|
|
Giustizia ingiusta o malagiustizia?
Non sempre la giustizia è ingiusta per i limiti giuridici o, meglio, per l’incompetenza di chi l’amministra, per gli interessi lobbystici o di casta, per le ingerenze della politica, per la superba superficialità degli operatori della giustizia e il pressapochismo delle istituzioni che dovrebbero tutelare i cittadini, ma è ingiusta soprattutto perché siamo in presenza di una vera e propria malagiustizia. Se i vari fattori che fanno sì che la giustizia sia ingiusta possono renderci partecipi di una inconscia compassione per tutti coloro che potrebbero non sapere quali danni provocano ai minori e al genitore abusato, in presenza di malagiustizia, c’è la consapevole volontà di limitare i diritti di un cittadino, sia lui minorenne che genitore, di usare il potere che il ruolo istituzionale permette loro di distruggere proprio chi la giustizia dovrebbe tutelare in modo trasparente al fine di garantire ad ognuno che la legge è uguale per tutti.
Non è tollerabile la giustizia ingiusta, tantomeno la malagiustizia che opera discriminazioni e abuso di potere per soddisfare logiche estranee alla legge, comprese quelle relative alla impunibilità di chi commette negligenze nell’esercizio del proprio potere istituzionale. La giustizia deviata non deve rimanere impunita e non può essere tollerata da chi la giustizia, al contrario, correttamente cerca di praticarla e, soprattutto, da chi la deve subire, senza possibilità di essere risarcito del danno subito. La malagiustizia, pertanto, va denunciata a voce alta per far sì che i cittadini, in nome dei loro inalienabili diritti, si ribellino e i politici siano costretti a mettere mano alla gestione dei tribunali, sempre, e non solo quando indagano sul loro discutibile operato amministrativo.
Di cosa stiamo parlando?
Parliamo di una realtà che esiste e coinvolge tantissimi giudici; stiamo parlando del diritto negato ai bambini e ai genitori abusati nei procedimenti per l’affido dei minori. Stiamo parlando di una quotidianità che non fa cronaca, perché la stampa non si accorge della malagiustizia imperante nei tribunali o, meglio, non ne parla per non disturbare potentati e lobby, professionisti e speculatori che circondano gli apparati forensi e dei servizi sociali, sempre più amministrati da cooperative e società, spesso con scarsa professionalità e con tanta voglia di guadagnare facilmente sulla fine della famiglia e sulle emarginazioni sociali, mentre chi dovrebbe controllare non controlla e a pagare sono sempre gli stessi: minori e genitore estromesso dai figli.
Per parlare di malagiustizia e giustizia ingiusta riportiamo, tra le migliaia dei casi, alcuni fatti e, solo dopo, il lettore potrà con maggiore oggettività esprimere la propria valutazione di assoluzione o di doverosa condanna. Riferiamo di fatti concreti e, se necessario, faremo anche i nomi di chi amministra la giustizia, non secondo legge ma secondo la propria logica di genere o secondo la volontà delle potenti associazioni che, in dispregio del diritto di uguaglianza, hanno trasformato la politica di genere in una potente lobby economica. Il giudice che avrebbe dovuto prevenire e combattere la disuguaglianza, casualmente, è quasi sempre una donna.
a. L’assegno unico e universale
La giudice pretende che il procedimento di separazione venga chiuso con celerità per dimostrare la sua efficienza e fare carriera, respingendo tutte le argomentazioni del marito sui comportamenti antigenitoriali di una moglie (extracomunitaria) che esercita professioni varie, forse anche illecite, senza documentarle, perché, probabilmente, non sono documentabili, ha un elevato tenore di vita e pretende, però, un assegno di mantenimento per i figli che ha preteso che fossero collocati, in modalità prevalente, presso di lei. Di fatto però, non sta con i figli, non provvede al loro stato di salute e alla loro igiene personale, delega altre connazionali (che fa chiamare dai figli tutte “zia”) a tenere i figli, su ciò il padre è stato sempre tenuto all’oscuro, anche perché queste persone hanno in comune solo il continente di provenienza, ma sono sempre diverse, come la stessa moglie ha ammesso, preannunciando che le cambierà nuovamente e che sarà dovere del marito andarle a conoscere! Siamo in presenza di una cultura non genitoriale, ma tribale.
