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Il dissenso contro lo stupro del diritto e della legge.


La forza della denuncia


Ubaldo Valentini *

Ogni popolo ha il governo che si merita. Il detto (secondo alcuni riconducibile ad Aristotele) è quanto mai calzante se si rapporta alla situazione della Giustizia in Italia, della cui mancanza si lamentano tutti, anche chi invece dovrebbe pronunciare il proprio mea culpa.

La giustizia viene amministrata non solo nei tribunali ma in tutte le istituzioni che dovrebbero garantire pari opportunità a tutti i cittadini e non essere condizionate, comunque e sempre, dalla cultura di genere. Parliamo di istituzioni politiche, amministrative che, con il loro operare, finiscono per giustificare la diffusa carenza di giustizia e rendono il cittadino impotente dinnanzi alle ingiustizie subite. Questa problematica, in uno Stato che ha la presunzione di porre il cittadino al primo posto, non dovrebbe esistere. Poiché nessuno è perfetto, c’è chi della “imperfezione” ne fa una ragione esistenziale. Il cittadino, umiliato e impotente, non ha lo stimolo e il coraggio di rivendicare il rispetto dei propri diritti e doveri, denunciando e urlando ad alta voce gli oltraggi subiti.

Il detto sopra riportato, da una parte evidenzia la convivenza del popolo con istituzioni che, di fatto, lo snobbano e dall’altra è un forte invito a riformare, rapidamente e in modo energico gli apparati istituzionali responsabili e complici del disfacimento dello Stato di diritto. Qui sta il nodo della diffusa ingiustizia, figlia del “dio” quattrino. La paura di fantomatiche ritorsioni e la cultura bonista inducono il cittadino, vessato e spesso perseguitato dalle istituzioni, ad aspettare tempi migliori. Intanto il malessere cova sotto la cenere. Certe constatazioni e riflessioni sulla giustizia non possono restare tra le mura domestiche e nemmeno è tollerabile che le umiliazioni, l’arroganza e la prepotenza permettano a molti di osare e usare un linguaggio non consentito “in nome della posizione ricoperta e del popolo italiano”.

Dinnanzi al silenzio di chi dovrebbe, al contrario, denunciare pubblicamente l’ingiustizia e contemporaneamente attivare provvedimenti concreti e vincolanti, non resta che L’Urlo pubblico – non solo su internet – per svegliare la coscienza e l’opinione pubblica, al fine di sensibilizzare le Autorità di controllo ad intervenire e provvedere contro gli abusi. Nel sistema di potere si sono create vere e proprie sacche massoniche, che si tengono per mano in aperta e spregiudicata autodifesa contro la trasparenza, l’accesso agli atti pubblici e i diritti dei cittadini. Vengono inventate “a voce” e non per iscritto” regole e procedure per costringere il cittadino a bussare, con i piedi, la porta di questo o quel funzionario, dirigente o Autorità decidente. Basta percorrere i corridoi di qualsiasi Ente, per comprendere in quale situazione sono finiti il diritto, la legge, le garanzie e le tutele.

Non bastano protocolli, spesso formulati ad hoc, associazioni a tutela dei consumatori e dei diritti negati, manifesti di cultura alternativa e tutte quelle miriadi di organizzazioni che, in concreto, non rafforzano i cittadini “abusati”, ma frantumano una possibile organizzazione di cittadini intenzionati ad andare fino in fondo.

Il protagonismo personale o di casta, tutelato da certe strutture sociali, private o di emanazione del pubblico, non aiutano a restituire la dignità al cittadino, ma sono il veicolo pilotato per incrementare il sottobosco di una ingiustizia che deve servire “a fare affari”.

Per combattere l’ingiustizia nelle separazioni, (Ordini professionali, politici, alcuni servizi sociali, separati usciti malconci dai tribunali, associazioni di settore, talvolta nate per coprire professionisti ed interessi economici personali …), tutti propongono riforme del diritto di famiglia, di cose nuove, aggiuntive o di modifica ma nessuno denuncia la mancata applicazione delle leggi esistenti, degli abusi del diritto, dei ritardi e delle omissioni perpetrati tutti i giorni da dipendenti, funzionari e dirigenti pubblici pagati lautamente con soldi “sacrificati” dei cittadini.

Nessuno pensa di mettere mano nel grande affare dei servizi sociali, delle cooperative di scopo e case famiglia di scopo, delle figure inventate dei cosiddetti educatori e mediatori sociali e delle istituzioni a latere collegate in un” grande abbraccio di consensi e condivisione”.

Nessuno pensa di rimuovere il grande tarlo che sta dilaniando il popolo italiano. Popolo che ormai non crede più e non ha fiducia di chi ha tradito il mandato elettorale e pubblico. Chiediamo, senza timore, e l’associazione sarà a fianco di chi avrà il coraggio di dar voce alle ingiustizie patite nelle separazioni che colpiscono, in primo luogo, i nostri figli e il genitore più debole (quasi sempre il padre), figura insopprimibile per il riferimento futuro di una società bene equilibrata.

Non raccogliamo le provocazioni di genere e neppure quelle di sostegno. Lo scopo della famiglia non è la guerra tra genitori, ma quella più accanita e difficile per un avvenire giusto e sicuro dei figli, perseguito e gestito da persone e soggetti, fedeli e rispettosi dello Stato e dei suoi membri. Le istituzioni che non credono nel concetto di famiglia, sono nemiche dei nostri figli e della società.

L’illegalità è coperta anche dall’equivoca applicazione della legge sulla pubblica amministrazione, dal ritenersi “padroni” dei minori e dal considerare la giusta applicazione del diritto di famiglia come prerogativa esclusiva dei tribunali e non come dovere dei pubblici amministratori. Ritengo che si debba aprire una seria riflessione sui padri maltrattati ed estromessi dalla vita dei propri figli, creando in quest’ultimi le premesse per preoccupanti devianze giovanili e rifiuto dello Stato. Nasce spontaneo chiedersi perché non si parli dei tanti padri che ogni hanno si tolgono la vita, perché non è permesso loro, in concreto, di esercitare diritto-dovere alla genitorialità, nell’indifferenza di tutti, della stampa e, inspiegabilmente, dei politici.

Usciamo dall’anonimato e dalla paura di far valere i propri diritti genitoriali, denunciando pubblicamente le ingiustizie subite per renderle di pubblico dominio ed aderiamo ad organizzazioni che tutelano la bigenitorialità e il condiviso (cosa che non fa il d.d.l. Pillon).

Pretendiamo, però, fatti (cioè, l’adozione dei relativi provvedimenti da parte delle istituzioni competenti) e non velleitarie aspettative. Queste pagine, da sempre, sono a disposizione, garantendo, ovviamente, l’anonimato.

Dalla denuncia occorre individuare azioni, concrete, per uscire dalla filosofia del diritto e per rompere “i patti di non belligeranza” stipulati in danno dei cittadini.

Aspettiamo i vostri contributi al 347.6504095 e/o Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. .

* presidente e cofondatore dell’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori.

 

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