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Una madre d’oltralpe penalizzata dai tribunali liguri per aver difeso la propria figlia

 

La Giustizia minorile del tribunale di Genova

tra fallimento, incompetenza ed arroganza

 

 

Non vogliamo essere considerati dei giustizialisti ma nemmeno siamo disponibili a subire lo strapotere di alcuni giudici che fanno del tribunale un loro feudo e che, senza alcun controllo, negano ai semplici cittadini, italiani ed europei, l’elementare diritto alla giustizia.

Non sappiamo se il Ministro della Giustizia si ponga effettivamente la questione del funzionamento di alcuni tribunali e se consideri l’ipotesi - doverosa a nostro parere – di destinare ad altra occupazione tutti coloro che, nel loro quotidiano operare, sembrano ignorare la legge. Sorte non diversa dovrebbe essere riservata ai loro diretti superiori. Alcuni presidenti dei tribunali, se allertati per le inadempienze e/o irregolarità di alcuni giudici, invece di ascoltare i reclamanti e verificare le loro tesi, li azzittiscono in nome dell’alta professionalità dei giudici contestati.

Ci lascia perplessi quando gli esposti sulla “discutibile” attività di alcuni giudici supportati da denunce, precise e scientificamente documentate, di fatti concreti rimangono a lungo – talvolta per sempre – nei cassetti di corti d’appello, ministero, Csm, procura generale presso la Cassazione, di garanti dell’infanzia nazionali e regionali. Il loro silenzio, se troppo lungo, potrebbe far sorgere inquietanti dubbi sull’uguaglianza dei cittadini e sulla inutilità di certe istituzioni fondamentali per la sopravvivenza della società poiché si radicalizza la certezza che quando la giustizia è incapace ad applicare la legge la nostra società è giunta al capolinea.

Questi i fatti.

Il Tribunale per i minorenni di Genova, investito di un presunto caso di abuso sessuale da parte di un padre sulla figlia di otto anni con lui convivente da parte della Procura della Repubblica di Sanremo/Imperia, condanna immediatamente e senza appello la madre che aveva formulato la denuncia, su insistenza della Questura di Imperia, che aveva ricevuto una segnalazione da Telefono Azzurro.

E’ l’inizio dell’epilogo di una vicenda da incubo sia per la madre, per i nonni e per i cittadini tutti.

La madre, alcuni anni prima, si era vista tolta la figlia all’età di due anni e mezzo perché - su denuncia del padre mentre lei si trovava in ferie con la minore dai nonni materni in Francia - avrebbe sottratto la piccola al convivente per espatriare in un paese africano.

Il solerte Pm della Procura della Repubblica presso il Tribunale minorile di Genova, il giorno successivo alla presentazione della denuncia per eventuali abusi sessuali paterni, era già in grado di sentenziare – forse perché dotato di potenti facoltà divinatorie non avendo fatto alcuna indagine – che i fatti prospettati dalla madre erano inesistenti e che la stessa si era inventato tutto per vendicarsi del padre che le aveva sottratto la figlia. Conseguentemente alle sue “dovute” conclusioni, chiedeva al tribunale minorile: di sospendere immediatamente gli incontri liberi figlia-madre e predisporre quelli protetti in presenza di una educatrice, oltre all’attivazione dell’iter per la decadenza della responsabilità genitoriale materna.

Il tribunale, ha subito decretato di delegare i servizi sociali del comune di residenza della minore con un mandato generico per far seguire la minore dal servizio psichiatrico dell’Asl, per predisporre incontri protetti in presenza di una educatrice con l’obbligo di riferire allo stesso eventuali anomalie. Dopo quattro mesi – periodo in cui la bambina non sapeva dove fosse finita sua madre o meglio era continuamente “bombardata” da padre e company del suo abbandono - sono iniziati gli incontri protetti con cadenza quindicinale e per la durata di 90 minuti. Quando la madre non poteva parteciparvi per motivi di lavoro, tali incontri non venivano recuperati per la indisponibilità del padre ad accompagnare la figlia; nel periodo natalizio e a seguire il giorno del suo compleanno, il 13 gennaio, la signora non ha mai potuto incontrarla per fittizi pretesti dei servizi stessi (molto vicini al padre e ai suoi familiari) che da subito si sono dimostrati ostili e prevenuti nei confronti della donna straniera (francese di origini nobili).

