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Aosta

 

I servizi sociali tacciono, come sempre,

e i politici fanno finta di non vedere


Tutti conoscono la storia del padre che, anni or sono, è stato costretto a vivere in macchina, dopo che la casa popolare, in cui abitava con la moglie ed i tre figli, di cui una con difficoltà esistenziali ed un’altra ancora bambina, con la separazione, è stata assegnata alla madre, che, fra l’altro, aveva abbandonato la casa coniugale per dichiarati maltrattamenti in famiglia (mai dimostrati, nemmeno in sede civile, durante il procedimento di separazione, benchè raccontati più volte al giudice).

Maltrattamenti mai querelati dalla presunta “vittima”, ma, in base agli interessati timori “infondati” riferiti dalla moglie ai servizi sociali, da loro fatti propri con tanta solerzia, al punto da attivarsi perfino per revocare la licenza di porto di fucile e quella licenza da caccia (mai più riconcessa per meccanismi che si basano su una incomprensibile ed assolutamente non condivisibile discrezionalità, anche quando palesemente infondata, della questura e della prefettura) e per fargli sequestrare, a scopo cautelare, armi e munizioni, la cui lacunosa e generica relazione è stata sufficiente al tribunale per assegnare la casa coniugale alla moglie, senza alcun riscontro giudiziario e professionale con specifica Ctu sul comportamento e sullo stato psichico materno, che, come tutti sapevano e sanno, si disinteressava e si disinteressa dei figli, non prepara loro nemmeno i pasti, lasciando per molte ore la figlia psichicamente non autosufficiente alla sorellina di età allora inferiore ai dieci anni. Inoltre, in contemporanea, queste due sorelle uscivano di casa senza alcun controllo. Il padre lavorava e la madre, invece di procurarsi stabilmente un reddito per contribuire al mantenimento della famiglia, chattava e incontrava, poi, le persone contattate su internet, mettendo a rischio le due figlie.

Il padre ha dovuto abbandonare la casa presa in locazione dopo la cacciata dalla casa coniugale, poiché la proprietaria, appartenente alle forze dell’ordine, non gli concedeva di prenderci la residenza per poter, così, partecipare al bando per l’assegnazione delle case popolari, considerato che i figli, di fatto, stavano più tempo con lui che con la madre collocataria. Questione, questa, che non interessava e non preoccupa nemmeno oggi i servizi sociali, che nulla hanno fatto per aiutarlo a trovare una casa con una locazione contenuta e un lavoro che gli permetta di poter provvedere ai tre figli, di cui il maggiorenne senza lavoro certo, vista la sistematica assenza materna da casa, che li lascia anche senza i pasti e la merenda.

Con l’uscita da casa del padre, la madre gestiva, senza renderne conto all’altro genitore, la pensione di invalidità percepita dalla figlia non autosufficiente (e tutti gli altri contributi pubblici e privati), nonostante l’affido condiviso delle due figlie. Il padre si era rivolto ai servizi sociali, che, purtroppo, invece di attivarsi per farlo nominare amministratore di sostegno della figlia, gli hanno prospettato la nomina, al suo posto, di un assistente sociale. La dovuta opposizione paterna, però, e l’ostruzionismo del servizio lo hanno indotto a far versare l’assegno direttamente su una carta prepagata intestata alla figlia. I servizi, inoltre, nulla hanno fatto e fanno per aiutare la figlia disabile a trovare una occupazione, essendo inclusa tra le categorie protette.

Una risposta e un aiuto a questo padre è doverosa ed è quanto mai oltraggioso ed omissivo l’atteggiamento dei servizi sociali, che si rifiutano di aiutarlo, consapevoli che aiuterebbero concretamente i suoi figli, arrivati perfino a fargli revocare la licenza di caccia e i fucili per riferiti, ma non disinteressati “timori”, che potrebbero essere stati anche indotti da terzi.

Ancora una volta siamo in presenza di incompetenza professionale, presunzione ed arroganza, omissioni ed abusi d’ufficio. A farne le spese, come sempre, sono i figli e il genitore di sesso maschile, vittima della prepotenza di genere.

 

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