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Un falso problema

 

Una casa per i padri separati “poveri”

per coprire le colpe dei tribunali e della politica


 

Si fa un grande parlare dei padri poveri e tutti esternano la loro “umanità” nel proporre rimedi per alleviare la loro misera condizione: mense della Caritas (mantenute con i soldi di tutti), un tetto provvisorio, contributi economici per sostenere le spese legali … ma nessuno parla di una giustizia troppo schierata con le madri, un patrocinio a spese dello Stato (soldi pubblici) e graduatorie per l’accesso all’edilizia popolare che permettano la detrazione dai redditi del padre le somme che versa alla controparte per i figli e non più in sua disponibilità. Una riforma che spetta ai politici a livello nazionale e locale.

Nessuno ha il coraggio di affrontare il problema dalle radici perché intorno al malloppo vi girano interessi politici, economici e sociali. Nessuno ha il coraggio di mettere all’indice le istituzioni che non funzionano e la giustizia che è la prima e maggior responsabile del disastro familiare. Il business è troppo grande per parlarne!

La stampa è solo interessata a chiedere alle associazioni dati statistici sui nominativi dei padri finiti sul lastrico, ma evita di indagare sugli errori giudiziari e sul mal funzionamento dei tribunali e dei servizi sociali.

Le difficoltà economiche dei padri separati sono la conseguenza delle decisioni di alcuni tribunali italiani che nelle separazioni, nei divorzi e nell’affido dei figli, determinano condizioni economiche (mantenimento figli e spese straordinarie) non proporzionate ai reali redditi dei due genitori. E’ sempre l’uomo a subire il gravame del peso e quasi mai la donna, che per il solito benevolo sguardo di genere riesce a farla franca, anche nelle attività non dichiarate e nel lavoro a nero. Eppure la legge ha disposto l’obbligo degli accertamenti fiscali che in questo paese funzionano bene nel potere della guardia di finanza. Forse per questo non viene incaricata. Chi teme la verità: la giustizia di genere o il sistema che ruota intorno alle questioni?

Ora siamo invasi dall’istituto del Protocollo, stabilito tra le pari decidenti, come modus operandi, senza la partecipazione degli interessati, con carattere vincolante, per stabilire l’assegno di mantenimento dei figli e la natura delle spese straordinarie Tutto condiviso dagli ordini forensi. E la politica sta a guardare, timorosa di intaccare la sensibilità del magistrato, del giudice, dell’avvocato o del dirigente dei servizi sociali.

La finalità non è quella di tutelare il genitore non collocatario, ed indirettamente i loro figli, ma è espressione esclusiva dell’autotutela dei giudici che, così, possono continuare ad emettere sentenze in serie (talvolta con il copia-incolla, riportando per distrazione nominativi e fattispecie che appartengono ad un caso diverso), e con il tacito consenso degli avvocati che utilizzano gli errori aggravando le procedure al proprio cliente. In tal modo i legali finiscono per divenire i migliori difensori di una giustizia ormai in ginocchio.

Chi controlla? Nessuno! Il principio del protocollo non può essere sottratto alla sua finalità, risalente all’art. 97 della Costituzione (buon andamento ed imparzialità). La giustizia applica le leggi e secondo finalità eque per tutti i cittadini senza distinzione di colore, di razza e di genere.

Non esiste uniformità di intenti sulla stessa materia. Ogni tribunale traccia una direttiva diversa e contrastante con quella del tribunale più vicino. Eppure i giudici provengono dalla stessa cultura giuridica. Il concetto di mantenimento ordinario e straordinario è lo stesso sia a Milano che a Palermo.

