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Assistenti sociali in Valle d'Aosta,

il perché della nostra inchiesta


Venerdì, 04 Ottobre 2019

 

AOSTA.

Interviste, e-mail, messaggi, paura di apparire, paura di raccontarsi e soprattutto paura delle reazioni. Articolo dopo articolo, un mondo fatto di ingiustizie e di dolore si è delineato davanti ai nostri occhi e all'interno dei nostri cuori.

Lacrime che ancora sgorgano, lacrime che sono state chiuse nei cassetti delle memorie di coloro che sono riusciti ad andare avanti.

Ogni storia è da noi verificata, ogni testimonianza registrata. Siamo stati sempre disponibili a pubblicare interventi che potevano mettere in discussione quanto da noi riportato.

È comprensibile la grande difficoltà che hanno queste operatrici e questi operatori del sociale nel dialogare su argomenti specifici. Al massimo possono rilasciare interviste su argomenti generici, che non incidono su questi racconti dolorosi.

Quella delle assistenti sociali e dei servi sociali sono istituzioni meritorie, che in molti casi hanno aiutato e risolto situazioni di estremo disagio. Ma parliamo di esseri umani che affrontano la loro professione in modo umano. Proprio per questo ci troviamo a confrontarci con eccellenze ed anche con limiti e peccati. E anche con l'illusoria certezza che il potere assolva ogni colpa.

La nostra inchiesta proseguirà coinvolgendo i soggetti attivi di questo mondo fatto di perle preziose e di mele marce. Questa è la vita: non lasciamoci sconfiggere dal male generato da poche mele marce. Chiedere aiuto alle istituzione non è una colpa, ma è un nostro sacrosanto diritto. E non dimentichiamoci che le persone che si incontrano in questi contesti sono professionisti pagati dalle istituzioni, quindi dalla collettività, per adoperarsi e rendere migliore la nostra vita e, soprattutto, quella dei nostri piccoli tesori.

Marco Camilli

 
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Valle d'Aosta, bambina tolta alla madre

in base alle relazioni "top secret" dei servizi sociali


Venerdì, 27 Settembre 2019 17:16

 

AOSTA.

Quella che pubblichiamo oggi è la testimonianza di una donna, una madre, cui è stata tolta la figlia perché ritenuta incapace di prendersene cura. Alla base di tutto ci sono le relazioni dei servizi sociali che né lei né il padre della bambina hanno mai visto.

Come è iniziata la sua vicenda?
«E' iniziata con la nascita di mia figlia nel 2009 con un cesareo d'urgenza. Era in buona salute, ma i primi giorni in ospedale non sono stati facili: non digeriva il latte, rigurgitava spesso, in più non dormiva ed io ero molto stanca. Ho chiesto così di vedere una psicologa dell'ospedale, una persona molto disponibile. Poi, una volta arrivati a casa, le cose sono migliorate».

Il rapporto con tua figlia è migliorato?
«Sì, anche perché non ero più da sola. C'era mio marito, che all'epoca era il mio compagno, ed anche sua madre. Ci davamo il cambio durante i giorni e le notti. Ho anche cambiato tipo di latte e la bambina ha continuato ad aumentare di peso. Stava bene».

Avevate un supporto psicologico?
«No».

Lavoravate?
«Io in quel periodo facevo dei lavoretti. Mio marito invece aveva perso il lavoro quando ero rimasta incinta e nonostante curriculum e colloqui non era riuscito a trovarne un altro. Ha deciso di rivolgersi agli assistenti sociali per capire come potersi muovere, se c'erano altre possibilità. Io non ero d'accordo, ma ci siamo messi in contatto con una assistente. E' stato così inserito nei Lavori socialmente utili che sono temporanei e sembrava ci sarebbe stata la possibilità di un lavoro più stabile. I servizi sociali da questo punto di vista non ci avevano mai segnalato criticità».

Poi?
«Dopo circa un anno ci è arrivata una lettera da parte del Tribunale dei Minori di Torino. C'era scritto che dovevano accertare l'abbandono di minore e se la minore era adottabile. Per noi è stata una doccia fredda. Nessuno era mai venuto a casa per fare dei controlli, nessuno ci aveva anticipato questa cosa e non capivamo su quali basi fossero arrivati ad una richiesta del genere.»

Era dovuto a delle relazioni?
«Relazioni dei servizi sociali che io ancora oggi non ho visto».

Avete chiesto di poter vedere gli atti?
«Eravamo inesperti e non ci era mai capitata una cosa del genere, quindi ci siamo affidati ad un avvocato segnalatoci dal tribunale che però ha fatto più danni che altro».

Dopo aver ricevuto quella lettera si è messa in contatto con l'assistente sociale?
«Ero arrabbiatissima, litigai per telefono con lei. Lo stesso pomeriggio abbiamo avuto un colloquio e mi ha spiegato che volevano accertarsi delle condizioni della bambina. Dicevano che lei doveva andare al nido, che però non è obbligatorio. Tra l'altro a 15 mesi, dopo un vaccino, aveva avuto una reazione avversa: aveva smesso di parlare, non mi guardava più in viso, non si relazionava più con le persone. Lo avevo fatto notare subito all'assistente sanitaria ed alla pediatra e dopo diversi consulti le hanno diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. Così abbiamo iniziato le terapie e l'abbiamo mandata al nido per agevolarla nel percorso. Mia figlia però andava malvolentieri dalla logopedista. Abbiamo chiesto di cambiarla e lì qualcosa è cambiato. Nelle relazioni, a quanto pare, iniziavano a scrivere che non volevo farle fare terapia e che non mi rendevo conto della sua situazione».


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