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Così è, se vi pare.


Madre e figlia ostaggi del Tribunale di Monza

 

Una madre, sposata con un milanese, nell’ottobre 2013 chiede la separazione per le continue vessazioni a cui è sottoposta dalla suocera nell’indifferenza del marito. Inizia l’iter al tribunale di Monza e il giudice delegato all’udienza presidenziale - gennaio 2014 - predispone una Ctu sulle capacità genitoriali dei coniugi e sulla madre accusata dal marito di  essere depressa ed incapace di educare la figlia di appena quattro anni per stabilire presso quale genitore collocarla.

Dopo molti mesi arriva la relazione della Ctu nella quale sono contenute valutazioni e prescrizioni di terapie mediche alla madre che la stessa Ctu, essendo psicoterapeuta, non poteva fare per illegittimità professionale, mentre taceva sul fatto che la suocera da anni faceva uso abituale di antidepressivi ed era seguita da una psicolog a (amica della Ctu) presso cui andava da anni anche il figlio! Una relazione piena di contraddizioni, ovvietà ed asserzioni scientificamente non confermate.

Il giudice delegato esalta la relazione per la sua “oggettività” e, prendendo alla lettera tutto ciò che la sbrigativa psicologa affermava e stabiliva nell’affidare la figlia non ai genitori ma ai servizi sociali del comune in cui i coniugi abitavano e di collocarla presso la madre, obbligando la stessa ad abitare in quella città, nonostante la signora fosse rimasta da mesi senza lavoro, mentre nella zona di Firenze aveva la possibilità di lavorare a tempo pieno ed indeterminato.

La solerte giudice – inaudito perché non poteva farlo – impone alla sola madre di sottoporsi a psico-terapia e - senza richiedere ai coniugi i Cud-730 del triennio precedente, come legge vuole - stabilisce  che il marito versi un mantenimento per la bambina di 350 euro e 200 per la madre  senza lavoro. Giustifica questa decisione con il fatto che il marito aveva uno stipendio di milleseicento euro ma per sole 12 mensilità e che era gravato di un mutuo di €.500,00 su una nuova casa acquistata da sua madre ma a lui intestata dove di fatto viveva la madre con il suo amante prima ed ora con il figlio. Il mutuo era pagato esclusivamente e puntualmente dalla madre (bastava guarda i movimenti del suo c/c). Il figlio, inoltre, prendeva 14 mensilità, aveva trasferte e premi di produzione, gestiva anche mostre e ferie della ditta in cui lavorava e percepiva anche gli assegni familiari per moglie e figlia, otre ad avere la detrazione per figli a carico. Tutte queste cose sarebbero state constatate nelle buste paga, se il giudice le avesse richieste, come suo dovere.

La madre doveva vivere in quella città milanese, nelle vecchia casa della suocera e doveva sostenere  i costi delle bollette e del condominio per oltre duecento euro al mese. Di fatto questa madre è stata costretta dal tribunale a vivere, lei e figlia, con sole 350 euro al mese in un paese che non le garantiva il lavoro e non poteva ritrasferirsi vicino a Firenze dove era vissuta con i propri genitori, dove aveva lavorato e dove aveva tante possibilità di lavoro e dove poteva essere aiutata dai suoi genitori che l’ospitavano e che provvedevano alla bambina quando lei era al lavoro.

 

In caso si fosse allontanata da quella città, le fu fatto intendere che la figlia l’avrebbero affidata al padre, cioè al genitore che la Ctu aveva definito incapace a gestire la figlia e a sua madre che della nipote non ne voleva sapere nulla e che da anni è seguita da una psicologa e che uso di farmaci per combattere gli stati depressivi!

La minore quando era col padre, veniva tenuta prevalentemente da una baby-sitter il cui marito accudiva la piccola, le faceva il bagnetto e le pulizie intime al posto della moglie e assumeva con la bambina atteggiamenti poco chiari e preoccupanti. La madre ha diffidato il marito a consegnare la bambina a queste due persone ed è stata costretta a diffidare gli stessi a non tormentarla continuamente con insistenti telefonate giornaliere per parlare con la minore.

