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Giovedì 29 Dicembre 2022 19:42

“Giustizia” minorile: cambierà nel 2023?


Tanti cocci vecchi da buttare nella notte di San Silvestro per fare spazio a tante speranze che, poi, inevitabilmente, si trasformeranno in umilianti illusioni. La realtà non sembra cambiare ed illudersi fa parte del gioco della vita, poiché, almeno per qualche istante, ti puoi illudere che si possa compiere la magia della realizzazione di tutte le tue speranze. Preoccupiamoci di affrontare la realtà con onestà, ma anche con coraggio nel pretendere i fatti, ma non le chiacchiere. Il futuro dei minori non può essere oggetto di speculazioni socio-politiche e conseguenza di superficialità genitoriale. Il futuro, principalmente, appartiene a loro e noi tutti non possiamo ignorarlo per fini egoistici.

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Garantire la giustizia minorile non spetta solo ai tribunali e alle istituzioni, il cui fine è – sempre – quello della tutela del superiore interesse dei minori, ma coinvolge, in prima persona, ciascun cittadino e, soprattutto, ogni genitore, anche quelli che, soprattutto nelle separazioni, confondono i diritti del minore con i generici affetti e con gli inalienabili diritti degli adulti alla loro libertà. La responsabilità delle ingiustizie fatte ai minori è maggiore in chi istituzionalmente è chiamato a tutelarli: politici, magistrati, servizi sociali, amministratori degli enti locali. Ci rivolgiamo, con le nostre considerazioni, a loro e a quei genitori evasivi per scelta dinnanzi ai doveri genitoriali.

I magistrati hanno una legge da applicare con equità per il rispetto del diritto alla bigenitorialità (condivisione della presenza di ambedue i genitori) dei minori e al diritto alla cogenitorialità (stessi diritti genitoriali nella loro gestione ed educazione) dei genitori. I vari protocolli - spesso anche in contrasto con le leggi vigenti sull’affido e sul mantenimento dei figli e/o con le sentenze della Suprema Corte di Cassazione (anche a Sezioni Unite) – sottoscritti dai giudici del tribunale e gli avvocati locali, non hanno alcun valore, anzi potrebbero risultare un abuso di potere, poiché non spetta loro legiferare, formulando e imponendo provvedimenti non vincolanti, applicativi della legge sui minori. Gli avvocati vendono la loro professionalità al genitore, ma non lo possono rappresentare al di fuori del procedimento per cui sono stati nominati procuratori o difensori di fiducia. I protocolli sono, di fatto, una vera e propria violazione del codice civile e non possono avere un carattere di universalità indipendentemente del singolo caso in cui i giudici sono chiamati a decidere.

I politici e gli amministratori dell’ente locale che gestiscono i servizi sociali e tutto il settore delle politiche sociali non possono venir meno ad un loro preciso dovere di garantire le pari opportunità genitoriali e l’applicazione della legge, senza troppe variabili o licenze interpretative dei giudici. Il protocollo non può rappresentare una modalità locale per disbrigare velocemente l’affido dei minori, senza il vincolo delle specificità da valutare, caso per caso, per l’applicazione della legge. I legali chiedono i soldi in base alle fasi svolte nel processo di affido, separazione e divorzio, indipendentemente dalla complessità e dei tempi richiesti da ogni singolo caso. Un processo sbrigativo che non dispiace ai giudici e, tanto meno, agli avvocati, che possono pretendere la stessa somma anche con poco lavoro.

 

Gli amministratori hanno grosse responsabilità sulla gestione degli affidi dei minori, poiché i giudici, indebitamente, delegano loro competenze sull’affido ai servizi sociali con incarichi generici e senza pretendere il dovuto riscontro della oggettività del lavoro svolto. Le modalità di affido spettano al giudice, ma non al servizio sociale, come ci ricorda la Corte europea, perché privo delle dovute competenze richieste (giuridiche e scientifiche) per determinare un affido. Tra giudici e servizi sociali c’è una fuga dalle proprie e specifiche responsabilità. I servizi sociali, poi, dipendono dall’ente locale che li paga, ma non dal tribunale, al quale devono solo riferire sulle singole situazioni familiari, e, di conseguenza, nella loro attività, non possono sottrarsi alla legge sulla pubblica amministrazione, come, invece, genericamente e quasi sempre avviene.

Ne consegue che il controllo sull’operato dei propri dipendenti spetta ai responsabili dei singoli enti locali e compete loro pretendere il rispetto della legge 241/90 (e ss. mm. e ii.). In caso di negligenza, possono essere chiamati a rispondere delle proprie responsabilità (civili, penali e/o disciplinari) ed a pagare l’eventuale danno economico all’erario pubblico e, se ne ricorrono i presupposti, comunque, rimossi dall’incarico dirigenziale. Gli enti locali non lo fanno quasi mai e l’utente e/o i cittadini devono pretenderlo.

I tribunali, quando esiste o c’è la presunzione della conflittualità genitoriale, come segnalano i servizi sociali, affidano i minori ai comuni a cui spetta vigilare sulla loro crescita, attraverso le proprie strutture sociali, e possono anche collocarli in strutture pubbliche/private dipendenti dall’ente locale e/o da cooperative sociali convenzionate.

I servizi sociali (da cui, spesso, dipendono anche gli educatori/animatori e altre professionalità, spesso create appositamente e preparate con corsi brevi, molto brevi, di formazione), sia per riferire ai giudici sulla situazione familiare dei minori che sulle capacità genitoriali che per seguire il comparto minorile delle politiche sociali, devono avere una adeguata ed approfondita preparazione socio-psico-pedagogica - che, però, troppo spesso, non hanno - e devono essere imparziali, senza condizionamenti di genere, come, purtroppo, non emerge dalle loro dichiarazioni ufficiali.

L’ente locale deve garantire efficienza e trasparenza nei servizi che fornisce ai cittadini e lo può fare solo se pretenderà professionalità dagli operatori sociali; regolamenterà la loro attività nel rispetto della legge; se vincolerà l’attività delle cd. case protette e/o case famiglia che operano nel suo territorio ai principi della competenza, della professionalità, della trasparenza e della giusta spesa; se effettuerà accertamenti approfonditi sulle necessità del vasto e variegato mondo dei figli con genitori non più conviventi; se regolamenterà l’assistenza economica elargita in base ai risultati dei controlli e degli accertamenti, rendendo vincolante e trasparente il registro dei contributi elargiti ai figli dei separati e ai loro genitori.

Si chiede, per il 2023, un radicale cambio di rotta nella gestione delle politiche sociali e nella gestione della giustizia, più imparziale e rispettosa dei minori e di ambedue i genitori, senza preoccuparsi del consenso di certe associazioni di genere. Certo se (il “se”, in questi casi, è d’obbligo) nemmeno a livello di propositi seri, nulla cambierà nelle istituzioni preposte alla tutela dei minori e della genitorialità, ai cittadini tutti e ai genitori maltrattati dalle istituzioni (anche) nella notte di fine anno non resta che gettare legalmente dalla finestra i cocci (istituzionali) vecchi, il cui utilizzo, consunto, non serve più a nessuno.

Cosa cambierà nel 2023? Forse, ancora nulla.

Ubaldo Valentini, presidente dell’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps) - contatti: tel. 347.6504095, Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. , www.genitoriseparati.it.

 

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