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Ai figli spetta lo stesso tenore di vita antecedente la separazione dei genitori


Le contraddizioni della Cassazione

sull’assegno di mantenimento dei figli



avv. Francesco Valentini*

La Cassazione civile (ordinanza n. 3922/2018) afferma che il giudice, nel determinare l’assegno di mantenimento dei figli, debba tenere conto del tenore di vita da loro goduto durante la convivenza con ambedue i genitori, cioè quando erano in due a sostenere le spese della famiglia. Il venir meno della convivenza significa che ciascun genitore dovrà provvedere alla nuova famiglia e non avrà più a sua disposizione il precedente reddito complessivo del nucleo familiare che d’ora in poi sarà scisso per mantenere non una ma ben due famiglie. Inevitabilmente, ciò comporta anche che le esigenze dei figli dovranno adeguarsi a questa nuova realtà e non potranno più contare su un tenore di vita che non ci potrà più essere. Ma ai giudici della Cassazione ciò non sembra essere rilevante.

Stabilire, infatti, che i figli dopo la fine della convivenza dei genitori abbiano diritto allo stesso tenore di vita precedente vuol dire penalizzare il genitore che deve provvedere all’assegno di mantenimento per la prole e che quasi sempre viene estromesso dalla casa familiare, anche se ne è proprietario.

Certo, se le finanze dei due genitori possono permettere ai figli lo stesso tenore di vita della convivenza, è giusto che si garantisca loro tutte le esigenze a cui erano abituati. Se, però, il genitore non collocatario ha un reddito che non gli permette nemmeno di arrivare alla fine del mese, come si può costringerlo “ad assecondare le inclinazioni e/o le aspirazioni dei figli”?

Il giudice chiamato a definire l’entità dell’assegno di mantenimento per i figli, per essere equo verso la prole e verso entrambi i genitori, oltre a quanto già previsto dal codice civile, necessariamente dovrà tener presente di alcuni imprescindibili fattori e/o indicatori, quali:

- le obbligazioni economiche assunte durante la convivenza a cui il genitore non collocatario deve adempiere

- i costi che lo stesso (spesso titolare della casa familiare utilizzata esclusivamente dall’altro genitore con i figli) deve sopportare per una nuova abitazione idonea per lui e per ricevere i figli quando sono con lui e deve valutare l’incidenza sul reddito delle nuove utenze per la casa

- l’assegno di mantenimento per i figli, destinato a coprire i loro costi ordinari mensili, deve essere ripartito equamente, secondo il principio della proporzionalità, tra i due genitori poiché il collocatario non può sottrarsi al dovere di mantenimento della prole e il giudice, nel determinare l’entità dell’assegno, non può prescindere dalla corresponsabilità economica di ambedue i genitori. Altrimenti, se il mantenimento richiesto gravita esclusivamente sul genitore costretto di fatto a vivere fuori casa, l’obbligazione diventa assurda e si trasforma in un celato assegno di mantenimento all’altro genitore e/o pagamento dell’attività genitoriale del collocatario.

Per porre fine agli abituali abusi nella gestione dell’assegno di mantenimento, nel determinare detto assegno

- si deve rendere obbligatoria la rendicontazione mensile dettagliata delle somme pagate per la prole dall’altro genitore da parte del genitore beneficiario

- si devono valutare i redditi reali di ambedue i genitori, tenendo conto della conclamata evasione fiscale di tantissime micro-macro-occupazioni che non vengono valutate dal tribunale. Le indagini della polizia tributaria e dell’ispettorato del lavoro spesso sono una semplice presa in giro per chi le richiede, sia perché il giudice non le autorizza sia perché, quando autorizzate, vengono svolte dinnanzi al computer, cioè sul dichiarato!

- per una equa valutazione dell’assegno di mantenimento per i figli devono essere considerati gli assegni familiari riscossi dal genitore collocatario, nonché i sussidi e/o contributi pubblici e privati, le agevolazioni fiscali godute in quanto genitore collocatario

- la casa familiare assegnata ai figli non può divenire, di fatto, la casa anche del compagno/a che ivi “abusivamente” – di fatto – vivono. L’”amico o l’amica” del collocatario/a vanno a dormire con lui/lei quasi sempre e/o sistematicamente quando non ci sono i figli, soprattutto quando la casa è in comproprietà tra i due genitori o proprietà esclusiva del non collocatario o quando l’affitto viene pagato con l’assegno di mantenimento dei figli. Chi ospita, più o meno celatamente, il compagno/a nella casa familiare assegnata ai figli deve essere chiamato a pagare vitto e alloggio per sé e per il convivente, riducendo l’assegno di mantenimento dell’obbligato!

- si rende indispensabile, per un equo assegno di mantenimento per i figli, non tener conto dello stato di perenne disoccupato/a del collocatario/a che, però, ostenta un evidente e ingiustificato tenore di vita.

Queste considerazioni – a cui se ne possono aggiungere molte altre – non sembrano essere importanti per gli ermellini le cui sentenze rischiano di non essere comprese per le loro contraddittorietà. Troppo spesso, pertanto, si continua a penalizzare il genitore estromesso di fatto dai propri figli.

Non è affatto vero che la tutela dei figli – si badi bene, però, solo economica a favore del genitore collocatario – consista nel garantire loro il tenore di vita antecedente la fine della convivenza dei genitori e che gli stessi siano danneggiati dalla decisione dei propri genitori di divorziare.

Una assurdità!

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