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Martedì 31 Gennaio 2017 16:52

I centri antiviolenza

 

Un fenomeno dai contorni sommersi!


Avv. Gerardo Spira

 

La Corte dei conti con la relazione del 2016 ha acceso il faro sul fiume di danaro speso per i centri antiviolenza.

Con la delibera n. 9 del 2016 la Corte dei Conti ha approvato la relazione concernente “La gestione delle risorse finanziarie per l’assistenza e il sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli (d.l. n. 93/2013)”

La suprema Corte ha incentrato l'indagine sulla gestione delle risorse assegnate con il predetto decreto.

Il Giudice contabile in sintesi evidenzia che dopo tre anni di impegno legislativo ancora vi sono carenze e ritardi nell'applicazione della legge.

Risulta insoddisfacente la gestione delle risorse assegnate per gli anni 2013-2014 e sono risultate carenti le comunicazioni conoscitive circa l'effettivo impiego delle risorse finanziarie.

Sulla linea del finanziamento, scrive la Corte, “l’amministrazione statale è sollecitata a recuperare il ruolo di amministrazione vigilante sull’impiego delle risorse statali assegnate alle regioni. Nel contempo, raccomanda alla Segreteria della Conferenza Stato-regioni e alla Conferenza delle regioni e delle province autonome di adottare le misure necessarie per impegnare le regioni a una maggiore attenzione verso il rispetto (sostanziale, e non solo formale) delle modalità di leale collaborazione individuate dal d.p.c.m. 24 luglio 2014, con particolare riguardo alla comunicazione al Dipartimento per le pari opportunità del concreto impiego delle risorse e delle valutazioni quali-quantitative effettuate sui risultati conseguiti, di modo che lo stesso possa, a sua volta, rassegnare al Parlamento le informazioni a questo dovute sulla concreta attuazione della legge”.

La relazione sviluppa in oltre 90 pagine l'indagine sistematica in tutte le regioni, riportando carenze e inadempienze rilevate fino al 2016.

La notizia, montata a grossi titoli locali e nazionali, ci fa apprendere che il 24 gennaio di quest'anno l'associazione “Libera...Mente Donna” della regione Umbria ha superato il concorso nazionale con il progetto “Non solo rifugio”.

Il progetto avallato dai Comuni di Perugia, Terni, e Narni, con una vasta rete di altre associazioni, prevede il potenziamento dei centri antiviolenza dell'Umbria e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli e il rafforzamento della rete dei servizi territoriali.

Il progetto impegna finanziamenti pubblici per un importo di oltre 250.000 euro per 24 mesi.

Alla conferenza pubblica del 24 gennaio non sono stati forniti, benché richiesti, i dati esplicativi per la redazione del progetto, usati per superare le valutazioni ministeriali, né sono stati resi pubblici i rendiconti dei finanziamenti assegnati ai precedenti progetti.

La trasparenza di cui tanto si parla risulta ancora un miraggio nelle associazioni antiviolenza. Eppure anche per queste valgono le regole di pubblicare dati, contabilità, convenzioni e protocolli, per consentire a qualsiasi cittadino di conoscere e avere notizie delle attività, degli obiettivi e dei risultati.

Durante il convegno alla domanda specifica sull’argomento, l’interlocutore è stato rimandato agli atti di progetti che ancora non sono stati rendicontati.

Eppure la legge precisa che eventuali altri progetti presentati non possono essere ammessi a finanziamento se non sono stati conclusi, rendicontati ed approvati quelli precedenti.

Sono proprio questi dati dichiarati e non accertati, peraltro non ancora rendicontati, come scrive la Corte dei Conti nella relazione per le singole regioni, che ci hanno portato a rivolgere lo sguardo su di una questione che è divenuto evento impegnato con danaro pubblico.

In un momento in cui si raccolgono fondi attraverso il 45500 per le disgrazie del terremoto nella martoriata Italia centrale, le istituzioni e le associazioni s’impegnano a sottrarre risorse pubbliche per progetti diversi. Sarebbe stato più qualificante se Governo, Regione, Comuni ed associazioni avessero rinunciato in favore di così immenso disastro. Non potevano essere realizzati progetti con risorse del solo volontariato privato?

Ma tant’è!

Molti governi, tra cui il nostro, ha raccolto il messaggio di Istanbul per aprire uno spazio in cui muovere pedine e praticare i soliti giochi di cordata.

 

Il grande rumore dei singoli fatti è stato opportunamente amplificato dalla stampa, dai siti web di genere e dalle televisioni, provocando reazioni giustamente risentite da parte della cittadinanza.

 

Da più parti viene richiesto di approfondire il fenomeno della violenza sulla donna molto evocato anche per un solo episodio, perché vengano studiate politiche tendenti più a prevenire che a criminalizzare genericamente l'uomo.

Le leggi devono contribuire a sviluppare una cultura di valori, di principi e di diritti senza distinzioni, come è scritto in tutte le più importanti Carte fondamentali dei popoli, e non ad aprire spazi di conflitti anche soltanto interpretativi.

Mentre le inchieste che esaminano il problema di cui è vittima la donna vengono presentate, a livello mediatico, con toni esasperati, non rinveniamo, almeno da noi, studi ufficiali sulla violenza che pure esiste della figura femminile ai danni dell'uomo.

Dobbiamo pensare che o non esiste aggressività e violenza femminile, oppure, se queste esistono, sono legittime e quindi non interessano alla collettività.

