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Martedì 11 Aprile 2017 18:07

PAS: un comportamento illecito del collocatario.

Il Tribunale di Milano condanna il genitore alienante

avv. Francesco Valentini *

 

Studiosi e giudici, da quando separazioni e divorzi occupano un primo spazio nella scena della giustizia italiana, hanno abusato del termine alienazione per sostenere che nel caso di conflitto si configura una patologia, una vera e propria malattia accertabile clinicamente.

La gogna patologica si è riversata soprattutto sul genitore non collocatario, ritenuto responsabile di disturbi, maltrattamenti e violenze sul minore.

In buona sostanza, se il minore manifesta comportamenti fastidiosi e riluttanti durante gli incontri, anche a distanza di tempo, la colpa è del genitore che non frequenta il figlio con assiduità. La decretazione in tal senso ha fatto giurisprudenza quasi costante nel nostro Paese.

Le decisioni mi hanno sempre lasciato perplesso e per la verità non le ho mai ritenute frutto di logica scientifica e giuridica, come se una parte della Giustizia minorile avesse scelto questa linea per dare continuità alla teoria, consolidata nel tempo, che i figli appartengono alla madre e in caso di conflitto gli stessi, per vincolo del cordone ombelicale, devono essere affidati a Lei. L’uomo una volta inseminato, va trattato come un animale di sola procreazione.

La teoria, pensata e sostenuta, si è mossa clamorosamente anche contro la legge e contro i principi costituzionali che dicono che l'uomo e la donna si uniscono, generano la prole, promuovono e curano il progetto di famiglia nel rispetto delle regole uguali per tutti.

Abbiamo assistito dal 2006 ad una vera e propria mattanza dei valori posti a fondamento della famiglia e nessuna Autorità posta a guardia dei diritti e dei doveri ha mosso un dito. Soltanto la Corte Europea, quando chiamata, ha bacchettato lo Stato italiano, sanzionandolo con misure gravi e pesanti.

Le condanne della Corte E.d.u. non hanno sortito effetti di risveglio delle coscienze, forse perché alla fine è stato soltanto lo Stato a pagare il danno e i cittadini a subire gli obbrobri delle decisioni sbagliate.

Ciò, comunque, ha alimentato nella coscienza del cittadino sospetti che hanno portato al grande problema della sfiducia.

Nel pieno di una giurisprudenza consolidata, come spesso accade in diritto, scoppia con fragore una decisione contro corrente.

Il Tribunale di Milano, molto sensibile nella materia, non ancora affrancata dal principio della imparzialità, ha cambiato ragionamento, dando in silenzio una bacchettata ai tanti soloni del diritto e alla stessa scienza psicotecnica.

(Trib. Milano, Sez. IX civ., decreto 9-11 marzo 2017, Pres. Amato, est. Buffone) Alienazione genitoriale - strumento processuale utilizzato dal genitore Alienante- Condanna ex art.96 comma III C.P.C. - sussiste (art.337-ter c.c.).

Il Caso

Una coppia si rivolge al Tribunale di Milano per regolare i rapporti sulla responsabilità genitoriale relativa alla figlia minore nata nel 2009, fuori dal matrimonio.

Sorgono, dopo la pronuncia, problemi riferiti dalla madre relativi al rapporto padre-figlia, tanto da consigliare il genitore a richiedere l’intervento dei servizi sociali.

La madre promuove ricorso al Tribunale, richiedendo l’affidamento esclusivo.

Il padre si costituisce, chiede il rigetto del ricorso, insistendo per l’affidamento in carico ai Servizi sociali per consentirgli l’effettivo esercizio del diritto di visita, reso impossibile per rifiuto passivo della minore.

Il Tribunale dispone una indagine attraverso i servizi sociali per trarre elementi utili alla decisione, dando mandato ad una neuropsichiatra di indagare e riferire sul problema insorto a livello logopedico.

I servizi rilevano, dopo gli ascolti, che la minore si mostra contraria a frequentare il padre, perché, riferisce che il genitore vuole portarla via dalla madre.

Per la gravità del caso il Tribunale decide di affidare la minore al Comune, di limitare la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori e di disporre ulteriori accertamenti.

La madre della bambina impugna e ricorre alla Corte di appello di Milano che, con decreto del 2016, dichiara il ricorso inammissibile e condanna la reclamante alle spese.

Il Tribunale di Milano, quindi, con nuovo decreto dispone di procedere alla consulenza tecnica di ufficio. La ctu ascolta la minore, effettua gli accertamenti e deposita la perizia.

