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Quei papà privati del diritto all’affetto

di Carlo Rimini*

Non è la prima volta! Non è la prima volta che l’Italia viene condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non avere garantito ad un padre separato il diritto ad un rapporto stabile, duraturo e intenso con suo figlio.

Essere condannati per aver violato i diritti fondamentali di un uomo è assai grave: significa essere usciti dal confine che segna la civiltà.

 

Istintivamente tendiamo a ribellarci, a pensare che l’Italia sia vittima di un pregiudizio, a sospettare che sia stato strumentalizzato un caso isolato. Non è così. La Corte europea invece, partendo dal caso singolo, formula una puntuale critica all’ordinamento italiano con osservazioni che hanno, purtroppo, un valore generale.

I tempi della nostra giustizia, scrive la Corte, sono troppo lunghi (e fin qui nulla di nuovo) e tale lentezza è assolutamente intollerabile quando si parla dei diritti dei bambini. I giudici italiani non reagiscono, afferma la sentenza di condanna, di fronte alla violazione, da parte di un genitore, dei provvedimenti e delle sentenze che dovrebbero regolare la vita del bambino e che dovrebbero garantire che egli abbia un rapporto intenso con entrambi i genitori separati.

Negli altri Stati europei la reazione di fronte al genitore che non rispetta i provvedimenti del giudice è pronta e severa. In Italia invece il giudice non ha gli strumenti né per accertare chi stia violando le regole, né per imporre il loro rispetto. Spesso si limita quindi ad un rassegnato appello ai genitori a non litigare e delega – come esattamente osserva la Corte europea – la gestione del problema ai servizi sociali, i quali sono frequentemente inefficienti poiché i Comuni (da cui dipendono) non hanno i mezzi per garantire strutture adeguate, sia dal punto di vista delle risorse umane, sia dal punto di vista delle competenze tecniche. In questo panorama sconfortante, la vita dei genitori protagonisti di conflitti familiari si può trasformare in un calvario. A farne le spese sono ovviamente i bambini. Ma non si può nascondere che un prezzo molto salato viene pagato dai padri separati. Il giudice infatti generalmente prevede che i figli, dopo la separazione, continuino a vivere con la mamma.

Il rapporto del papà con il bambino è allora appeso al filo del rispetto delle regole previste dal tribunale: se quelle regole non vengono rispettate, il rapporto si inaridisce e si spegne. La vita del padre separato può essere molto triste: la crisi della famiglia lo priva del rapporto quotidiano con i suoi figli, generalmente lo priva anche del diritto a vivere in quella che era la sua casa e lo espone, soprattutto oggi, a problemi economici insormontabili. È quindi un soggetto debole che ha diritto ad una tutela pronta da parte dello Stato, almeno del suo diritto ad essere padre. Talora invece si sente solo rivolgere un monito a non litigare con la madre dei suoi figli. Molti per questo covano nel proprio animo un rancore sordo, che in qualche caso li porta a compiere gesti sconsiderati.

Non sarà neppure l’ultima volta. Riceveremo altre condanne europee, sino a che non sarà finalmente istituito un tribunale specializzato per la famiglia, che abbia i mezzi per gestire con efficienza il conflitto familiare, regolato da una procedura che possa garantire il rispetto dei provvedimenti e la loro esecuzione.

Un tribunale che applichi eventualmente sanzioni severe nei confronti del genitore inadempiente, supportato da servizi sociali, posti sotto il controllo diretto del giudice, a cui delegare la gestione quotidiana del conflitto nei casi più difficili.

 

*Ordinario di diritto privato nell’Università di Milano - Twitter: @carlorimini

(da LA STAMPA – Opinioni - 30/01/2013  pp.29)

 

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