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La sentenza della Cassazione sulla “maternal preference”

Cancellata dal Tribunale di Milano


Avv. Gerardo Spira

Su questo sito subito dopo la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.18087/2016 del 14 settembre pubblicammo un articolo dal titolo “il coraggio di rottamare e non riciclare”, in cui ci permettemmo di evidenziare tutte le criticità della decisione degli ermellini, prime fra tutto l’interesse del minore e la parità genitoriale.

I supremi giudici con la sentenza del 14 settembre avevano riportato il diritto indietro di oltre 30 anni, negando due principi ormai affermati in tutto il mondo giuridico internazionale appunto: il superiore interesse del minore e la parità genitoriale.

Non a caso nel sottotitolo ricordavamo provocatoriamente che i Giudici della Cassazione nella fretta della decisione (il caso riguardava due loro colleghi) avevano smarrito la toga e il diritto.

Decisione aberrante che mette in evidenza la necessità primaria di intervenire e subito in modo definitivo nel diritto di famiglia.

Meno male che in mezzo a tanto disastro compare una rondine a preannunciare una primavera diversa e nuova.

La nona sezione del Tribunale di Milano, relatore il Giudice dott. Giuseppe Buffone, con decreto del 19 ottobre ha cancellato l'obbrobrio giuridico dei colleghi ermellini, restituendo alla Giustizia dignità e credibilità.

La Cassazione, forzando la razionalità giuridica, aveva deciso che la figlia dovesse essere assegnata di preferenza alla madre trasferita in altro luogo di lavoro e non al padre col quale invece manteneva relazione nello stesso ambiente di vita di tutto il nucleo familiare.

Secondo i supremi giudici il padre poteva continuare ad esercitare il diritto di visita nella località di nuova residenza della madre non essendo rilevanti le abitudini di vita e i rapporti consolidati con la scuola, gli ascendenti, in quanto il nuovo ambiente avrebbe compensato e arricchito conoscenza e cultura.

Il tribunale di Milano invece, in caso analogo, è stato invece di avviso diverso.

Il giudice di Milano, relatore l’illuminato giudice dott. Buffone, ha sostenuto che la collocazione del minore presso la madre non comporta automaticamente un diritto acquisto trasferibile in qualsiasi luogo. Ha valore l'ambiente di relazioni e familiari che non si possono sostituire a piacimento.

Il tribunale si è soffermato anche sul concetto di collocazione, diverso da quello di affidamento.

 

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­­­Con le modifiche del decreto legge n.132/2014

 

Il diritto di famiglia è entrato

nella fase di coma irreversibile

 

avv. Gerardo Spira *

 

Con l'introduzione dell'istituto della negoziazione assistita nel D.L 132/2014, sembrava, ai fautori della semplificazione, che finalmente il legislatore, raccogliendo le proposte trasversali di tesi ed opinioni politico-giuridiche, avesse dato una svolta decisiva alla problematica del diritto di famiglia, mettendo in pace le coscienze dei sostenitori della famiglia e il mondo affaristico circolante nei paraggi, dagli avvocati ai professionisti della scienza social-psicopedagogica.

Invece in questi due anni sono scoppiate le contraddizioni di un sistema che non guarda più al cittadino e alla società, ma unicamente agli effetti in termini elettorali.

Il conflitto giudiziario è risultato infatti la condizione più importante per tenere in piedi il mercato degli interessi e degli affari divisi e negoziati a diverso titolo.

Una buona legge nel diritto di famiglia dovrebbe avere l'effetto salutare di tutelare la famiglia, prestare ascolto e attenzione ai minori e salvaguardare i costi che pesano e di molto sul cittadino e sulla società.

Ma vediamo che cosa accade dentro e fuori dai tribunali.

Cosa dice il cosiddetto decreto giustizia ( DL132/2014 convertito in legge n.162/2014).

Con la normativa di cui al decreto in argomento la coppia che intende separarsi consensualmente o divorziare non dovrà chiedere più ”l'omologa”, ma la sentenza di pronunciamento dello scioglimento del matrimonio e la cessazione degli effetti civili oppure operare una scelta tra due opzioni: la negoziazione assistita da legali (art.6) e l'accordo presso l'ufficio della Stato civile, in presenza di determinate condizioni (art.12).

Lo scopo è quello di stimolare gli accordi fuori dai tribunali, ricorrendo al ruolo dell'avvocato e in presenza di condizioni che non riguardano i soggetti deboli come i figli.

La convenzione di negoziazione, di cui tanto i parla, consiste in un accordo col quale le parti convengono davanti ai propri legali di porre fine alla lite.

La legge di conversione del decreto legge n.162/2014 ha introdotto il passaggio obbligatorio dell'accordo alla Procura della Repubblica, presso il Tribunale per gli effetti civili annotati a margine dell'atto di matrimonio.

L'art.6 del decreto è tutto dedicato alla disciplina della negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio. La procedura si applica sia in presenza che in assenza di figli minori, figli maggiorenni, incapaci, portatori di handicap grave oppure economicamente non autosufficienti.

Il provvedimento è sottoposto al vaglio del Procuratore della Repubblica che lo può restituire nel caso l'accordo non corrisponda agli interessi del minore.

Qui rinveniamo il primo vulnus.

Infatti in nessuna disposizione di legge sono indicati gli interessi del minore, per cui in assenza di una normativa o direttiva generale, ogni Procuratore può stabilire criteri, che anche se giusti, saranno sempre discrezionali, quindi diversi in tutto il territorio nazionale.

La confusione applicativa ha provocato l'intervento del Ministero dell'interno il quale ha diramato una circolare di chiarimenti n.6/2015 che impugnata è stata annullata dal TAR Lazio con la sentenza n.7813/2016.

La Procura di Milano e qualche altra hanno emanato linee guida in materia come ordinaria direttiva degli adempimenti burocratici di procedura e dei documenti da produrre.

Resta il vuoto del contenuto dell'accordo affidato alle parti.

Alcune associazioni, rendendosi conto che la problematica della negoziazione assistita non ha risolto la questione del conflitto che rimane aperto per gli aspetti patrimoniali e per quelli dei figli esclusi da una precisa disciplina di tutela, hanno avviato un altro discorso con gli Enti territoriali con il cosiddetto ”registro bigenitoriale”, che da una indagine pare estendersi in tutto il PAESE.

Il Registro è un atto, di forma ma non di validità pubblica, in cui viene confermata la volontà delle parti a rispettare il principio di bigenitorialità di cui alla legge 54/2006.

In taluni comuni è stata prevista anche la facoltà per una sola parte di chiedere la registrazione con i relativi impegni.

Sulla questione si sono già espressi alcuni Garanti astenendosi dal prendere posizione.

Secondo il Garante dell'Emilia e Romagna invece, ”l'iniziativa, pur positiva sotto il profilo culturale, sembra più volta a tutelare i diritti degli adulti che quelli dei minori coinvolti per i quali, ai fini pratici, non cambierebbe molto. Una tale ottica presenta infatti il rischio di contribuire ad aumentare il livello di conflittualità tra i genitori con ricadute sul minore stesso, che si vedrebbe così coinvolto in ulteriori dinamiche oppositive”.

 

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