, non mi pare che le donne ne risultino tanto tutelate nelle più elementari attese.

Ma questo sì che sarebbe stato inaccettabile perché lesivo della dignità della donna. Purtroppo questo ddl nella sostanza è proprio questo: un atto lesivo della dignità delle donne ed una palese e dichiarata montatura per dissipare soldi pubblici in mille rivoli di nessuna efficacia sociale, anzi moltiplicando i danni e le divisioni.

Che d’altra parte alcuni presupposti da cui parte la norma siano non esattamente rispondenti alla realtà emerge anche dalle statistiche che solo in parte, haimè, sono state fornite nei documenti preparatori. E non voglio pensar male. Mi fermo solo all'ignoranza dei dati.

Se infatti è vero che complessivamente la donna è penalizzata sul fronte lavorativo, è tuttavia noto che, almeno in Italia, questo avviene prevalentemente nel contesto privato, laddove, a meno di leggi nazionali poco potrà esser fatto. In ambito pubblico, stato ed enti locali, invece, il 60% del lavoro è chiaramente tinto di rosa, con punte che addirittura raggiungono l’81% come nella pubblica istruzione.

Se poi si volesse affrontare il tema della violenza, allora questo lo si deve fare ma senza semplificazioni, andando nelle pieghe dei dati, senza pregiudizi né stereotipi, onde evitare le strumentalizzazioni di parte.

Allora, se verifichiamo le statistiche europee fornite da Eurostat riguardo alle violenze fisiche o sessuali, emerge che la civilissima e progredita Svezia ha fatto registrare 178,5 casi/100.000 abitanti, l’invidiabile Regno Unito 87 casi e la Finlandia 65, a fronte dell’incivile e turpe Italia che ne ha registrati solo 7,9 casi/100.000 abitanti, pari ad una media di 22,5 casi annui per regione.

Anche per quanto riguarda i casi di femminicidio l’Italia è migliore di tante e progredite nazioni europee, mostrando 5 casi annui/milione di abitanti a fronte di 7 della Svizzera, 9 della Francia e 13 dell’Austria.

In Europa, l’Italia è peggiore solo di Irlanda e Grecia mentre nel mondo, oltre a quest’ultime, solo del Giappone.

E che dire delle statistiche diramate dal ns Ministero dell’Interno (Dipartimento di PS) con i suoi rapporti sulla criminalità:

le vittime di donne assassine sono per il 35% dei casi donne e per il 65% uomini;

le vittime degli uomini assassini sono per il 31% dei casi donne e per il 69% uomini.

Mentre i valori riepilogativi annui/milione di cittadini di casi di morte violenta in Italia sono i seguenti:

donne uccise 5

suicidi donne 22

uomini uccisi 16

suicidi uomini separati 284

a fronte dell'aborto di 103.000 feti.

A ciò si aggiunga che la nostra società vive un tempo duro di crisi economica che si prolunga ormai da quasi dieci anni. I giovani qualificati espatriano, il tasso di natalità decresce, l’immigrazione dequalificata, e spesso veicolo di malaffare, e comunque prevalentemente di sesso maschile e di giovane età, cresce, il tasso di cinquantenni che perdono il lavoro con figli a carico è sempre più elevato e senza prospettive di rientro a breve in occupazione.

È quindi palese il circolo vizioso che si è venuto a creare: spesso a fronte di donne che subiscono violenze vi sono uomini che non trovano sufficienti motivazioni di reazione a condizioni di vita frustranti e che quindi hanno diritto solo al giudizio e non ad un impegno serio di prevenzione delle condizioni che in qualche modo risultano prodromiche a disagi e pericoli.

Ciò detto, va precisato che la violenza non è mai giustificabile, ben inteso, ma questa legge in discussione non dice nulla su questo fronte né prevede nulla affinché si possa rompere un loop perverso come quello descritto.

Ma questo non lo dice De Vincenzi, lo sostengono diverse consigliere di parità e centri di mediazione familiare quando affermano che a fronte di donne che subiscono violenze altrettante sono responsabili di violenze sull'uomo.

