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Giovedì 30 Novembre 2023 09:47

Famiglia patriarcale anche nell’affido dei figli?


Ubaldo Valentini

Si continua a parlare di patriarcato nella gestione della famiglia, mettendo alla berlina l’uomo (il padre nell’affido dei figli), ritenuto capace delle peggiori azioni delittuose secondo le facinorose congregazioni femministe e secondo i centri antiviolenza. Sia chiaro che la violenza delittuosa sulle donne, come pure quella meno appariscente e meno pubblicizzata delle donne sugli uomini o sugli inermi neonati, soppressi quasi sempre dalle madri, non va minimamente tollerata. Tutto ciò, però, non giustifica la irreale conclusione secondo cui la società italiana sia dominata da una cultura patriarcale. Nell’affido dei minori, quando i genitori non convivono più, è palesemente evidente, invece, che siamo in presenza di uno strisciante e mai morto matriarcato.

La legge, in teoria, esclude sia il patriarcato che il matriarcato, ma, nella prassi quotidiana di chi la legge la interpreta con molta discrezione, il dominio della donna all’interno della famiglia è indiscutibile. Basta dare uno sguardo ai dati Istat per confermare che l’abuso c’è, ma è conseguenza della cultura matriarcale, ancora imperante.

 

Nelle decisioni dei tribunali sull’affido dei minori il padre è sistematicamente escluso dal diritto alla bigenitorialità e alla cogenitorialità, tanto che solo all’1% dei figli è concessa la collocazione presso il padre, ma l’affido esclusivo al padre è quasi inesistente. La collocazione è una scappatoia escogitata dai tribunali per non concedere l’affido paritario e per eludere il dovere della bigenitorialità. La collocazione è un istituto ben diverso dall’affido. Ne consegue che, con la fine della convivenza, i figli vivono con la madre, ma non con il padre. Il diritto di visita del genitore non collocatario è un escamotage per neutralizzare le sue doverose richieste di esercitare il diritto alla genitorialità per i figli e per sé.

Con questi dati, come si può parlare di patriarcato, cioè di quella invenzione ad effetto per nascondere le profonde ed inaccettabili responsabilità dei movimenti femministi e dei centri antiviolenza, sorti non sempre per garantire le pari opportunità genitoriali, ma per tutelare la donna, a prescindere dalle sue responsabilità, e per chiedere ulteriori incontrollati finanziamenti pubblici, che vengono gestiti, molto spesso, per finalità non dichiarate.

Sono propri i centri antiviolenza ed associazioni di genere a fare pressioni sulle madri per perseguire il padre dei loro figli con accuse del tutto false, come, spesso, poi emerge al termine di lunghi processi, indicando loro le modalità attuative e fornendo il contributo dei legali di questi centri, ben indottrinati e senza troppo scrupoli deontologici, ma anche senza eccessivo lavoro. Questi legali, da loro indicati, formulano le querele-denunce e i ricorsi di affido e/o separazione e, guarda caso, sono quasi sempre identiche, come se esistesse un codice operativo segreto per far condannare l’ingenuo padre, illuso del fatto che la legge sia uguale per tutti.

Nessuna pubblica istituzione, nel cui territorio di competenza operano questi centri e le associazioni femministe (che gestiscono, quasi sempre in modo palese, ma anche celato, le case famiglie per minori e madri), effettuano rigorosi controlli e riscontri finanziari sull’utilizzo dei finanziamenti pubblici e sull’attività realmente svolta. Il controllo è un dovere per l’ente pubblico che eroga i finanziamenti a queste strutture e non una possibile facoltà, poiché questo soldi devono essere utilizzati in modo trasparente per le donne realmente perseguitate dal compagno/marito/fidanzato e per i loro figli, ma non per campagne sociali che altro non sono che abusi sull’uomo.

Tutela sì, discriminazione no!

Le pari opportunità dovrebbero essere una questione seria e non possono essere invocate per nascondere indegne azioni sui minori e sul padre e per accusare il predominio della cultura patriarcale, che non c’è, eccezion fatta per rari casi patologici e malavitosi.

Cosa dire, poi, di quelle case famiglia, dipendenti da associazione femministe, che utilizzano operatori senza specifica qualifica e che mandano le donne a lavorare a nero, violando la legge? Non è vero? Possiamo fornire i dati, poiché questi episodi sono da anni denunciati dall’associazione genitori separati per la tutela dei minori (aps), senza che qualcuno intervenga o, almeno, faccia finta di indagare.

Il padre (99%) che non convive più con la madre dei suoi figli può frequentare i minori solo per alcune ore alla settimana/mese, quando va bene, cioè quando la madre non inventa pretesti o attua particolari strategie piscologiche per non permettere ai figli di stare con il padre. L’alienazione parentale, c.d. Pas (indichiamola pure con altri termini, tanto la sostanza non cambia), non è una invenzione dei padri, ma una pericolosa realtà, che, come anche i fatti recenti ci ricordano, influisce negativamente ed in modo devastante sulla personalità dei figli stessi.

C’è da chiedersi se la discriminazione del padre rientri nella cultura patriarcale o, invece, sia espressione di un matriarcato politico, che crea fantasmi per giustificare il proprio ambiguo operato e il business esistente intorno ai minori e alla violenza di genere. La violenza sulle donne è sempre una scelta personale, ma non una moda culturale, su cui indagare per prevenire il ripetersi di questi inaccettabili omicidi. Lasciamo stare lo Stato e tutta quella prosaica messa in scena che fiancheggia le manifestazioni in difesa della donna, i cui cartelli sono chiara espressione della mancanza di una cultura sulla convivenza familiare e sociale.

La Cassazione, a differenza del passato, ci ricorda che, nell’affido dei figli, non ci può essere una preferenza per la madre, ma i dati dei tribunali, invece, attestano che esiste una palese propensione per l’affido dei figli alla madre nella quasi totalità dei casi.

Come emerge dai dati forniti dalla Caritas, la maggioranza degli attuali poveri (circa un quinto dei separati), sono padri separati, i cui figli vivono con la madre.

Cultura patriarcale sarebbe quella di imporre alla madre, da parte del padre, di prendersi cura esclusiva dei figli, ma, nelle aule dei tribunali, i genitori litigano perché il padre, così come la madre, vuole che i figli stiano con lui. La madre, cioè la donna, vuole per sé sia la collocazione che l’affido dei figli e, di conseguenza, come può essere invocata, nell’affido dei minori, la cultura patriarcale, che vuol dire ben altre cose.

Non dimentichiamo che, in questa battaglia, il padre, l’uomo, è sempre perdente al 99%.

Patriarcato o mistificato matriarcato è l’opera di organizzazioni senza scrupoli e che, spesso, operano anche in contrasto con la legge vigente. I giudici dove sono? Gli amministratori pubblici perché non fanno il loro dovere? La Corte dei Conti, anche quando informata, perché non interviene sullo sperpero del danaro pubblico?

Sono interrogativi che aspettano da anni una risposta, trasparente e pubblica, e le inadempienze non possono essere tollerate.

 

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