Alcuni protocolli, nonostante la reale condizione del padre, palesemente riconosciuta, appaiono come punitivi verso il padre, solo perché egli ha ritenuto di difendersi strenuamente e di non essersi sottomesso alla volontà consigliata dal giudice. La difesa del cittadino disperato è considerata “irrispettosa disubbidienza”

Ci auguriamo che finalmente col vento cambiato la politica presti attenzione al problema e riapra il discorso sulla responsabilità a tutti i livelli unitamente alla capacità e al merito. Il Paese ha bisogno di un clima più sereno e di una Giustizia amministrata per risolvere e non aggravare i problemi al cittadino. L’art. 30 della Costituzione, l’art.147 e ss del c.c e la legge 54/2006 dettano che i figli pesano sui genitori in egual misura, principio che vale anche nell’affidamento. Questo modo di procedere, con la conseguente non giusta applicazione delle leggi italiane, danneggia chiaramente il genitore non collocatario/non affidatario a cui viene imposto assegni di mantenimento che includono anche le somme che dovrebbe versare la controparte. L’utilizzo di questi assegni deve essere rendicontato al genitore obbligato, ma nessun lo prevede nelle sue sentenze.

Nonostante le continue contestazioni dei diretti interessati, si continua a condannare il non affidatario a pagare il 50% (in alcuni casi anche il 75%) delle spese straordinarie richieste esclusivamente dall’affidatario, quasi sempre la madre, senza consenso della controparte. Un giudice di Aosta, dinnanzi alla madre che pretendeva elevati importi per spese straordinarie mai autorizzate come invece prevedeva il provvedimento di separazione, ha rigettato la documentata opposizione del padre, dichiarando che per il bene dei figli le spese richieste vanno sempre pagate anche senza autorizzazione!

Il problema del genitore finito in povertà non si rivolve con una provvisoria casa “ghetto” e con l’elemosina del contributo di assistenza, ma con una radicale riforma istituzionale e soprattutto con professionalità capaci e meritevoli, requisiti questi esclusivi anche ai fini della carriera. Il cittadino italiano è stanco di sopportare il peso di tasse destinate a mantenere il tenore elevato di soggetti che oltre a non fare bene il proprio lavoro, lo perseguitano con una giustizia distante e contrastante con i principi di tutela.

I politici e i loro amministratori diventano dei sepolcri imbiancati che credono di far dimenticare le loro responsabilità con proposte “umanitarie” per i padri poveri con una casa o con contributi che finiscono esclusivamente nelle tasche di chi ha fatto un business della fine della convivenza tra i due genitori.

Invece del pressapochismo e dell’opportunismo politico, il cittadino-padre separato ha bisogno di trasparenza nelle decisioni dei tribunali, coerenti con il codice civile, e del rispetto dei superiori ed inalienabili diritti del minore e del padre, tra i quali la bigenitorialità.

I politici sembrano assorbiti solo dalle enfatizzate problematiche di genere e, di certo, sono contrari alla reale tutela dei minori e del padre estromesso, a vario titolo, dalla loro vita. A loro compete anche la regolamentazione dei servizi sociali, predisponendo vincolanti controlli sulla loro professionalità di tutti coloro che gravitano attorno al business legato alle separazioni: educatori, assistenti sociali con titoli professionali “fai da te”, psicologi, case famiglia, cooperative, case protette, ecc. e un mondo sommerso di figure inventate, proposte, favorite e incanalate.

Ai tribunali, invece, compete il dovere di rinnovare, annualmente, la lista dei Ctu e dei Giudici onorari (in forza nei T.M. e nelle Corti d’appello, sez. minori) e di verificare le loro reali competenze professionali con monitoraggi affidati a strutture scientifiche competenti ed esterne sia ai tribunali che al vasto e variegato mondo degli assistenti sociali, quasi sempre non controllato, guidato per mano dal solito assessore di turno il quale usa il danaro pubblico come dispensiere in banchetto.

Finché il filo non si rompe. E non si rompe fino a quando i poteri forti di organizzazioni, a diverso titolo, e della occulta massoneria non saranno stanate.

E’ del buon pastore tosare le pecore, ma non portar via la pelle.

 

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