I test rivelano “una rigidità della bambina rispetto ai sentimenti ostili verso il padre” non dovuti a reazioni post-traumatiche, ma ad una attività di influenza della madre.

La consulente riferisce infatti che la “figlia nel riportare questi fatti aderisce in maniera totale alla versione materna, finendo per distorcere anche il dato reale”.

La bambina parla col pensiero e con le azioni della madre, attribuendo colpe esclusivamente al padre, il quale è presentato responsabile e aggressivo.

“La consulente, a riguardo, ha anche evidenziato come questi aspetti siano emersi pure nel corso delle indagini, avendo riscontrato contraddizioni, incongruenze e aporie nei racconti della madre. Quanto al padre della bambina questi mostra di avere sufficienti capacità introspettive e di avere una sufficiente coscienza e comprensione di se stesso ma appare fortemente stressato dall’intera vicenda e manifesta, dunque, anche umore depresso”.

La perizia così conclude: la bambina è fortemente influenzata dalla madre, il suo pensiero non deriva da una autonoma esperienza personale. La madre riporta una condizione del precedente rapporto divenuto di rilevante interesse clinico. La causa del rifiuto dell’immagine negativa del padre è collegata alla madre la quale ha trasmesso costantemente alla figlia i propri distorti convincimenti.

La consulente conclude per l’affidamento della minore al Comune e il costante monitoraggio sul servizio affidatario, con collocamento della stessa presso la madre solo per ragioni anagrafiche.

Il giudice di Milano, sulla scorta della perizia e dei dati emersi, perviene ad una conclusione che va senza dubbio annoverata come clamorosa per i risvolti nella vessata questione.

In sostanza il Giudice ritiene palesemente smentita - e finanche frutto di una patologica distorsione della realtà - la tesi della madre per cui il rifiuto della figlia del padre sarebbe effetto di un trauma infantile o comunque di una causa paterna. Al contrario la relazione tra figlia e papà è stata inficiata da comportamenti alienanti del genitore collocatario.

Come noto il termine alienazione genitorialeè scritto nel decreto – “se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza, non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo, essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologica delle condotte medesime”.

Il Tribunale di Milano ha smantellato due teorie fin qui sostenute: quella riguardante il valore del termine alienazione e l’altra che il genitore non collocatario è causa della difficoltà e disturbo della frequentazione col minore. Anzi è il rapporto continuo e costante col genitore collocatario causa di condotta di plagio e di influenza psicologica del minore.

Il pronunciamento del Tribunale di Milano si incanala nella più corretta applicazione della legge n. 54 del 2006 e nel filone affrontato e sostenuto dal giudice Buffone sull’affidamento alternato: ognuno dei genitori deve condividere la responsabilità genitoriale con identici diritti e oneri. Ciascuno dei genitori deve provvedere, dunque, al mantenimento dei figli per il tempo in cui sono insieme.

La decisione del Tribunale è un corollario esemplare prescrittivo ed inderogabile per tutte le parti in causa, compreso istituzioni e servizi pubblici; un vero e proprio Protocollo di percorso tracciato nel superiore interesse della minore.

Il dispositivo di questo Decreto merita la pubblicazione in quanto per la prima volta il Giudice ha affrontato la questione di un conflitto in tutti gli aspetti di scienza e di diritto, ponendo la materia nella particolare attenzione di studio in coerenza con il dettato costituzionale e con i principi legiferati con la legge 54 del 2006.

Questo il testo:

affida la figlia, in applicazione dell’art. 333 c.c., al Comune di residenza con limitazione della responsabilità genitoriale in merito alle decisioni di maggior interesse, quali quelle relative all’istruzione, alla salute e alla residenza del minore, con facoltà per l’Ente affidatario di delegare e di assumere tutte le relative decisioni, sentiti i genitori, con conseguenti oneri economici a loro carico in misura pari al 50%.

L’Ente affidatario informerà, immediatamente e tempestivamente, l’istituto scolastico della minore e i sanitari che risultano averne cura, del fatto che i genitori – e in particolare la madre – non godono del potere decisionale sui settori oggetto di limitazione, se non per scelte di ordinaria amministrazione.

Dispone che l’Ente affidatario mantenga, allo stato, la minore collocata presso la madre, anche ai fini della residenza anagrafica attivando, tuttavia, immediatamente un monitoraggio per verificare che il collocamento qui disposto risponda, in prosieguo, all’interesse preminente della bambina e provvedendo, in caso di necessità, a trasmettere segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano nell’ipotesi in cui si renda opportuna una diversa soluzione, ad esempio per un collocamento presso il padre, in regime etero-familiare o in ambiente protetto.

