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Esempi di giustizia ingiusta e di malagiustizia


Il calvario di un padre umbro

ignorato dalla giustizia perugina


Innumerevoli sono i casi di giustizia ingiusta in Umbria da parte di istituzioni a tutela dei minori pagate con i soldi pubblici. Si ha pure la presunzione di parlare di patriarcato quando il 92% dei minori vengono affidati/collocati presso la madre e il padre viene ridotto ad un semplice e forzato bancomat senza diritti quali la bi-genitorialità e la co-genitorialità. A conferma, riferiamo del calvario di un padre umbro separato che una malagiustizia lo sta uccidendo come persona, come genitore e come cittadino. Non si può far finta di non vedere e di non sapere perché i minori di oggi sono i futuri protagonisti della società di domani.

La moglie (che nonostante i suoi quindici anni, ogni sera, veniva accompagnata dai suoi genitori a dormire a casa del futuro marito) lavorava a part-time sei mesi all’anno in una importante industria e percepiva un reddito annuo identico a quello del marito, anzi superiore, se lui non fosse stato costretto a fare tanti straordinari per mandare avanti la famiglia. Gli altri sei mesi, la intraprendente moglie, “trascorreva” presso una struttura privata di proprietà di un suo “amico”, che, una sera, in sua presenza e in presenza della figlia maggiore, aspettò per strada il marito dell’amica e lo malmenò. La moglie e la figlia, che erano in macchina con l’amico materno, sono tornate a casa con la macchina del marito e padre, abbandonandolo, dolorante, in aperta campagna, tanto che fu costretto a farsi venire a prendere da sua madre.

La moglie, per stare “comodamente” dal suo amico, lasciava un figlio di pochi mesi ai propri genitori e, quasi abitualmente, si dimenticava perfino di preparare i pasti al marito e ai tre figli. Il marito, rientrando a casa, doveva quasi sempre preparare la cena e, sempre, doveva provvedere alla pulizia della casa, soprattutto cucina e bagni, fare le lavatrici e sistemare la biancheria lavata, perché la moglie era stanca e l’arruffava nell’armadio!

 

Quando l’amicizia si stava configurando come una violazione dei doveri coniugali, nota a tutti, e le discussioni sulla gestione della casa erano abituali, la moglie, con i tre figli, fece ritorno dai propri genitori, consapevoli della vita extraconiugale della loro figlia, e chiese la separazione giudiziale, denunciando il coniuge per maltrattamenti in famiglia. Smise di versare il 50% del finanziamento e dei prestiti per la casa, cointestata, e al marito arrivarono perfino ingiunzioni per mancati pagamenti di utenze, per le quali la moglie, invece, lo rassicurava di averle pagate prelevando i soldi, come risultava dai prelievi, dal c/c cointestato. Soldi, pertanto, finiti nelle sue tasche.

Nel processo penale per le denunciate violenze paterne, solo un figlio ha dichiarato di avervi assistito (mentre gli altri testi riferivano di non essere stati mai presenti alle presunte violenze ed erano a conoscenza solo di quello che la signora aveva riferito loro) ed ha testimoniato che la sera esistevano animate discussioni per i motivi sopra esposti, spesso provocate da sua madre, che non disdegnava l’uso delle mani su suo padre e che lo stesso l’aveva spintonata una sola volta. Aveva pure riferito che suo padre, qualche sera, rientrava a casa “allegro”, dopo aver fatto un aperitivo con gli amici, alla fine della pesante e lunga giornata lavorativa, ma non era mai ubriaco, come, invece, denunciava la madre. Nonostante ciò, è stato condannato, in primo grado, sia in sede penale che nell’ambito della separazione giudiziale.

Nel procedimento di separazione, non sono state ammesse dal giudice istruttore sia la produzione di queste precisazioni fatte dal figlio nell’udienza penale, successivamente al suo esame in sede civile. Il collegio ha sposato la tesi del coniuge e genitore violento, che maltrattava moglie e figli e, di conseguenza, veniva ritenuto responsabile della fine del matrimonio. Le relazioni extraconiugali della moglie, però, non avevano alcun valore per questi solerti giudici, i quali fanno sorgere il dubbio che, forse, non abbiano letto, tantomeno attentamente, il fascicolo e nemmeno si siano preoccupati di considerare tutti gli abusi denunciati dal marito durante il processo.

