Attualità
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A dieci anni dall’entrata in vigore


L’affido condiviso resta pur sempre

una mezza riforma snobbata dai giudici


di Ubaldo Valentini*

Il 1 marzo 2006 veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la legge n. 54 del 8 febbraio 2006: "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli". La legge, che andava a riformare l’art. 155 del c.c. e ad integrare gli artt. 708 e 709 del c.p.c., fu il frutto di tanti compromessi che hanno snaturato il progetto iniziale dell’on. Vittorio Tarditi per lasciare spazio a troppe discrezionalità e per non toccare gli interessi di influenti lobby: avvocati, psicologi, pedagogisti, operatori socio-sanitari, le donne, le madri e le femministe la cui maggioranza consideravano i figli come una loro proprietà e mal sopportavano la condivisione della genitorialità con il partner dopo la fine della convivenza. Queste categorie, non propense ad un affido condiviso realmente paritetico tra i genitori, avevano un forte peso nella compagine parlamentare e finirono per condizionare la stesura finale della legge che ha finito per trascurare i veri interessi dei figli che a parole diceva di voler tutelare.

L’evento fu salutato come una vittoria dei padri e come l’affermazione del principio della bigenitorialità, dimenticando che la stessa non è una conquista ma un diritto naturale sia per i figli che per i genitori che nemmeno la legge sul divorzio può ignorare.

Sono passati dieci anni ed è doveroso fare un bilancio su una legge che indubbiamente costituiva una rottura contro una prassi giudiziaria che non era molto propensa all’affido dei figli al padre nemmeno quando la figura materna era meno idonea. Il padre, nei tribunali, non era tutelato nemmeno nel suo inalienabile diritto genitoriale poiché, di fatto, nell’economia educativa dei figli, gli veniva riconosciuto un ruolo marginale e ai figli non veniva garantito il diritto alle

pari opportunità genitoriali.

Nel 2006 sono state gettate le basi – almeno a livello teorico – per garantire la centralità dei figli nelle separazioni, per una genitorialità condivisa nella quotidianità e per un ruolo significativo degli ascendenti: nonni e parenti. I fatti poi in molti tribunali saranno ben diversi.

Altro punto giustamente rimarcato era la questione economica degli assegni di mantenimento, delle spese straordin

arie e della casa familiare, aspetti, questi, importanti che indubbiamente non potevano essere ignorati (art. 155 e 155 qu

ater c.c.).

Particolare rilevanza aveva l’art.709 ter c.p.c., che prevede interventi incisivi per contenere la prassi diffusa da parte del genitore affidatario – quasi sempre la madre – di ostacolare con i più assurdi pretesti il diritto alla genitorialità dell’altro genitore, incurante del danno psicologico ed affettivo subito dai figli per la mancata osservanza delle disposizioni del tribunale o degli accordi sottoscritti nella consensuale.

La legge voleva c

orreggere certe prassi giudiziarie incentrate quasi esclusivamente sulle questioni dei genitori (quasi sempre di natura economica) e non sui diritti dei figli e sui doveri degli adulti nei loro confronti.

Entrata in vigore la legge e già vi era chi parlava dell’esigenza di un nuovo provvedimento legislativo a causa della sua mancata applicazione nelle aule giudiziarie da parte di tanti giudici. C’era poi chi chiedeva di imporre la mediazione familiare per risolvere la conflittualità tra i genitori. Tesi, queste, fatte proprie da associazioni che troppo spesso celano interessi di varia natura e/o che sono di supporto di partiti, di professionisti e di strutture mantenute con i soldi pubblici.

Criticità della legge sull’affido condiviso

La legge, al di là delle affermazioni di principio, non ha previsto meccanismi vincolanti per garantire, nei fatti, la centralità dei figli nelle separazioni. E’ stata lasciata una discrezionalità eccessiva ai giudici che - come già accaduto in precedenza - la legge non l’applicano e troppo spesso la interpretano in base a teorie pseudo-psicologiche o, purtroppo, solo su prassi consuetudinarie discutibili e non riconducibili ai principi scientifici dalla psicologia dell’età evolutiva.

 

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Una madre d’oltralpe penalizzata dai tribunali liguri per aver difeso la propria figlia

 

La Giustizia minorile del tribunale di Genova

tra fallimento, incompetenza ed arroganza

 

 

Non vogliamo essere considerati dei giustizialisti ma nemmeno siamo disponibili a subire lo strapotere di alcuni giudici che fanno del tribunale un loro feudo e che, senza alcun controllo, negano ai semplici cittadini, italiani ed europei, l’elementare diritto alla giustizia.