Incarica l’Ente affidatario di regolamentare la frequentazione tra il padre e la figlia. In particolare, nel preminente interesse di figlia, devono essere ampliati da subito e in modo significativo gli incontri protetti con il padre, prevedendo visite a cadenza settimanale e, progressivamente, uscite accompagnate, incontri a casa in presenza dell’educatore, quindi spazi liberi periodicamente monitorati. ….. Ove la madre dovesse ostacolate questi incontri, l’Ente affidatario ne dia atto immediatamente alla Procura della Repubblica, ordinaria, per le competenze ex art. 331 c.p.p. e al PM minorile, per le competenze ex artt. 330, 333 c.c.

Avvisa sin da ora l’ente per quanto a seguire. Se la situazione, nonostante gli interventi attuati sarà in stallo e non mostrerà una evoluzione positiva, ovvero: visite libere del padre, lettura realistica di figlia della figura paterna, progressiva presa di coscienza della madre rispetto alle proprie personali difficoltà ed ai propri distorti convincimenti sul padre di figlia, l’Ente a questo punto prenda in considerazione un diverso collocamento della bambina, depositando apposita relazione al PM Minorile e, nel frattempo, proceda a valutare il prevalente collocamento presso il padre o in regime di affido etero familiare (famiglia affidataria professionale).

Incarica l’Ente affidatario, per il tramite dei suoi servizi sociali e in collaborazione con i servizi specialistici della Asl, ciascuno per la parte di rispettiva competenza, di avviare gli interventi di supporto socio-educativo e di supporto psicologico/psichiatrico per figlia per il tempo ritenuto necessario nel solo interesse della prole. La bambina deve essere immediatamente accompagnata in un supporto terapeutico.

Incarica l’Ente affidatario, per il tramite dei suoi Servizi Sociali e in collaborazione con i servizi specialistici della Asl, ciascuno per la parte di sua competenza, di avviare interventi di supporto alla genitorialità e interventi di supporto psicologico/psichiatrico per la madre e per il padre per il tempo ritenuto necessario nel solo interesse del minore. I Servizi stenderanno apposita relazione al fine di accertare se la madre abbia o non seguito i suggerimenti dati per l’interesse di figlia e nell’interesse di figlia: in caso di persistente omissione della madre, configurando questa condotta un rischio per la bambina, ne sia data immediata segnalazione alla Procura della Repubblica presso il TM di Milano, nonché al giudice tutelare per la vigilanza ex art. 337 c.c.

Incarica l’Ente affidatario di svolgere un’attenta attività di monitoraggio sul nucleo familiare e sulla situazione dei minori segnalando in ogni caso immediatamente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori eventuali situazioni di grave pregiudizio per i minori.

Prescrive ad entrambi i genitori di attenersi, nell’esclusivo interesse di figlia, alle statuizioni del presente provvedimento e di prestare la massima collaborazione agli operatori dei servizi sociali dell’Ente affidatario e agli operatori dei servizi specialistici della Asl e di attenersi alle prescrizioni ed indicazioni degli stessi; in particolare, invita la madre ad attenersi alle indicazioni della consulente tecnica d’ufficio consentendo a un percorso di sostegno e cura, nei termini che saranno proposti dall’Ente affidatario, nell’esclusivo interesse di figlia.

Ordina alla scuola frequentata da figlia … di assumere decisioni solo ed esclusivamente sulla base delle indicazioni dell’ente affidatario e di fornire ogni informazioni sulla bambina, ad entrambi i genitori, sia il padre che la madre; la scuola, sotto responsabilità in caso di violazione, è informata del fatto che la madre non ha facoltà di assumere, da sola, scelte per la propria figlia.

Revoca l’assegnazione della casa familiare alla madre ex art. 337-sexies c.c.

Conferma nel resto, il decreto del tribunale di Milano, quanto alle questioni economiche (mantenimento, divisione delle spese extra).

Condanna … madre alle spese del processo, liquidate in favore di … padre in complessivi euro 3.627,00 oltre accessori di Legge e rimborso come da tariffa in misura pari al 15%

Condanna la madre, per responsabilità processuale aggravata, alla sanzione di euro 3.627,00 liquidata ex art. 96 comma III c.p.c. in favore del padre.

Liquida in favore della Ctu dr.ssa …, le spese documentate pari ad euro 700,00 che pone a carico delle parti in solido, con conferma pure del decreto di liquidazione emerso in corso di causa”.

 

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