Il padre è accusato dalla moglie di disinteressarsi dei figli, di essere pericoloso e, di conseguenza, non gli lasciava da solo il figlio di pochi anni. La madre, coerentemente con la sua tesi, non glielo portava nemmeno nei tempi e con le modalità previste dal tribunale, tanto che, per il figlio, il padre era uno sconosciuto e non voleva nè vuole stare con lui nemmeno ora che ha sette anni. Tutto ciò, però, non era importante per il tribunale di primo grado. La Corte d’appello, però, sembra che voglia vederci chiaro sul mancato rispetto delle disposizioni del tribunale.

La verità è che il padre, non solo ha restaurato la casa acquistata, ma ha anche attrezzato il terreno circostante per i figli con giochi (compresa una solida e ampia casa in legno sull’albero), ha sistemato parte del terreno per il cavallo, aggiungendo, addirittura, un circuito per fare equitazione. Questo, però, per la madre e/o chi per lei rappresenterebbe un disinteresse per i figli, come scrivono negli atti, visto che, quando era a casa, stava sempre con loro e giocava con loro! Anche tutto ciò non era importante per i solerti, giudici perché smentiva, con i fatti, la tesi materna.

La figlia maggiore, terminata la scuola superiore, sceglieva occupazioni saltuarie retribuite, mentre la maggior parte del lavoro veniva pagato in nero presso il centro ippico dove teneva in pensione, ad €. 350 al mese, il proprio cavallo (ovviamente, tutto a nero, sia per il lavoro compensativo della pensione che per le altre prestazioni, iniziate fin da quando frequentava la scuola superiore). Il titolare del centro ippico non documentava fiscalmente le somme pagate alla ragazza, come potrebbe emergere da una ispezione fiscale, compresa la quota di pensione del cavallo.

La figlia, inoltre, da qualche anno convive autonomamente con il proprio compagno.

Tutto ciò però, nonostante i circa 600/700 euro mensili dichiarati, oltre agli altri redditi a nero, compresi i soldi della pensione del cavallo (€. 4.200 all’anno), la convivenza e, senza tener conto che il cavallo è un lusso che, già di per sé farebbe escludere il mantenimento paterno, il giudice ha rigettato la richiesta di revoca del mantenimento della figlia, che, da anni, ha terminato gli studi.

Il figlio mezzano ha rifiutato di stare con la madre ed ha fatto ritorno dal padre. Nei provvedimenti presidenziali si prende atto della scelta del figlio, ma non si prevede, per lui, ancora studente e minorenne, nessun assegno di mantenimento a carico della madre, mentre si guarda bene di obbligare il padre a pagare il mantenimento e il 50% delle spese straordinarie per la figlia maggiorenne, da anni disoccupata per scelta, che convive e che dedica molto tempo al cavallo, e per il figlio di pochi anni, che lo rifiuta, accusandolo di episodi che sarebbero avvenuti tanti anni prima della sua nascita.

Due pesi e due misure ed un unico abuso, il solito, di una giustizia ingiusta. Il figlio, vedendo le difficoltà economiche del padre, ha smesso di studiare, con grande dispiacere del genitore, e si è cercato un lavoro, continuando a vivere nella casa coniugale, assegnata al padre.

