Attualità
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Le responsabilità dei servizi socio-sanitari.

Inadempienze della legge 241/90. Reato di omissione di atti di ufficio. Accesso agli atti. Note di diritto.


Reato di omissione di atti di ufficio


di Avv. Gerardo Spira*

Siamo ad un punto nevralgico del rapporto-fiducia tra Pubblica amministrazione e cittadino.

Mentre il legislatore col decreto legislativo n.33 del 14 marzo 2013, ha rimarcato e riordinato l’obbligo per la P.A di dare, pubblicare e diffondere le informazioni sulle sue attività, vi è ancora una frangia dell’organizzazione burocratica degli Enti territoriali che resiste alla legge, impedisce l’accesso agli atti, e omette il procedimento amministrativo.

Già con la legge n.15/ del 2005, di modifica della legge n. 241/90, il legislatore ha ulteriormente superato il concetto di interesse legittimo ad accedere agli atti pubblici collocandolo nel mondo giuridico come “diritto”.

Con l’ultimo decreto n.33 del 2013 il legislatore è andato ancora oltre i dubbi e le incertezze burocratiche, parlando di obbligo della pubblicità, della trasparenza e dell’informazione, di diritto di accesso civico di chiunque, senza alcuna limitazione di legittimità, gratuitamente e senza alcun obbligo di motivazione.

In sostanza il legislatore ha aperto il diritto verso il coinvolgimento del cittadino in tutta l’attività pubblica, attribuendo alla normativa carattere cogente (imperativo), di immediata applicazione. Gli atti che si formano nel mondo della P.A. non possono essere negati a chi ne ha diritto e interesse; documenti e provvedimenti vanno pubblicati per consentire al destinatario di essere informato, di partecipare e manifestare il diritto di salvaguardare posizioni giuridicamente rilevanti, definite dalla legge” diritti soggettivi”.

 

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Gli abusi dei Tribunali italiani


Quando si nega ai minori la presenza dei nonni


Avv. Francesco Valentini

I diritti dei nipoti a frequentare i nonni continuano ad essere sottovalutati o, spesso, omessi dai tribunali minorili e da quelli ordinari nelle cause di affido dei minori, nonostante la legge italiana sia molto chiara in merito e nonostante la stessa Italia sia stata pesantemente condannata dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (Cedu) per la violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea da parte dei tribunali in materia minorile (sentenza del 20 gennaio 2015 - caso Manuello e Nevi).

La Corte Edu, accogliendo il ricorso di due nonni italiani condanna lo Stato italiano per non aver protetto il cittadino da interferenze arbitrarie da parte delle autorità pubbliche e per non aver adottato “misure concrete ed adeguate”, come suo dovere, per rendere effettivo il suo diritto alla vita privata o familiare. Dette misure – sottolinea la Corte europea – devono essere prese rapidamente perché, come in questo caso, le lungaggini burocratiche o le omissioni possono avere conseguenze irrimediabili per le relazioni nipoti-nonni.

La Corte europea afferma, in definitiva, che spetta allo Stato mettere a disposizione dei cittadini, soprattutto quando minorenni, tutti i mezzi giudiziari che consentono il rispetto dei loro diritti ed il rispetto dei provvedimenti giudiziari a tutela di tali diritti, anche prevedendo misure specifiche che si rendono opportune nei singoli casi concreti. Quando lo Stato italiano si sottrae a far rispettare i diritti di nonni e nipoti, come pure quelli di genitore e figli, si rende responsabile di omissione di controllo e la Corte europea – purtroppo ripetutamente – lo condanna, anche economicamente.

L’art. 8 della convenzione europea e le condanne inflitte all’Italia dalla Cedu sono ignorati da alcuni giudici del Tribunale per i Minorenni di Venezia che il 14.10.2016 rigettavano, con condanna al pagamento delle spese, la richiesta dei nonni ad avere una frequentazione autonoma della nipote in quanto, come sosteneva il padre, potevano vederla quando era con la madre.

 

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