Il protocollo come unico strumento
di garanzia per gli interessi pubblici
avv. Francesco Valentini *
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I servizi sociali, nonostante le innumerevoli accuse di superficialità e faziosità rivolte loro per le relazioni inoltrate ai tribunali chiamati ad effettuare l’affido dei minori, continuano a rivendicare la propria autonomia gestionale dell’incarico, a rifiutare il controllo esterno all’ente del loro operato e il protocollo che regola il loro modo di operare sulla delicata materia minorile. Tollerano solo la stesura di un disciplinare che consigli come comportarsi perché non vincolante. Senza un controllo codificato nessuno potrà mettere in discussione la liceità del loro servizio.
I servizi sociali sono parte integrante della pubblica amministrazione e pertanto non possono sottrarsi alla legge che regolamenta la pubblica amministrazione. I cittadini hanno diritto alla trasparenza e al contraddittorio, anche sulle relazioni dei servizi sociali, e, pertanto, come qualsiasi mortale devono permettere ai genitori di avere copia di tutti gli atti che riguardano loro e i loro figli.
Tutelare il superiore interesse dei minori non vuol dire nascondere il proprio operato e considerarsi una lobby che non deve rendere conto a nessuno, nemmeno ai propri superiori.
I diretti responsabili del servizio e del relativo controllo quando non rispettano le disposizioni vigenti devono essere rimossi dall’incarico perché dannosi alla società e responsabili del cattivo servizio e dello sperpero del danaro pubblico.
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Fino al 1990 la P.A ha svolta le funzioni amministrative secondo procedimenti divenuti di rito in seguito alla giurisprudenza del Consiglio di stato chiamato ad intervenire nelle questioni sollevate in seguito a violazioni del principio costituzionale di cui all'art. 97 della Cost.
Sappiamo che l'attività della P.A deve essere finalizzata al perseguimento dei fini pubblici individuati dal legislatore. Quanto più l'attività è regolamentata, tanto più questa diviene vincolata ai fini della legittimità.
Quando il legislatore consente margini di discrezionalità, l'azione deve restare nell'ambito dei parametri prefissati dalla norma. Fuori da questi azione e potere sono fuori legge.
Il fondamento normativo legittimante l’azione della P.A è individuato nell'art. 1 comma 1 bis della legge 241/90.
Qui rinveniamo la distinzione tra attività amministrativa funzionale e paritaria.
L'attività amministrativa funzionale può essere esercitata mediante ricorso ad atti autoritativi (propri del potere pubblico senza il consenso del cittadino, come l'ordinanza), oppure in forza di previsione di legge, atti non autoritativi.
Per l'attività amministrativa paritaria, esercitata mediante atti non autoritativi, è necessario il concorso della volontà del privato.
Con le riforme della P.A degli ultimi anni è stato avviato il processo di cambiamento dell'esercizio della funzione amministrativa basato su due principi: la riorganizzazione delle istituzioni fondata sul pluralismo e l'altro sulla trasparenza.
L'azione della P.A è indirizzata al rispetto di due canoni. Semplificazione e razionalizzazione.
Le riforme hanno spinto la P.A verso il decentramento, la semplificazione, pubblicità e partecipazione.
Lo Stato si è sempre più spogliato del potere centrale per dare forza al diritto di partecipazione del cittadino, al fine di perseguire gli interessi pubblici sempre più rivendicati.
In questo quadro è stato inserito e disciplinato il procedimento amministrativo, voluto dal legislatore come momento in cui vengono bilanciati interessi pubblici e privati.
La novità storica ha portato ad un sistema basato sul contraddittorio e sulla dialettica tra le parti. Il sistema tutela il cittadino nei confronti della P.A.
L'attenzione si è spostata dal processo amministrativo, fase di esecuzione, al procedimento amministrativo che costituisce un momento precedente a quello dell'esercizio dell'azione amministrativa.
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