La solerte giudice non solo ha rigettato tutte le giuste e doverose istanze del padre, ma, di fatto, l’ha costretto, facendo intravvedere, altrimenti, la possibile sospensione della responsabilità genitoriale, ad accettare un assegno di mantenimento per i figli di €. 500,00 al mese, corrispondente ad un terzo del suo stipendio (per due figli allora di un anno e mezzo e di quattro, cioè complessivamente più di 1.000 euro al mese!) e la rinuncia alla propria quota, del 50%, dell’assegno unico universale (altri €. 500 al mese). Il padre, venuto a conoscenza che la madre, sistematicamente, non sta con i figli e vive nell’agiatezza addirittura disponendo di due abitazioni in locazione, ha chiesto che la collocazione prevalente dei due minori venga ridata al padre, presso il quale un altro giudice dello stesso tribunale li aveva collocati (quando uno aveva solo tre mesi e l’altro circa tre anni!), perché la madre voleva farli affidare al comune e collocarli in una struttura protetta, cioè, di fatto, non voleva saperne nulla, così come avviene oggi.
La giudice, con fare arrogante e prevenuto nel rifiuto delle giuste e documentate istanze paterne, non ha voluto modificare i provvedimenti da lei presi in precedenza (è stato stabilito che il padre potrà tenere e prelevare i figli, durante la settimana, nei due giorni in cui ha il rientro pomeridiano e, alla sua richiesta di cambiare i giorni, gli è stato risposto dalla giudice despota (despota, perché non rispetta la legge e, di fatto, non permette il contraddittorio) che, se non può prelevarli per motivi di lavoro, allora rinuncerà al diritto di visita!
Non solo, nell’ordinanza ha respinto la collocazione dei minori presso il padre, come era stato in precedenza, ma ha volutamente ignorato il cambio dei giorni infrasettimanali di permanenza padre-figli; ha ignorato la richiesta paterna di riavere il 50% dell’assegno unico universale (concesso solo su omissione delle dichiarazioni dei redditi, sconfessate dall’Agenzia delle Entrate), mentre, da un anno, la moglie asserisce, in tutte le sedi istituzionali (ma i servizi sociali si guardano bene dal riferirlo al giudice), di non poter tenere i figli perché lavora (anche nelle ore notturne resta fuori casa!).
Così, la solerte giudice non ha emesso nessun provvedimento in merito alla legittima pretesa del padre di avere il 50% dell’assegno unico universale, nonostante che la legge preveda che l’assegno vada ripartito al 50% tra i genitori non più convivente quando non c’è più l’accordo fra loro affinchè lo percepisca solo uno.
Sono stati segnalati tanti episodi contrari alle più elementari regole genitoriali da parte della madre, ma alla giudice questi fatti, alcuni gravi, non interessano e, per lei il padre, come ricorda durante le udienze, rischia la sospensione della responsabilità genitoriale se non collabora, cioè se non accetta supinamente i suoi diktat.
Rimettiamo ogni commento a chi ci legge.
b. La figlia maggiorenne, terminati gli studi, da anni, lavora in nero, convive con il compagno in una abitazione in locazione ed ha un cavallo di cui paga €. 350 al mese per la pensione in un maneggio. Un altro figlio ha rifiutato di stare con la madre, dopo che questa aveva abbandonato la casa coniugale, la giudice dispone la collocazione del figlio presso il padre, ma non prevede alcun assegno di mantenimento per lui da parte della madre, essendo ancora studente, e nemmeno il rimborso delle spese straordinarie al 50%, mentre il padre deve pagarle per la figlia che, da anni, è autonoma. Il figlio visto le difficoltà economiche del padre per i debiti e mutui lasciategli anche dalla moglie e per gli assegni di mantenimento, ha abbandonato gli studi per andare a lavorare e non gravare più sul suo stipendio.
