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Gli assegni di mantenimento

se non dovuti vanno restituiti


Spesso il giudice, con rituale pressapochismo, stabilisce l’ammontare dell’assegno di mantenimento che uno dei due coniugi deve versare all’altro per il suo mantenimento ma la stessa cosa si potrebbe dire per il mantenimento dei figli economicamente autosufficienti, anche se lavorano a nero, affidati/collocati presso di lei (lei e non lui, perché a pagare è quasi sempre lui). La Cassazione (Cass. civ, sez. I, ord. n. 31635 del 14.11.2023) ha stabilito che, nella separazione dei coniugi, se l’assegno di mantenimento fin dal momento della sua determinazione, non era dovuto, il beneficiario (in questo caso una beneficiaria) deve restituire le somme percepite indebitamente.

La scoperta dell’inganno non è facile poiché spesso le dichiarazioni dei redditi sono incomplete, non risulta il lavoro a nero che il beneficiario nasconde per non perdere il mantenimento, si nascondono, con molta facilità perché non si dichiarano, tutti i redditi e gli investimenti finanziari. Il tribunale non fa nulla per verificare la veridicità delle accuse che l’obbligato rivolge al futuro beneficiario sulla incompletezza dei dati economici riferiti al giudice.

Questo comportamento, secondo i giudici della Cassazione, non solo non doveva avere accesso al mantenimento ma andava "censurato ex art. 96 c.p.c., per la malafede e il dolo processuale palesemente conclamati negli atti del giudizio e nella sentenza di prime cure".

 

I giudici con questa ordinanza affermano chenel caso in cui si accerti nel corso del giudizio (all'interno della sentenza di primo o secondo grado) l'insussistenza ab origine, in capo all'avente diritto, dei presupposti per il versamento dell'assegno di mantenimento separativo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della condictio indebiti (cfr. Cass., Sez. U., 32914/2022, dove, al punto 8.3, si precisa che "ove con la sentenza venga escluso in radice e "ab origine" (non per fatti sopravvenuti) il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, per la mancanza di uno "stato di bisogno" del soggetto richiedente (inteso, nell'accezione più propria dell'assegno di mantenimento o di divorzio, come mancanza di redditi adeguati).... non vi sono ragioni per escludere l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ai sensi dell'art. 2033 c.c. (con conseguente piena ripetibilità)".

Certo, i giudici riconoscono che coloro che, nelle separazioni e nel divorzio, hanno percepito un mantenimento non dovuto devono restituirlo al coniuge obbligato. La scoperta, però, dell’inesistente diritto a pagare ha un costo poiché occorre denunciare il lavoro a nero, tenuto nascosto al giudice, e instaurare un nuovo procedimento per la modifica della sentenza o meglio la cancellazione dell’obbligo di versare il mantenimento.

Tutto ciò si potrebbe evitare se, dinnanzi alle denunce o semplice segnalazione fatte dal coniuge obbligato o alla richiesta di far indagare sui lavori svolti ma non dichiarati dalla beneficiaria, il giudice invece di sorvolare sulle obiezioni del coniuge dovrebbe predispone, immediatamente, efficaci ed efficienti controlli, eseguiti non davanti al computer dove si vede solo quello è stato dichiarato e non quello che viene evaso. Se si vuole, il lavoro a nero esce fuori con beneficio delle casse pubbliche.

L’assegno di mantenimento, nelle separazioni e nei divorzi, riguarda prevalentemente le donne, cioè proprio quella categoria di lavoratori nota per evadere facilmente qualsiasi contribuzione pubblica. Inoltre, i giudici e tutto l’apparato dei servizi sociali, non amano togliere al gentil sesso previlegi procedurali nelle separazioni che spesso finiscono per essere vere e proprie discriminazioni verso l’uomo. I fatti quotidiani ci danno ragione. Da sempre.

Ma ci sono le responsabilità dei temuti patrocinatori che assistono il cliente e spesso tacciano certe possibilità giudiziarie o scoraggiano il proprio assistito che rivendica giustizia giusta. C’è, è bene sottolinearlo, anche la codarda pigrizia del cliente stesso che, forse per paura, non pretende il rispetto dei propri diritti, andando (nelle sedi giudiziarie) anche contro il proprio legale che potrebbe risultare non sempre ben disponibile a fare battaglie non gradite ai giudici.

Nessuno vuole una giustizia ingiusta. La nostra associazione, se volete, vi può dare una mano.

 

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