Il padre accusava la moglie continuamente di tutto e di più, non rispettava i tempi e le modalità di prelievo e di riconsegna della figlia che, sistematicamente, lasciava a sua madre anche la notte essendo lui assorto nella lavorazione e commercio di prodotti della compagna - che immediatamente aveva rimpiazzato la moglie - con la quale partecipava a mostre e feste, assentandosi da casa per lungo tempo o semplicemente per trascorrere con essa serate e notti di svago. Alla bambina raccontava che lui la sera andava a dare il sangue per i bambini bisognosi!?!

La bambina aveva un pessimo rapporto con la nonna paterna e con la compagna del padre; la madre era costretta a vivere da barbona, supplicando pacchi viveri alla Caritas, mandava curriculum in continuazione ma non trovava nessuna opportunità lavorativa.

Dinnanzi all’arroganza e prepotenza del marito e della suocera, al menefreghismo dei servizi sociali – schierati con il marito e sua madre – che la invitavano a supplicare “elemosine” dalle istituzioni caritatevoli cattoliche e laiche (facendo concorrenza anche agli extra-comunitari!) per pagarsi le bollette, la madre si è decisa a ritornare al suo paese dove ha trovato immediatamente lavoro come operatrice socio-sanitaria, cioè in linea con la sua professionalità. Così era autonoma e poteva assicurare un futuro alla figlia.

La nonna paterna, pur abitando da anni nella nuova casa, risultava inserita nello stato di famiglia della nuora e della nipote  la quale non riusciva a toglierla e ciò comportò, per l’accumulo della pensione della suocera, la perdita del diritto al patrocinio gratuito (assistenza a spese dello Stato), costringendo la stessa a pagarsi Ctu, Ctp e legali per svariati migliaia di euro.

Le bollette e le spese condominiali della casa coniugale erano intestate alla suocera essendo sua la casa e risultandovi residente, ma venivano pagate dall’ex nuora, la quale, trovandosi senza lavoro non riuscì più a pagarle, e i gestori dei servizi fecero rivalsa sulla titolare delle bollette. La suocera impose alla nuora di pagarle immediatamente e, non avendolo fatto, fece staccare luce, acqua e gas, fregandosene che vi abitava anche sua nipote. Questo era il bene che voleva alla nipotina!

La madre per salvaguardare la collocazione della figlia presso di sé, a giugno, dovette far ritorno con la figlia al paese del marito (ritrasferendovi nuovamente la residenza propria e della figlia), sempre senza lavoro e con il contributo del marito di 550 euro al mese di cui metà assorbito dalla spese condominiale e dalle utenze. La figlia, all’insaputa della madre, era stata iscritta dal padre nella scuola elementare di quel paese, nonostante fosse residente con la madre a Firenze.

Dopo poche settimane, senza un soldo in tasca e senza il pur minimo aiuto dei servizi sociali (i quali avevano prospettato alla madre, in caso di lavoro, la possibilità di mettere la bambina in una comunità diurna con ragazzi con gravi problemi esistenziali), è andata a stare  presso i propri genitori, avendo trovato un lavoro a part-time e potendo contare sull’aiuto dei propri genitori.

Fece frequentare alla figlia la scuola materna del paese e pensava di farla continuare nella scuola elementare dove aveva numerosi amichetti,tenendo presente che le insegnanti, lo scorso anno, aveva aiutate la bambina a  superare positivamente certe sue criticità e quel lavoro poteva continuare nella scuola primaria.

