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La violenza di genere:

quando le vittime sono i figli e il loro padre separato


La violenza di genere, dopo la Convenzione Istanbul (2011) e dopo la legge italiana n. 69 del 2019, è stata identificata con la violenza sessuale, fisica e psicologica contro la donna, mentre nella violenza di genere la donna può essere vittima, ma anche disumana artefice di una violenza fisica, psicologica, sessuale e/o istituzionale, esercitata contro qualsiasi persona o gruppo di persone, sulla base del loro orientamento sessuale, identità di genere e sesso, che ha, principalmente, un impatto negativo e talvolta tragico, sia fisico che psicologico ed economico, sulla persona della vittima.

Il femminicidio non può essere mai giustificato, ma, poiché siamo stati colpiti emozionalmente, non siamo ancora stati in grado di individuare ed analizzare le profonde e innaturali motivazioni che stanno alla base dell’insano gesto per contribuire alla sua prevenzione, poiché, questo fenomeno, può essere, quasi sempre, combattuto rimuovendone in anticipo le cause che lo provocano. Il femminicidio, comunque, non può essere identificato e tantomeno può esaurire il diffuso fenomeno della violenza di genere.

 

I figli minori e il loro padre, quando termina la convivenza tra i due genitori, sono al centro di una raffinata, ma spietata, violenza di genere da parte della madre ed ex-partner, che, con  scaltrezza e in nome del superiore interesse dei minori, sfrutta la fine della convivenza e l’affido dei figli per far valere la sua arroganza, finalizzata quasi sempre ad avere benefici economici ed interessi puramente personali. La violenza, celata, ma continua, nei confronti dei figli e del loro padre, quasi sempre non convivente con loro, è, purtroppo, supportata e, forse, anche incitata da una giustizia che, nell’affido dei figli minori, risulta massimalista, frettolosa e prevenuta nei confronti dei padri, operando una assurda discriminazione tra i due genitori. La nostra associazione è una associazione di genitori (non solo padri o madri contrapposti), perché due restano i genitori, anche dopo la fine della convivenza e, pertanto, parla a nome del genitore dei figli indipendentemente dal suo sesso.

L’esclusione di un genitore, quello non collocatario, come avviene nella maggioranza degli affidi, comporta l’annullamento della bigenitorialità e della cogenitorialità ed è una violenza psicologica, talvolta accompagnata anche da quella fisica, se i minori non sono accondiscendenti, nei confronti dei figli minori e del loro padre, considerato (altra violenza di genere) solo un bancomat, senza effettivi diritti genitoriali.

Sono ventisette anni che denunciamo questa subdola violenza nei confronti degli impotenti figli e del padre estromesso dalla loro vita affettiva e dalla loro formazione, ma solo pochissimi magistrati cercano di ridurre l’incontrollato potere di quelle genitrici che condizionano, in modo del tutto negativo, la crescita e la gestione dei figli, con l’esclusione dell’altro genitore. Quasi nessun giudice, però, si fa carico di procedere nei confronti di questa violenza materna, che, quasi sempre, arriva perfino a plagiare i figli per indurli a rifiutare l’altro genitore, spesso sostituito da altri partner. Condizionare i figli, negare loro il diritto alla bigenitorialità, è una violenza di genere che va presa in considerazione, perché riguarda oltre i ¾ dei figli con genitori non più conviventi.

Deve cambiare l’applicazione della giustizia che tende a trascurare il reale superiore interesse dei figli e che, così operando, si rende discriminante nei confronti del padre, legalizzando la violenza di genere, che danneggia, anche in modo irreparabile, sia i figli che il loro padre, con cui non comunicano più. Il servizio sociale, spesso, è un tacito sostegno a questa violenza per non dispiacere alla madre e al giudice, quasi sempre donna, e si rendono corresponsabili del reato di violenza di genere, che è tanto più grave se ha, come vittime, i figli minorenni e il loro padre.

E’ indiscutibile che il dibattito sulla violenza di genere non possa essere solo parziale o frutto di ben costruito vittimismo e che, pertanto, debba affrontare con urgenza il fenomeno diffuso della violenza di genere (materna) sui minori e sul padre estromesso, di fatto, dalla loro vita.

 

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