Ogni pretesto era buono per sospendere gli incontri protetti per lunghi periodi, fino ad oltre sei mesi, e per permettere al padre di ascoltare abusivamente gli incontri madre-figlia per conoscere cosa la minore avesse raccontato alla genitrice. I servizi arrivarono a costringere la madre a parlare in italiano con la figlia, pur sapendo che la stessa ne conoscesse solo poche parole; che la figlia parlasse molto bene il francese e che l’educatrice conoscesse bene la lingua d’oltralpe. La cittadina ligure dove vive la bambina – molte volte agli onori della cronaca nera - dista pochi km. dal confine francese.

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Una madre d’oltralpe penalizzata dai tribunali liguri per aver difeso la propria figlia


In nome della Legge!

Ma siamo proprio certi?


Una francese di buona famiglia frequenta un italiano della riviera ligure e rimane incinta ma il fidanzato le impone di abortire per la seconda volta. Lei si rifiuta e la sua vita diviene un inferno: violenze e minacce di ogni genere per indurla ad interrompere la maternità e per costringerla a recarsi in Inghilterra poiché, a dire dell’uomo, tale pratica si effettuava fino al quinto mese. L’uomo, di origine meridionale e con una parentela agli onori della cronaca “per prodigi religiosi” e per attività malavitosa in una città chiacchierata per quest’ultime inquietanti e devianti presenze, non accettava il rifiuto della donna, ritenuto, per ancestrale retaggio culturale, come un oltraggio al maschio dominante.

La signora, in attesa della nascita della bambina, per sottrarsi alle angherie dell’ex fidanzato e dei suoi “inviati”, su consiglio del medico di famiglia, dovette abbandonare la ridente cittadina francese della Costa Azzurra e rifugiarsi presso i propri genitori che vivevano ad ottocento km. di distanza. Una volta partorita e riconosciuta la figlia, fece avvisare il padre dell’evento, il quale, dopo alcuni giorni si recò in ospedale, insultò la madre, non chiese di vedere la figlia e, il giorno dopo, la riconobbe in ritardo. Aspettò le dimissioni dall’ospedale di madre e figlia, con sospetti problemi fisici, e fece subito rientro in Italia.

La bambina, dopo alcune settimane fu nuovamente ricoverata in ospedale e il padre, informato, si rifece vivo in Francia, proponendo alla madre di iniziare una convivenza assieme alla figlia in un appartamento da lui preso in affitto, vicino alla sua vecchia madre, la quale dopo decenni di residenza in Liguria, ancora parla quasi esclusivamente in dialetto meridionale.

La signora, dopo un periodo di riflessione e dopo essersi consultata con i propri genitori e familiari, acconsentì a trasferirsi in Italia, dove si inventò un proprio lavoro artigianale per pagarsi il mutuo del locale (acquistato da lei, ma intestato, però, a nome del compagno), l’affitto dell’abitazione familiare e per mandare avanti la casa poiché il compagno sosteneva che con i suoi introiti avrebbe costruito una casa tutta per loro!

L’uomo, approfittando che la sua compagna non parlava e comprendeva la lingua italiana, fece modificare, all’insaputa della madre, il cognome della figlia facendo anteporre il proprio cognome a quello della madre, avendola riconosciuta ancor prima della nascita, come prevede la legge francese, mentre il padre lo fece dopo i tempi previsti.

Quasi da subito iniziarono le difficoltà poiché il compagno volle ritornare a stare con la propria madre, la quale considerava la signora – perché straniera e per di più francese – incapace a gestire la nipote e la riteneva responsabile di averle sottratto con inganno l’adorato figlio (l’unico maschio e il più piccolo) amante della bella vita, della palestra e delle escursioni in moto e in bici. La madre della bimba quando rientrava dal lavoro non era libera nemmeno di prendere in braccio la propria figlia perché, nell’indifferenza del padre, la “suocera” glielo impediva.

 

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