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Patti chiari sulle parcelle dei legali


I costi degli avvocati, nei procedimenti di separazione e di affido, sono una mina vagante che, nonostante il tariffario proposto dal CNF ed approvato dal Governo, viene applicato con molta discrezionalità dai legali e la sorpresa arriva al termine del procedimento. Se l’assistito chiede di conoscere, orientativamente, quanto gli verrà a costare il processo, il legale, con fare rassicurante, gli risponde “ora non è possibile prevedere la durata e complessità del procedimento”, “non ti preoccupare, ti prenderò il minimo, ora pensiamo a vincere la causa”. Chiede, invece, acconti che, quasi sempre, non sono tracciabili, perché pretesi in contanti, e il legale non rilascia alcuna ricevuta, perché, a suo dire, il cliente risparmierebbe l’Iva (22%) e, falsamente, anche quando il professionista ne è esente.

La “stangata” arriva a processo concluso, quando il difensore presenta una “salata” parcella – salata in base alle possibilità economiche dell’assistito – che mette in difficoltà chi è obbligato a pagare una somma che non era stata mai concordata e nemmeno prevista, soprattutto quando il genitore ha perso la causa ed è stato condannato a pagare anche le spese legali della controparte. Se l’assistito non ha possibilità di pagare la parcella, non può ricorrere al tribunale per derimere la vertenza, perché non ha i soldi per un nuovo avvocato e nemmeno può usufruire del c.d. patrocinio gratuito. Il legale, poi, si basa sulle tariffe ufficiali, che, fra l’altro, permettono tanta discrezionalità e tutto ciò che verbalmente aveva detto all’assistito viene sistematicamente negato, arrivando, in molti casi, a richiedere anche le somme già pagate sulla fiducia e mai rese tracciabili, perché altrimenti, non avendole fatturate, sono la palese prova di evasione fiscale.

 

L’assistito potrebbe verificare se il legale ha emesso la fattura elettronica per le somme pagate, poiché il documento fiscale dovrebbe essere visibile sul Cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate. Ci sono legali, però, onesti con il proprio cliente, che rispettano le promesse fatte quando ne hanno assunto la difesa e che sono rispettosi delle leggi fiscali italiane. Ma, purtroppo, sono solo rare mosche bianche.

L’evasione fiscale dei legali esiste in tutta Italia – soprattutto in quei tribunali dove i legali sono intoccabili e nessun giudice e nessun agente della G.F. osano vederci chiaro su questo diffusissimo fenomeno – e si calcola che circa il 70% delle somme percepite non vengano dichiarate dal legale con la conseguente evasione dell’Iva e delle tasse sui redditi, anzi, su quello che si paga, si applica una aliquota irrisoria. Si calcola (su somme non documentabili, senza un serio intervento della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate) che, in molte regioni italiane, l’evasione fiscale dei legali può riguardare milioni di incassi annui in nero (in certe regioni si potrebbero raggiungere annue di miliardi), di cui il 50%, se dichiarati, sarebbero Iva e Irpef, cioè soldi sottratti allo Stato, cioè a noi cittadini.

Ovviamente, gli avvocati lo negano, ma possono essere smentiti e possono essere condannati a pagare il dovuto, così come si fa per i comuni mortali cittadini, facendo il doveroso controllo da parte degli organi preposti (Corte dei conti, G.d.F. e Agenzia delle Entrate). Come? Andando nelle cancellerie dei tribunali, spulciando i fascicoli, vedere chi sono i procuratori incaricati e chiedendo riscontro al legale delle sue fatture (ma spesso non esistono o sono solo pro-forma, cioè irrisorie) per verificare se sono rispondenti al lavoro svolto in base alle tariffe nazionali. Nel fascicolo si trova traccia dell’assistenza legale a cui dovrebbe corrispondere una fattura (anche, eventualmente, elettronica). Si recupererebbe, complessivamente, più di un milione all’anno anche per le piccole regioni. Se poi si va a mettere il naso sui concessi patrocini a spese dello Stato, potrebbe venir fuori una elevata evasione fiscale per agevolazioni economiche di cui non si ha diritto, perché i beneficiari lavorano a nero e, molto spesso, non dichiarano tutte le entrate e tutti i sussidi percepiti. Anche questi sono soldi dello Stato sperperati per negligenza delle istituzioni o per scarsa onestà del cittadino.

La Cassazione ci ricorda che per l’avvocato è obbligatorio il preventivo in forma scritta dei costi di massima della prestazione. Il preventivo deve essere trasparente e deve prevedere i costi degli interventi che potrebbero rendersi necessari durante lo svolgimento del procedimento giudiziario.

La parcella finale dovrà rifarsi ai compensi pattuiti prima dell’inizio del procedimento. Se manca il contratto preventivo, in caso di controversia economica tra avvocato e assistito, il giudice stabilirà l’importo da pagarsi, rifacendosi alle tariffe medie previste Cnf oppure ci si può rivolgere all’Ordine degli avvocati che determinerà la notula in base al lavoro svolto e alle tariffe nazionali in vigore.

Spesso è il legale a sottrarsi alla firma del contratto preventivo, facendo intendere al cliente che, pretendere un contratto scritto, significherebbe offesa e sfiducia nel legale scelto, che, ovviamente, in mancanza di fiducia, sarebbe costretto a non accettare l’incarico di difesa. Il cliente, intimorito, rinuncia alle sue dovute pretese. E, in seguito, non avrà nemmeno il coraggio di pretendere di versare le somme solo tramite Iban o di pretendere la ricevuta per quelle versate in contanti. Non si rilasciano ricevute per non fatturarle e pagarci le tasse. Molti legali, poi, fanno credere al cliente che, se non fa fatture, lui non ci pagherà l’Iva (che, spesso, non può applicare), mentre non dice che sulle somme in nero per lui sono redditi tasse esenti.

Per non cadere nelle grinfie di legali poco trasparenti, è indispensabile pretendere un preventivo concordato e sottoscritto sia dal legale che dall’assistito e denunciare all’ordine degli avvocati del foro di appartenenza del legale i comportamenti deontologici non ammessi e pretendere i provvedimenti disciplinari. Se, poi, alla base della controversia ci sono pretese economiche non dovute, non si deve avere paura di ricorrere agli organi competenti.

Patti chiari, dunque, sulle parcelle dei legali e facciamola finita con i ricatti psicologici e con raggiri che non fanno onore a chi li effettua. È necessaria una indagine, approfondita e senza sconti, da parte di chi ne ha la facoltà e il dovere. Anche questa è giustizia.

 

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