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Ascoli Piceno


Quando le forze dell’ordine sono di parte


Un padre di due bambini piccoli, riconsegnava alla madre collocataria i figli, portandoli a scuola (nido e asilo) alle ore 7.30/7.40, per, poi, recarsi al lavoro (a 30 km) per le ore 8. Con la chiusura dell’asilo per il più grande, il padre comunica (a mezzo pec, tramite il legale) alla moglie e al suo legale che riporterà i figli a casa materna alle ore 7.30 per essere puntuale al lavoro e assolvere ai suoi impegni professionali presso una struttura che a quell’ora inizia la propria attività con il pubblico, avvertendo che non lascerà i figli a sconosciuti e che, se la madre non sarà in casa, riporterà il figlio più grande a casa sua. Al lavoro non può chiedere deroghe orarie, essendo un periodo di ferie del personale. Quando la scuola è chiusa, salvo diverse disposizioni del giudice, per tutti i genitori si osservano gli stessi orari del periodo scolastico.

Ma, per la madre dei due bambini, non è così, perché lei vuole che il padre, addirittura, li riporti alle ore 9 del mattino e, se non può, pretende che sia lui a chiedere il cambiamento dell’orario di lavoro o che paghi una baby-sitter per la fascia oraria 7.30-9. La madre, per i due minori di due e cinque anni, prende oltre 500 euro al mese per l’assegno di mantenimento versato dal padre e altrettanto per il 100% dell’assegno unico universale, cioè oltre €. 1.000 al mese.

Questa mattina, alle 7.30, si è recato a casa della moglie per consegnare i figli che avevano dormito con lui, trova chiuso e, dopo aver portato il più piccolo al nido, lascia l’altro figlio al nonno, che la madre conosce molto bene, visto che il figlio, sovente, trascorre molto tempo con quello piccolo del nonno, assieme ai genitori. Comunica alla madre dove si trova il figlio fino alle ore 19, quando rientra dal lavoro, invitandola a passare a prenderlo a casa sua.

La madre si precipita dalla polizia di Stato di Ascoli Piceno volendo querelare il padre per averle sottratto il figlio (dichiarando di non sapere dove si trovasse il piccolo, benchè il legale del padre avesse informato telefonicamente quello della madre, quando quest’ultimo ha contattato il collega) e, forse, di aver mancato di eseguire dolosamente il provvedimento del giudice. Il solerte dirigente contatta subito il padre per chiedere la riconsegna immediata del figlio, annunciando provvedimenti giudiziari se non lo avesse fatto ed esprimendo il proprio pregiudizio, secondo il quale c’era un rifiuto di riconsegna. Il legale del padre, già dal primo contatto, aveva chiesto all’agente se avesse dovuto inviargli la pec che attestava la comunicazione, visto che, anche con lui, il funzionario pubblico ha continuato ad esprimere il proprio pregiudizio. Quest’ultimo, però, al difensore di fiducia del padre, ha sempre detto che a lui non interessava avere la pec chiarificatrice di cui sopra (con luoghi ed orari di consegna), ma che si basava solo sul provvedimento del giudice. Questo non è un rifiuto d’atti d’ufficio? Ciò non favorisce la violenza di genere? Chiede pure l’indirizzo del nonno per andare a prendere il bambino e riconsegnarlo alla madre, rifiutandosi di mettersi in contatto con il suo legale. Manda una pattuglia con due poliziotti in divisa a casa del nonno, i quali – cosa inaudita – addirittura, portano con loro, nella macchina di servizio, la madre, che, assieme a loro, sarebbe ritornata via, sempre nella macchina della polizia, ma non con la propria, con il figlio, creando paura nel minore.

Il nonno, fatti salire in casa i poliziotti, si rifiuta di consegnare loro il nipote, che sta giocando. Dopo concitate telefonate con il dirigente, alla fine, stabiliscono di rinunciare al prelevamento forzoso del minore, anche perché il legale del padre, telefonicamente, aveva evidenziato l’inconsueto gesto dei poliziotti, dicendo che non si trattava di sottrazione del minore, ma, eventualmente, essendo con il nonno paterno, inosservanza di provvedimenti del giudice, che, in merito al periodo delle vacanze estive, parlavano genericamente di riconsegna dei figli alla madre, senza specificare alcun orario, anche perché la madre dichiarava un lavoro di due-tre ore al giorno (mai documentato) e si era sempre rifiutata di comunicare l’orario del suo impegno occupazionale.

La madre, constatato che i poliziotti non le avevano riportato il figlio, si è messa ad urlare e inveire contro il padre e il nonno. Alla richiesta di far vedere dal terrazzo il bambino alla mamma, il nonno ha acconsentito, ma il nipote è voluto subito rientrare in casa, impaurito sia delle divise che delle urla, abituali, materne.

La Polizia si è mostrata a servizio non della verità, ma della madre, che, forse, ben conoscevano, e, se non fosse intervenuto il legale del padre e la opposizione del nonno, l’avrebbero preso con la forza e riconsegnato alla madre.

Alle ore 19, la madre sarebbe dovuta andare a riprendere il figlio a casa del padre, ma si è rifiutata di andarci, il padre si è nuovamente rivolto alla Polizia, la quale l’ha contattata e ha riferito al padre che, stando alla versione della moglie, era lui che doveva riportarle il figlio alle ore 20, come dallo stesso comunicato. Una bufala. La polizia che gli ha consigliato di riportarlo lui stesso alla madre. Recatosi alla casa materna con nonno e bambino, la signora, straniera, come abitualmente fa, ha incominciato a inveire e insultare ad alta voce contro il padre e il nonno, lasciando i figli, terrorizzati, in mezzo alla strada e si è messa di traverso, davanti all’auto, per impedire al padre di ripartire. Per togliere i bambini da questa vergognosa aggressione, il padre ha nuovamente chiamato la polizia.

La madre, quando ha visto l’arrivo della pattuglia, è salita immediatamente in casa per sottrarsi ai poliziotti, i quali hanno fatto pesare i fatti del giorno sul padre, la vittima, facendogli intendere che sarebbero arrivati provvedimenti nei suoi confronti, evidenziando la loro propensione ad accettare acriticamente le facili accuse materne. Il tutto è rigorosamente documentato, come sempre.

La dolorosa e inquietante vicenda dimostra come l’operato delle forze dell’ordine sia approssimativo e incurante della psiche di un bambino e dei diritti di un padre. Non spetta alle forze dell’ordine prelevare un bambino momentaneamente presso il proprio nonno per assecondare la sete di vendetta di una madre, sul cui operato, invece, ci sarebbe molto da indagare. A loro spetta – ma non è questo il caso – solo verificare che il bambino stia bene, perché, se sta con il nonno, non corre alcun rischio e chi sequestra un bambino non comunica alla madre, a mezzo pec del legale, l’ora in cui deve passare a riprenderlo. Un caso? No, ma una consolidata pratica discriminatoria verso i padri. La cosa è grave e preoccupante.

Tutta questa storia, ovviamente e naturalmente, è documentata e provata.

per contatti: 347.6504095

 

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