Non sappiamo se il Ministro della Giustizia si ponga effettivamente la questione del funzionamento di alcuni tribunali e se consideri l’ipotesi - doverosa a nostro parere – di destinare ad altra occupazione tutti coloro che, nel loro quotidiano operare, sembrano ignorare la legge. Sorte non diversa dovrebbe essere riservata ai loro diretti superiori. Alcuni presidenti dei tribunali, se allertati per le inadempienze e/o irregolarità di alcuni giudici, invece di ascoltare i reclamanti e verificare le loro tesi, li azzittiscono in nome dell’alta professionalità dei giudici contestati.

Ci lascia perplessi quando gli esposti sulla “discutibile” attività di alcuni giudici supportati da denunce, precise e scientificamente documentate, di fatti concreti rimangono a lungo – talvolta per sempre – nei cassetti di corti d’appello, ministero, Csm, procura generale presso la Cassazione, di garanti dell’infanzia nazionali e regionali. Il loro silenzio, se troppo lungo, potrebbe far sorgere inquietanti dubbi sull’uguaglianza dei cittadini e sulla inutilità di certe istituzioni fondamentali per la sopravvivenza della società poiché si radicalizza la certezza che quando la giustizia è incapace ad applicare la legge la nostra società è giunta al capolinea.

Questi i fatti.

Il Tribunale per i minorenni di Genova, investito di un presunto caso di abuso sessuale da parte di un padre sulla figlia di otto anni con lui convivente da parte della Procura della Repubblica di Sanremo/Imperia, condanna immediatamente e senza appello la madre che aveva formulato la denuncia, su insistenza della Questura di Imperia, che aveva ricevuto una segnalazione da Telefono Azzurro.

E’ l’inizio dell’epilogo di una vicenda da incubo sia per la madre, per i nonni e per i cittadini tutti.

La madre, alcuni anni prima, si era vista tolta la figlia all’età di due anni e mezzo perché - su denuncia del padre mentre lei si trovava in ferie con la minore dai nonni materni in Francia - avrebbe sottratto la piccola al convivente per espatriare in un paese africano.

Il solerte Pm della Procura della Repubblica presso il Tribunale minorile di Genova, il giorno successivo alla presentazione della denuncia per eventuali abusi sessuali paterni, era già in grado di sentenziare – forse perché dotato di potenti facoltà divinatorie non avendo fatto alcuna indagine – che i fatti prospettati dalla madre erano inesistenti e che la stessa si era inventato tutto per vendicarsi del padre che le aveva sottratto la figlia. Conseguentemente alle sue “dovute” conclusioni, chiedeva al tribunale minorile: di sospendere immediatamente gli incontri liberi figlia-madre e predisporre quelli protetti in presenza di una educatrice, oltre all’attivazione dell’iter per la decadenza della responsabilità genitoriale materna.

Il tribunale, ha subito decretato di delegare i servizi sociali del comune di residenza della minore con un mandato generico per far seguire la minore dal servizio psichiatrico dell’Asl, per predisporre incontri protetti in presenza di una educatrice con l’obbligo di riferire allo stesso eventuali anomalie. Dopo quattro mesi – periodo in cui la bambina non sapeva dove fosse finita sua madre o meglio era continuamente “bombardata” da padre e company del suo abbandono - sono iniziati gli incontri protetti con cadenza quindicinale e per la durata di 90 minuti. Quando la madre non poteva parteciparvi per motivi di lavoro, tali incontri non venivano recuperati per la indisponibilità del padre ad accompagnare la figlia; nel periodo natalizio e a seguire il giorno del suo compleanno, il 13 gennaio, la signora non ha mai potuto incontrarla per fittizi pretesti dei servizi stessi (molto vicini al padre e ai suoi familiari) che da subito si sono dimostrati ostili e prevenuti nei confronti della donna straniera (francese di origini nobili).

Ogni pretesto era buono per sospendere gli incontri protetti per lunghi periodi, fino ad oltre sei mesi, e per permettere al padre di ascoltare abusivamente gli incontri madre-figlia per conoscere cosa la minore avesse raccontato alla genitrice. I servizi arrivarono a costringere la madre a parlare in italiano con la figlia, pur sapendo che la stessa ne conoscesse solo poche parole; che la figlia parlasse molto bene il francese e che l’educatrice conoscesse bene la lingua d’oltralpe. La cittadina ligure dove vive la bambina – molte volte agli onori della cronaca nera - dista pochi km. dal confine francese.

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