Il tribunale, nella sentenza di separazione, riconosce che la figlia lavora, non prevede la restituzione della parte dei soldi indebitamente versati dal padre alla madre e, non tiene conto che in sede penale era stato assolto per non aver pagato una parte di mantenimento (dovendo pagare il mutuo, senza l’aiuto della moglie, non riusciva a far fronte a tutte le spese), lo condanna a pagare una provvisionale di 10.000,00 euro e tutte le spese legali (è stato condannato al pagamento delle spese legali anche nel primo grado della separazione di cica 20.000 euro). La sentenza è stata appellata, ma controparte, nonostante l’appello, pretende il pagamento delle spese legali e della provvisionale per una cifra che si avvicina ai 20 mila euro, nonostante la stessa debba ridare al marito una cifra quasi identica, se non superiore, per il mutuo e i finanziamenti sottoscritti per l’acquisto e sistemazione della casa coniugale, cointestata tra i due coniugi, di cui il 50% di spettanza della moglie, è stato pagato da lui per non farla pignorare dalla banca. La madre lo aveva denunciato per mancati alimenti ai figli, ma il giudice, al termine delle indagini preliminari, nell’ambito di un altro procedimento, archivia l’indagine, perché aveva pagato e continuava a pagare i ratei bancari per la casa, cointestata anche alla moglie e che quest’ultima si era rifiutata di far presente nella querela e nell’opposizione alla richiesta di archiviazione.

La figlia, venticinquenne, piange miseria, pretende il mantenimento non dovuto da parte del padre e, al tempo, stesso può permettersi un costoso cavallo. In realtà, la ragazza ha sempre lavorato, rigorosamente a nero e fin da quando frequentava la scuola superiore, nel maneggio dove teneva a pensione il cavallo (€. 350 al mese), per coprire i costi dell’equino, come la stessa ha ammesso nel processo di separazione dei genitori, e faceva anche altre attività, che le venivano pagate facilmente a nero, visti i particolari rapporti esistenti tra madre ed il proprietario del maneggio. Oltre a ciò, da un riscontro contabile presso l’Agenzia delle Entrate, risulta che la ragazza aveva svolto anche altre attività a part-time, regolarmente pagate, ma tenute nascoste al padre da parte della madre, che riscuoteva, così, l’assegno di mantenimento, altrimenti non dovuto, perché la figlia aveva superato la soglia reddituale prevista per essere considerata a carico dei genitori. Da alcuni anni, la ragazza convive con un uomo e, ogni anno, di fatto, percepisce, da lavoro (dichiarato e non dichiarato), una somma di gran lunga superiore ai mille euro al mese. La solerte giudice, però, non ha mai predisposto le indagini sui redditi della figlia, ritenendo per buone le bugie che madre e figlia dicevano quando i vari giudici facevano loro “delle domande” (esami e/o prove per testi).

Il padre deve pagare, le sue contestazioni sono snobbate e viene condannato per accuse non dovutamente documentate, anzi, smentite dall’unico testimone presente ai litigi tra marito e moglie per la conduzione della casa coniugale e perché gli metteva contro la figlia maggiore, consapevole delle relazioni extra coniugali materne, tanto che arrivò perfino a non rivolgergli più la parola, pur stando in casa con lui.

Gli impegni economici del padre sono divenuti troppo pesanti, a causa delle condanne economiche dei tribunali umbri, tanto che ha difficoltà a pagare con regolarità il mantenimento del figlio più piccolo, che vive con la madre e con i nonni materni, ma non soffre la fame, ed allora vuole mettere in vendita la casa con il terreno circostante, ma la moglie, prima, pretendeva che la proprietà fosse stata donata ai figli e che lui da solo avrebbe dovuto provvedere a pagare il mutuo e che le rate della moglie da lui pagate non venissero richieste alla moglie e, poi, pretendeva di avere la metà della somma ricavata dalla vendita, senza rimborsare le somme pagate per suo conto dal marito e senza provvedere a ripianare, se necessario, il debito con la banca.

Dinnanzi alla proposta di vendere la casa, dalla somma ricavata il padre avrebbe ripreso la somma da lui pagata per conto della moglie e, poi, sarebbe stato estinto il relativo prestito e solo se ci fossero rimasti soldi dalla vendita, sarebbero stati, poi, suddivisi equamente tra marito e moglie. Ovviamente, ciascuno dei due proprietari avrebbe pagato personalmente la somma mancante per liquidare gli impegni con la banca.

 

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