Ma questi fenomeni sono noti, benché ignorati. Così come note all’origine di tanti casi di violenza sono condizioni scatenanti che prendono avvio da atteggiamenti di violenza verbale e di comportamento di tante donne nei confronti di uomini che, per motivi di varia natura o responsabilità piena, risultano incapaci di esprimere il proprio malessere affettivo e psicologico con modalità dialettiche rispettose ed equilibrate.

Nessuna giustificazione, ben inteso. Ma solo per ricordare che non è possibile e non è giusto semplificare senza conoscere nell’intimo le casistiche.

Non entro nella disamina del provvedimento che è stato illustrato dalla relazione di maggioranza.

Mi soffermo invece su poche ulteriori questioni:

emendamenti

Come già detto: legge inemendabile che è arrivata pressoché blindata in III Commissione, perché elaborata a suo tempo e a senso unico da un qualificato pool di esperte femministe a costituire un “Comitato Scientifico”.

A nostro avviso si sarebbero dovuti cassare totalmente diversi articoli, a cominciare dal 3 e dal 4, relativi alle competenze delle donne e all’albo regionale delle associazioni e dei movimenti femminili e femministi.

A seguire gli articoli 8 e 10 dei quali proprio non se ne comprende il nesso con le pari opportunità.

Tutto il titolo III, con gli artt. 11 e 12, che arroga alla Regione il diritto di entrare nel contesto scolastico per intervenire direttamente o indirettamente sui ragazzi dimenticando che gli stessi sono partoriti ed ampiamente educati da donne, cioè le madri, e da insegnanti che, come già ricordato, sono per oltre l’80% donne. Così, salvo particolari condizioni, la logica, ma soprattutto il rispetto di famiglie e dei giovani imporrebbe eventualmente l’opportunità di interagire in maniera esclusiva con gli adulti, e cioè con i genitori e gli insegnanti.

Molto altro si potrebbe obiettare in altri articoli ma per brevità passo ad alcune sottolineature in merito alla norma finanziaria e alla clausola valutativa.

norma finanziaria – art. 48

Il ddl prevede lo stanziamento per il 2016 di 200.000 euro così ripartiti:

- 10.000 euro per gli interventi previsti all’art. 6 e cioè per la comunicazione e l’informazione - CO.RE.COM.

- 40.000 euro destinati alla copertura delle misure previste dagli artt. 8, 9 e 10 che vado brevemente ad elencare:

art 8

  • Progetti abitativi corredati da spazi destinati all’uso comune di attrezzature, risorse e servizi
  • Promozione di esperienze di vita solidali e sostenibili
  • Eco villaggi e cohousing
  • Carsharing e carpooling
  • Coworking
  • Gruppi di acquisto (LR1/2011)
  • Istituzione di centri di aggregazione sociale e culturale
  • Iniziative di turismo responsabile
  • Scambio tra le diverse popolazioni e comunità di migranti residenti

art.  9

  • Servizi di mediazione, forse l'unico veramente importante
  • Centri di aggregazione e servizi per favorire l’autodeterminazione delle donne

art 10

  • Banche dei beni e dei tempi

Ma che c’entrano molti di questi temi con le politiche per le pari opportunità? Qualcuno me lo spieghi.

In realtà servono solo per permettere il finanziamento di associazioni femministe e sprecare in mille rivoli soldi dei contribuenti senza per altro generare vantaggio sociale.

