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Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo


Adolescenza ed infanzia negate dagli adulti


La Dichiarazione dei Diritti del Fanciulloè stata approvata a New Yorkdall’Assemblea Generale Nazioni Unite il 20 novembre 1959, integrata il 20 Novembre 1989; èentrata in vigore il 2 settembre 1990: è stataratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991.

La Convenzione,nell’intenzione dei rappresentanti delle nazioni,avrebbe dovuto tutelare i diritti inalienabili dell’infanzia e dell’adolescenza in tutto il mondo. Non è stato e non è così perché la convenzione, da tutti citata e invocata, di fatto, non ha unapreminenza nelle istituzioni preposte alla tutela dell’infanzia e si invoca solo formalmente, ma, nei fatti, coscientemente non si applica.

Riportiamo solo alcuni articoli per sottolineare la responsabilità delle istituzioni nella tutela del superiore interesse del minore quando decidono il suo futuro, spesso senza nessuna garanzia per il fanciullo e per i suoi genitori, agenzia previlegiata per la sua formazione e per la sua crescita.

E’ scritto nella Convenzione del 1989, che aggiorna quella del 1959:

“In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private diassistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interessesuperiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.” (art. 3, c.1);

“Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimereliberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendodebitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni proceduragiudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o unorgano appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale. (art. 12);

“Gli Stati parti faranno del loro meglio per garantire il riconoscimento del principio comune secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo ed il provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo e di provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori oppure, se del caso ai suoi rappresentanti legali i quali devono essere guidati principalmente dall’interesse preminente del fanciullo.  Al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente Convenzione, gli Stati parti accordano gli aiuti appropriati ai genitori ed ai rappresentanti legali del fanciullo nell’esercizio dellaresponsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono alla creazione di istituzioni,istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo.Gli Stati parti adottano ogni appropriato provvedimento per garantire ai fanciulli i cui genitorilavorano, il diritto di beneficiare dei servizi e degli istituti di assistenza all’infanzia, per i quali essiabbiano i requisiti necessari.” (art.18); “Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o ad entrambi, i suoi genitori, al suo rappresentante legale (o rappresentanti legali), oppure ad ogni altra persona che ha il suo affidamento”(art. 19, c.1).

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Violenza in famiglia: realtà e tanta speculazione


Ubaldo Valentini *

Non è facile, a prima vista, valutare e condannare la violenza familiare quando, nelle separazioni, sovente l’accusa non corrisponde alla verità e diviene uno strumento, un subdolo strumento, che, sull’onda dell’emozione collettiva e sociale, coniugi e genitori sfruttano per sopraffare la controparte. Per loro, la verità non vincola il comportamento di ciascuno di noi, ma è una vuota parola da invocare per avvalorare le loro menzogne.

Solo la pronuncia, magica, di questa parola evoca, soprattutto negli sprovveduti, una solidarietà sul nulla, poiché nulla è la veridicità della maggior parte delle denunce di violenza all’interno della famiglia, spesso non verificate, ma foriere di provvedimenti che limitano la libertà dell’accusato e gettano pubblico discredito sul malcapitato (talvolta accusato perfino di violenza sessuale sui propri figli), privandolo della dignità umana, della presenza dei figli e, quasi sempre, provocando in lui uno squilibrio psico-sociale ed economico nella generale indifferenza.

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