La giudice, nella sentenza di separazione, riconosce che la figlia lavora, non prevede la restituzione della parte dei soldi indebitamente versati dal padre alla madre e lo condanna a pagare una provvisionale di 10.000,00 euro e tutte le spese legali. La sentenza è stata appellata, ma controparte, nonostante l’appello, pretende il pagamento delle spese legali e della provvisionale per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro, nonostante la moglie debba ridare una cifra quasi identica per il mutuo sottoscritto per l’acquisto della casa coniugale, cointestata tra i due coniugi, di cui il 50% di spettanza della moglie è stato pagato da lui per non farla pignorare dalla banca.
La figlia, venticinquenne, piange miseria, pretende il mantenimento non dovuto da parte del padre e al tempo stesso può permettersi un costoso cavallo. In realtà la ragazza ha sempre lavorato, rigorosamente a nero e fin da quando frequentava la scuola superiore, nel maneggio dove teneva in pensione il cavallo (€. 350 al mese) per coprire i costi dell’equino, come la stessa ha ammesso nel processo di separazione dei genitori, e faceva anche altre attività, che le venivano pagate facilmente a nero, visti i particolari rapporti esistenti tra madre ed il proprietario del maneggio. Oltre a ciò, da un riscontro contabile presso l’Agenzia delle Entrate, risulta che la ragazza aveva svolto anche altre attività a part-time, regolarmente pagate, ma tenute nascoste al padre da parte della madre che riscuoteva, così, l’assegno di mantenimento altrimenti non dovuto. Da alcuni anni, la figlia convive con un uomo e, ogni anno, di fatto, percepisce da lavoro (dichiarato e non dichiarato) oltre €. 1000 al mese. La solerte giudice, però, non ha mai predisposto le indagini sui redditi della figlia, ritenendo per buone le bugie che madre e figlia rilasciavano quando i vari giudici facevano loro “delle domande” (esami e/o prove per testi).
Siamo in presenza di un accanimento verso questo padre secondo schemi precostituiti che non dovrebbero esistere, dei quali, però, nessuno parla e nessuno, anche all’interno del tribunale, interviene per porre fine a questo ignobile mercato degli affidi ed a queste continue discriminazioni verso il padre, colpevole di voler fare il padre, costretto a fare molti straordinari per mantenere la famiglia e, la sera, stanco morto, era obbligato a dover cucinare per la famiglia, fare le lavatrici e pulire casa, soprattutto cucina e bagni, perché la moglie trascorreva tutto il suo tempo libero (aveva una occupazione a part-time e lavorava solo sei mesi all’anno) al maneggio dell’amico del cuore, affidando il figlio di pochi mesi ai nonni materni.
Se questo padre si permetteva di rimproverarla, doverosamente, veniva puntualmente denunciato per maltrattamenti e sottoposto a processo.
Ma questo è un altro interessante capitolo di malagiustizia.
Il ricorso in appello potrebbe significare per lui ulteriori spese e condanne in linea con i giudici di primo grado. Che ci sia un virus che infetti alcuni tribunali della stessa zona? Forse c’è dell’altro.
Sono due casi emblematici, ma, in seguito (soprattutto nel nostro sito web www.genitoriseparati.it), porteremo alla conoscenza dell’opinione pubblica e di chi dovrebbe controllare l’operato dei giudici e delle pubbliche amministrazioni sia la giustizia ingiusta che la malagiustizia, che, poi, potrebbero essere la stessa cosa.
Le segnalazioni, documentate però, sono ben accette.
Ubaldo Valentini, presidente Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps) -
Contatti: tel. 347.6504095,
Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.