- 50.000 euro destinati alla copertura delle misure previste dagli artt. 11 e 12 e vado ad elencarli:

 

  • 10.000 per interventi nelle scuole - associazioni
  • 40.000 per ricerche sulle donne - associazioni e/o AUR

- 100.000 euro destinati alla copertura delle misure previste dal Programma Regionale di Prevenzione e contrasto della violenza di genere di cui all’art. 30 c 5, ovvero ad associazioni e centri antiviolenza:

 

  • Coordinamento e funzionamento della rete di cui all’art.32
  • Il sostegno di progetti di prevenzione e contrasto della violenza, anche nelle suole
  • La realizzazione di progetti sperimentali
  • L’implementazione e il funzionamento dell’osservatorio regionale di cui all’art. 39

ironia della sorte, i Centri AntiViolenza (CAV) hanno lo stesso acronimo dei Centri di Aiuto alla Vita i cui progetti di sostegno alle donne che intendono far nascere i propri figli, nonostante il conclamato inverno demografico, la Giunta non ha destinato nemmeno 1 euro;

A questi 200.000 euro se ne aggiungono 50.000 già impegnati per l'anno 2016 , nell'ambito del finanziamento ordinario corrente per la garanzia dei Lea, per coprire le misure previste dall’art. 14, commi b, c, d:

b)

  • umanizzazione del percorso nascita - informazione ed educazione alla salute delle donne sulla gravidanza

c)

  • politiche di prevenzione attive per la salute sessuale e riproduttiva
  • politiche di riduzione delle interruzioni volontarie della gravidanza - abortivi del giorno dopo?
  • politiche di sostegno ai consultori territoriali

d)

  • protezione della fertilità - procreazione medicalmente assistita?

 

Per il 2017 il ddl prevede l’apertura di capitoli di bilancio che potranno essere poi finanziati secondo quanto individuato dalla legge di bilancio preventivo e che riguardano

art. 17

  • premialità alle imprese e studi professionali per l’occupazione femminile

art 26

  • congedo parentale
  • asili nido

art. 46

  • bilancio di genere

Cioè, le questioni che più interessano tutte le donne impiegate nel privato sono rinviate a data da destinarsi → cioè quanto di più necessario e urgente ci fosse nel ddl non è stato finanziato e probabilmente non lo sarà mai!

Clausola valutativa – art. 47 bis

La clausola conferma l’analisi sin qui effettuata e cioè che tutta la norma è orientata allo sperpero di soldi pubblici, in favore di associazioni femministe e non ad una concreta azione di promozione e tutela delle donne.

Infatti tutta la clausola è incentrata sul monitoraggio della violenza di genere e delle iniziative promosse in tal senso.

L’efficacia delle misure non sarà per altro valutabile, così come è emerso in commissione monitoraggio per altre leggi, perché l’articolato non indica specifiche e stringenti azioni di controllo e di verifica (bilanci dei centri antiviolenza, ad esempio)

È un insieme di buoni propositi che non permettono nemmeno di verificare gli effetti delle azioni intraprese ne di capire come sono stati spesi i fondi assegnati e la loro efficacia.

I consiglieri potranno disporre di rendiconti ma i risultati delle azioni saranno il nulla.

***

Allora, come descrivere in sintesi questa proposta di legge:

- Scritta e pensata male e come tale da riscrivere totalmente,

-  Non rappresenta una legge quadro, come sintetizzato dalla Presidente Marini, ma solo un'accozzaglia disorganica di elementi a corollario dell'unica vera misura che è la costituzione di una rete antiviolenza rivolta alla formalizzazione e al finanziamento dei centri antiviolenza e delle associazioni femministe.

-  Inemendabile,

- Ideologicamente connotata con un imprinting femminista evidentemente anacronistico e scarsamente realista,

- Che non valorizza la figura femminile come “persona in relazione” e contribuisce ad alimentare la contrapposizione di genere senza offrire elementi di novità sul fronte della proposizione di più armoniose relazioni di genere,

- Non valorizza né promuove la donna, creando, al contrario, i presupposti per una sua ulteriore discriminazione,

- Chi voterà a favore se ne assumerà tutte le responsabilità di fronte ai cittadini ma soprattutto a tutte le donne umbre che sono palesemente prese in giro perché i veri elementi di interesse, e cioè quelli sul fronte del lavoro, non sono finanziati e probabilmente non lo saranno nemmeno in futuro.

 

Allora quale proposta da parte della minoranza?

Il ritiro del ddl e l'apertura di un tavolo per elaborare una proposta condivisibile da parte di tutte le componenti interessate.

 

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