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“L’Italia non garantisce  i padri divorziati”

di Sara Ricotta Voza


Milano -Raffica di condanne all’Italia, in un solo mese, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dopo le dure sentenze sul sovraffollamento delle carceri piombate nei primi giorni del 2013, ieri ne sono arrivate altre due. Una riguarda ancora la violazione dei diritti di un detenuto, l’altra «la violazione del diritto al rispetto dei legami familiari» di un padre separato.

Quest’ultimo, dopo la separazione, non ha potuto incontrare regolarmente la propria figlia per oltre sette anni nonostante così fosse previsto negli accordi. La madre, infatti, aveva ottenuto l’affido esclusivo della bambina ma il tribunale di Roma aveva poi deciso che il padre potesse vederla due pomeriggi alla settimana, un weekend su due, sei giorni a Natale, tre a Pasqua e dieci durante le vacanze estive. Ma tutto, a detta del padre, sarebbe rimasto lettera morta, perché in un mese non sarebbe riuscito a vedere la figlia se non per pochi minuti e sempre in presenza della madre o dello zio materno. E questo all’inizio perché le cose, poi, sarebbero solo peggiorate.

 

Quando l’uomo ha iniziato la sua battaglia per vedere rispettato il suo diritto di visita la bambina aveva 2 anni, oggi ne ha 12. Anni importantissimi per stabilire con un figlio una relazione stabile, che l’uomo non ha quindi potuto costruire nonostante i tanti ricorsi fatti e le relative sentenze ricevute da vari tribunali.

Sentenze che gli hanno sempre dato ragione, come quest’ultima, la più importante, quella della Corte di Strasburgo cui Sergio Lombardo - questo il nome dell’uomo - si è rivolto stanco di non veder reso esecutivo nella pratica il diritto che gli veniva riconosciuto nella teoria.

Nel suo ricorso, infatti, Lombardo ha accusato le autorità italiane - tribunali e servizi sociali - di mancanza di diligenza, attenzione e imparzialità e, soprattutto, di non aver fatto quanto in loro potere per proteggere i suoi diritti di genitore. E i giudici di Strasburgo gli danno ragione su tutta la linea.

Istituita nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per assicurarne il rispetto, la Corte (il cui vicepresidente è un italiano) ha infatti rilevato che «i tribunali non sono stati all’altezza di quello che ci si poteva ragionevolmente attendere da loro poiché hanno delegato la gestione tra padre e figlia ai servizi sociali». Servizi sociali che spesso non hanno risorse e personale per seguire tante situazioni familiari difficili contemporaneamente.

Ma la seconda motivazione è forse più pesante della prima: «la procedura seguita dai tribunali è stata fondata su una serie di misure automatiche e stereotipate» che alla fine hanno compromesso un rapporto equilibrato tra padre e figlia.

La stoccata finale riguarda invece la condotta che il sistema di giustizia minorile italiano avrebbe dovuto tenere in una situazione come questa, e cioè prendere rapidamente misure «più dirette e specifiche» per ristabilire i contatti fra padre e figlia perché il passare del tempo, specie in età infantile, può avere conseguenze irrimediabili sulla relazione tra il bambino e il genitore che non vive più con lui.

Come per la questione carceri, non è la prima volta che la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per la scarsa attenzione ai diritti dei padri separati. Due anni fa aveva dato ragione a un 45 enne riminese e condannato lo Stato a un risarcimento di 15 mila euro per danni morali per non aver messo in atto le misure necessarie a garantirgli la possibilità di incontrare il figlio.

Ma la domanda vera per il padre che ieri ha ottenuto la sua ennesima vittoria sulla carta è: e ora? Cambierà qualcosa? Per Maurizio Quilici, presidente dell’Istituto Studi sulla Paternità «la sentenza è importante». Ma anche la legge 54 del 2006 che ha introdotto l’affido condiviso doveva garantire una più equilibrata presenza del padre. «E invece ha cambiato poco sul piano pratico». Occorre vigilare sull’adempimento delle pronunce dei giudici. Ma il punto debole è proprio questo. «Emessa la sentenza, appare facilissimo eluderne le disposizioni». Speriamo questo non valga anche per una condanna che ci scredita in Europa.

(da LA STAMPA – Cronache - 30/01/2013  pp.2-3)

 

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