Appena assunta nel nuovo lavoro come operatrice socio-sanitaria in una comunità di persone diversamente abili, la madre inoltrò al giudice istruttore una motivata e particolareggiata  istanza per far modificare i provvedimenti provvisori di separazione, autorizzare il suo trasferimento con la figlia presso i suoi genitori, proponendo, in caso contrario, che il marito, proprietario di una nuova abitazione in zona residenziale, il cui stipendio è di oltre duemila euro al mese si assumesse gli oneri condominiali, le bollette ed aumentasse l’assegno di mantenimento madre e figlia ad euro 800 al mese fino al reperimento di un lavoro in Lombardia. IL giudice, appena ricevuta l’stanza della signora l’ha rigettata perché non erano sopravvenute circostanze nuove.

Ora, dopo il rifiuto della madre a far rientro nel milanese con la figlia, il padre ha inoltrato una istanza al giudice per richiedere il collocamento presso di sé della figlia per farle frequentare la prima classe di una scuola scelta solo da lui e senza il consenso dell’altro genitore e per richiedere l’autorizzazione a prelevarla in qualsiasi parte d’Italia con l’ausilio della forza pubblica.

C’è da chiedersi se questa sia la tutela del benessere di una figlia che non vuole saperne nulla della compagna del padre, della nonna e delle anziane zie paterne (che a loro volta  avrebbero bisogno loro stesse di una badante) e delle persone alle quale abitualmente la piccola viene lasciata quando dovrebbe, al contrario, stare con il padre?

E’inammissibile che un tribunale possa tenere in ostaggio una madre con una figlia obbligandola a risiedere nel paese in cui vive il marito (felicemente accompagnato con un’altra donna e forse la storia era iniziata tanti anni prima, in costanza di matrimonio) in una vecchia abitazione senza luce, acqua e gas, stabilendo, contra legem, un mantenimento per madre e figlia irrisorio, cioè non proporzionato ai redditi del marito, documentati e se necessario  certificato dalla Guardia di Finanza.

La madre, non trovando lavoro nel milanese e non potendo vivere con il misero mantenimento del marito (550 euro al mese!) si vorrebbe costringerla a chiedere l’elemosina come una barbona per allevare la figlia, così che, per l’indecenza, il padre avrebbe facilità a toglierle la figlia, nonostante la minore sia per lui e per la nonna un peso, come la stessa figlia lo avverte e lo riferisce.

La madre se non vuole perdere la figlia deve sottostare alle assurde decisione di un tribunale che fin dall’inizio ha affrontato il caso con tanta superficialità, contravvenendo alla giurisprudenza vigente e, a nostro parere, anche alla legge.

E’ ancora più inammissibile che un ricorso della madre venga respinto con motivazioni inesistenti e, sicuramente, quello paterno verrà immediatamente esaudito! Due pesi e due misure: ma la giustizia non  viene rappresentata con una bilancia le cui braccia sono in perfetto equilibrio?

Vorremmo ricordare ai giudici coinvolti che la libertà personale e il libero arbitrio non possono essere tolti a nessuno, come da Costituzione, e che nessun giudice può imporre ad un genitore percorsi sulla genitorialità e tantomeno percorsi psicoterapeutici, come la Suprema Corte va ripetendo da tempo.

La bambina verrà portata via (sarebbe meglio dire strappata) alla madre - magari con tanto di polizia e servizi sociali - per essere trasferita a casa del padre, genitore non collocatario, e costretta a frequentare una scuola elementare lontana dalla madre e dove non ha nessuna amicizia, dimenticando che la minore per superare le sue criticità ha bisogno di serenità e di essere seguita da persone di cui lei ha fiducia.

Il padre – non sottovalutiamolo - quando ha la figlia con sé è in tutt’altre faccende affaccendato e la figlia vive da selvaggia in un camping con la nonna e viene portata dal padre a feste celtiche, del tutto inadatte per bambini di quattro/sei anni.

Questi operatori istituzionali farebbero bene ad attenersi ai diritti fondamentali dell’uomo, al diritto familiare e alla giurisprudenza vigente poiché tutto il resto è, oltre a mancata tutela dei minori, solamente violazione dei diritti umani!

 

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