Il problema va senza dubbio tenuto nella debita considerazione, ma non va usato, come accade spesso nel nostro Paese, con false rappresentazioni, allo scopo di promuovere campagne di promozioni di genere per foraggiare raggruppamenti organizzati a diverso titolo allo scopo di incrementare le clientele in tutte le sue ramificazioni.

Interventi sì, ma in modo controllato e correttamente rendicontato. Dichiarazioni e dati vanno assolutamente verificati e le Istituzioni hanno il dovere di svolgere le funzioni preventive del controllo al fine di evitare che il Giudice contabile debba intervenire a consuntivo, quando il finanziamento si è disperso in rivoli e rigagnoli.

Se i progetti presentati hanno seguito i dati Istat, abbiamo motivo di dubitare sulla qualità degli stessi e sugli effettivi risultati.

L'Ansa, nel sett. del 2016, leggendo i dati dell'Istat ha segnalato: “Sono 3 milioni e 466 mila in Italia le donne che hanno subito stalking da parte di qualcuno nell'arco della propria vita, il 16,1% del totale delle donne ha tra il 16 e 70 anni.

Nel corso dei 12 mesi analizzati dall'Istat (nel 2014), le vittime da parte di ex partner sono state 147 mila, 478 mila quelle che lo hanno subito da altre persone. Il 78% di coloro che hanno subito stalking, quasi 8 su 10, non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto presso i servizi specializzati.

Solo il 15% si è rivolto alle forze dell'ordine, il 4,5% a un avvocato, mentre l'1,5% ha cercato aiuto presso un servizio o un centro antiviolenza o antistalking. Tra le donne che hanno chiesto aiuto, solo il 48,3% ha poi denunciato o sporto querela, il 9,2% ha fatto un esposto, il 5,3% ha chiesto l'ammonimento e il 3,3% si è costituito parte civile, a fronte di un 40,4% che non ha fatto nulla”.

Ebbene, lo dice l'Istat, nel 78% della casistica non esiste alcuna documentazione giustificativa (non un referto, una scheda o un verbale).

Da dove l'Istat ha tratto i dati pubblicati? Tutti sappiamo che le indagini vengono fatte per telefono o con il solito sistema della scheda prestampata, consegnata e poi ritirata, non ufficiale e senza alcuna validità scientifica.

Dobbiamo pensare che lo stesso accade per le associazioni antiviolenza? Intanto sulla scorta di questi dati vengono presentati progetti e ammessi a finanziamento pubblico.

Poi si vedrà. Nel corso del tempo si aggiusteranno le carte!

La Corte esamina il rendiconto, senza accertare se quella spesa è stata eseguita correttamente. La responsabilità ricade sull'Ente che l'ha approvata. In questa sede occorre vigilanza e controllo analitico.

Accogliamo con piacere la notizia di primo classificato da parte della associazione “libera...Mente donna”, ma sorge spontanea la domanda “perché i Comuni interessati non hanno speso tutte le somme impegnate con i precedenti piani e come mai alla data del 16 luglio 2016 (data della relazione della Corte) non sono state approvate le contabilità delle somme assegnate alle associazioni che con le ultime novità risultano meritevoli di altri impegni?

La suprema Corte richiama Regioni ed enti territoriali sul rigore dei controlli analitici, con la specificazione delle finalità, delle persone effettivamente beneficiarie, della quantità e qualità dei servizi.

Vuol dire che l'assistenza deve essere assicurata alle persone nei cui confronti esiste documentazione ufficiale dei reati commessi, ma vanno esclusi i costi sostenuti per assistenza e rifugio di persone le cui querele o denunce sono risultate false.

E ancora vogliamo ricordare un principio fondamentale di contabilità pubblica: incarichi e conferimenti che impegnano danaro pubblico devono seguire la normativa pubblica.

Il pubblico danaro non è di genere e non può essere impegnato per finanziare un sistema di beneficenza ad associazioni organizzate sul modello clientelare.

Pensiamo che i responsabili a livello centrale, regionale e territoriale non si lascino trascinare dal rumore mediatico delle notizie soprattutto perché 12 milioni di euro, messi a disposizione delle associazioni di genere, devono dar conto anche ad un altro genere escluso dagli impegni, ma non dalla vigilanza e dai controlli.

Ancora una volta il legislatore, oppresso dalla calura estiva, si è lasciato trascinare su di un percorso legislativo che invece di pensare a provvedimenti di prevenzione ha promanato una serie di norme tendenti a reclamizzare il reato contro la donna.

I progetti invece di tendere a rimuovere gli ostacoli culturali che portano alla eliminazione del problema, diventano occasione per tenere accesa la fiammella della corposa candela.

Ma era proprio tanto vitale elargire somme così elevate in un momento in cui altre emergenze richiedono sforzi ed impegni esclusivi per la tragedia che ha colpito l’Italia centrale?

In un momento in cui si raccolgono fondi attraverso il 45500 per le disgrazie del terremoto, le istituzioni e le associazioni s’impegnano a sottrarre risorse pubbliche (12 milioni di euro) per progetti diversi. Sarebbe stato più qualificante se Governo, Regione, Comuni ed associazioni avessero rinunciato in favore di così immenso disastro.

Non si potevano realizzare progetti con risorse del solo volontariato privato?

O il problema della violenza di genere è più importante di quei cittadini che sono finiti vittime di una speranza senza futuro?

 

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