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Giovedì 08 Marzo 2018 18:49

Le inadempienze della Regione e dei comuni in Umbria


L’operato dei servizi sociali umbri

fuori dal dovuto controllo pubblico


avv. Francesco Valentini

Il problema della separazione – consensuale o giudiziale – dei genitori conviventi, ormai sensibilmente diffuso nella evoluzione sociale, ha profondamente colpito anche la regione Umbria, tanto che a tutti i livelli istituzionali sono stati messi in campo provvedimenti di diversa natura per intervenire nei vari aspetti civili, morali ed amministrativi.

La nostra associazione da oltre 20 anni ne discute senza, peraltro, trovare una soluzione pacifica e serena alla problematica che ha investito soprattutto il superiore interesse dei minori, soggetti violati nella persona e nei diritti ed oggetti invisibili dei drammi familiari, per le difficoltà operative dei contatti, rapporti e relazioni con le istituzioni, ignare o impreparate su quanto accade nella vita familiare e sociale dei soggetti incappati nella inestricabile trappola della “separazione o fine della convivenza dei genitori”.

Come associazione abbiamo sollevato a livello nazionale il problema della disattenzione amministrativa del potere pubblico nell’aspetto che riguarda la competenza esclusiva degli enti territoriali nella fase in cui la Giustizia minorile o altri soggetti delegano o assegnano ai servizi sociali il compito di valutare, dirimere o trattare i casi nel rispetto della normativa di settore e della scienza, con equilibrio e correttezza procedimentale.

Rivisitando la materia dell’assistenza e della beneficenza a livello legislativo, abbiamo notato che nonostante il sollecito impegno nelle diverse fattispecie il Consiglio regionale Umbro, quando chiamato, ha trattato e trasfuso la materia nei piani, programmi e codici, demandando ad altri soggetti pubblici e privati il compito di intervenire, regolamentare e adottare decisioni.

Il legislatore italiano, con le leggi 142 e 241, nel riconoscere l’autonomia degli enti territoriali ha però ricordato che la vita amministrativa degli stessi dovesse svolgersi nel rispetto del saldo principio che ne legittima il percorso: quello del procedimento amministrativo, mettendo al bando la vecchia e superata concezione della discrezionalità e della genericità.

Purtroppo abbiamo constatato ed accertato che, nella problematica trattata, i servizi sociali anche in Umbria, quando incaricati dai tribunali nell’affido dei minori, svolgono le attività amministrative in assenza del procedimento di cui alla legge 241/90, senza un protocollo di percorso predefinito, con termini, modalità e obiettivi, e senza un programma attestato scientificamente.

Le azioni risultano svolte in segreto e con criteri discrezionalmente personali, senza peraltro alcun richiamo alle fonti scientifiche. Risulta completamente mancante la partecipazione delle parti, fondamentale ai fini del rispetto del principio del contraddittorio. Il percorso non risulta certificato e garantito da percorsi legittimi ed idonei nella forma, nel contenuto, negli strumenti e nei luoghi.

In sostanza la fase amministrativa, completamente pubblica è disattesa nella sua applicazione con gravi conseguenze sul caso e sulla spesa pubblica.

In data 24 luglio 2013, aggiornato all’8 ottobre 2015, la regione Umbria ha emanato le linee guida degli interventi in materia di informazione, tutela e partecipazione nelle ASL, prevedendo che con cadenza triennale vengano predisposte le linee di indirizzo regionale per l’area dei diritti dei minori e delle responsabilità familiari.

Nessuna disciplina, però, o richiamo normativo rinveniamo sulle attività dei soggetti pubblici e privati in ordine alla materia scaturente dai rapporti di coppia e conseguenti alle separazioni.

Le attività della Pubblica Amministrazione o di soggetti privati risultano svolte senza alcun richiamo alla disciplina di cui al procedimento amministrativo, con evidente violazione del principio di cui all’art. 97 della costituzione e della legge 241/90.

Né si può sottacere sulla gravità della situazione in cui i servizi sociali operano in assenza di programmi o di protocolli pubblici, specialmente nei casi assegnati dal Tribunale in materia minorile.

I servizi sociali pubblici e privati umbri, così, trattano i casi come materia privata, fuori dalla disciplina e dalla competenza amministrativa, violando la legge sul procedimento amministrativo e sottraendo al cittadino il diritto di partecipazione e di contraddizione con tutte le parti in causa. La violazione mina la fase amministrativa in punto di legittimità e la trasferisce sul provvedimento finale dell’Autorità giudiziaria, con gravi ripercussioni in ordine alla tutela dei diritti delle parti e del superiore interesse del minore, oltre che sulla validità del provvedimento stesso.

Evidenziato che la problematica assume rilevante importanza al fine di riporre in equilibrio la condizione giuridica del diritto e dato atto che alla Regione, ex art. 32 Statuto, compete:

- la vigilanza e il controllo sui piani e programmi e sul corretto svolgimento delle attività delegate,

- fissare, con consentita urgenza, le linee guida in materia perché i soggetti pubblici e privati svolgano i servizi di assistenza e di incontri protetti in favore dei minori e delle loro famiglie nel rispetto della legge 241/90 sul procedimento amministrativo, al fine di perseguire il dettato di cui all’art. 97 della Costituzione,

- disporre che le strutture competenti, regionali, e territoriali, deputate alla vigilanza e al controllo assicurino la effettiva attuazione delle linee guida da parte degli Enti, specialmente quelli che su incarico dei Tribunali svolgono i servizi di assistenza e di incontri protetti in favore dei minori e delle loro famiglie e da parte delle strutture preposte all’esercizio delle attività amministrative, come previsto dalla legge 241/90, con l’avvio del procedimento,

- garantire la partecipazione dei genitori o loro delegati, la semplificazione, l’accesso agli atti, la redazione dei programmi e del protocollo per i singoli casi, la videoregistrazione degli incontri con i minori, i genitori e tra genitori e figli, in presenza di assistenti sociali, psicologi ed educatori competenti.

Al comune di Perugia è stata presentata la richiesta della stesura di un Regolamento per regolarizzare le attività dei servizi sociali in materia minorile da parte di un consigliere di maggioranza, ma c’è stata una ferma opposizione dei servizi sociali, dell’ordine degli assistenti sociali e di alcuni gruppi politici.

L’assessore alle politiche sociali del comune perugino ha scelto di “tollerare” gli “abusi” istituzionali sui minori e sui loro genitori perpetrati dai servizi sociali comunali e di escludere i genitori – quasi sempre quello non collocatario – dal diritto ad essere informati sull’attività “investigativa” svolta su di loro e sui loro figli con troppa discrezionalità e, spesso, con tanta incompetenza.

Nessuno controlla e nessun politico degli enti locali (regione e comuni) vuol mettere in discussione l’evidente operato discriminatorio di certe istituzioni. Non spetta agli ordini degli assistenti sociali, degli psicologi, degli avvocati e dei giudici accordarsi sulle linee guida, escludendo i diretti interessati, cioè i genitori. Sono solo vuote chiacchiere per aggirare la legge 241/90.

La legge c’è e va attuata.

 

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