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Abusi sui minori - Aosta, 27 giugno 2015

 

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di Ubaldo Valentini*

La presentazione dell’interessante libro dell’avv. Caterina Grillone “Gli abusi sui minori. Il bambino, quando occorre, sa chiedere aiuto ... Ascoltalo!”, tenutasi ad Aosta il 27 giugno scorso,

ha costituito una rinnovata occasione per denunciare un sistema giudiziario e di pubblica assistenza sociale che, di fatto, non tutela i minori ma che troppo spesso, basandosi su un errato buon senso, finisce per creare solo discriminazioni nei confronti dei minori ed alimentare la discordia tra i loro genitori.

Accanto alla critica spietata delle attuali disfunzioni istituzionali, i relatori che si sono susseguiti hanno avanzato concrete proposte operative per  correggere e sopprimere tutte quelle anomalie che caratterizzano il variegato mondo dei figli dei separati e dei divorziati e per combattere la disumana prassi degli abusi sui minori che, è stato sottolineato, non possono essere relegati alla sola sfera fisica dimenticando la dimensione psicologica che, appunto, nei provvedimenti dei giudici e nelle valutazioni dei servizi sociali è abitualmente abusata.

Alcuni tribunali italiani cercano di porre rimedio ad una carenza legislativa nazionale sui diritti dei minori e sugli abusi psicologici alimentati, nell’indifferenza dei più, da provvedimenti discriminatori e, spesso, addirittura iniqui. Si incomincia a parlare di Protocolli tra le istituzioni che si occupano dei minori per garantire trasparenza, responsabilità, oggettività e pari opportunità genitoriali nei provvedimenti stessi e negli interventi dei servizi sociali, con modalità e tempi certi e vincolanti per tutti: giudici, servizi sociali, la miriade di operatori sociosanitari che dal business minori e separazioni ne traggono benefici talvolta anche sulla pelle dei minori stessi e i genitori che i figli, nella maggior parte dei casi, li conoscono bene. In definitiva, si cerca di ridare senso alle istituzioni stesse e, temporaneamente, supplire una politica che all’essere ha sostituito l’apparire.

 

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Per paura di pagare di persona in caso di errore, a Treviso

Il giudice Vettoruzzo non emette la sentenza

e rimette la questione alla Corte Costituzionale

 

di avv. Gerardo Spira

Ponzio Pilato lo fece con Cristo, ma in quel caso vi era la vita di una persona per lo mezzo e forse la coscienza, Vettoruzzo lo ha fatto perché di mezzo vi era la sua tasca. Meno male, ora può continuare a decidere più serenamente, perché  ha passato la palla alla Corte Costituzionale.

Il caso è accaduto nella giurisdizione di Treviso e  riguarda un locatario di un capannone nel quale sono stati rinvenuti 47 quintali di sigarette di contrabbando.

Dal dibattimento sulla questione sono emersi solo elementi indiziari, la cui valutazione ha messo in allarme il magistrato il quale per paura di sbagliare e di cadere nella trappola della nuova normativa sulla responsabilità civile del giudice, in caso di errore, ha trovato, attraverso un contorto ragionamento interpretativo, la via per interpellare la Corte Costituzionale sulla legittimità della norma “ lamentata”.

Ormai tutti sanno che la nuova legge sulla responsabilità civile del magistrato consente alla Stato, in caso di errore, di rivalersi sul giudice che ha sbagliato per chiedere la restituzione delle somme sborsate per danno.

Sarà stata questa eventualità a terrorizzare Vettoruzzo che avvolto dal dubbio amletico ha preferito  sospendere la decisione e  rimettere la questione alla Consulta.

E' una questione di effettiva sostanza giuridica o la paura di dover rispondere con il portafoglio?

Vettoruzzo ha fatto il passaggio, ben cosciente di farlo, come colui che di fronte ad un fosso, non lo salta sapendo di farcela.

La decisione di quel magistrato è molto grave per un sistema fondato sulla responsabilità di quanti tutti i giorni agiscono e decidono in nome e per conto delle Istituzioni.

Vettoruzzo è agitato non per il fatto di commettere un errore, ma per la eventualità di dover pagare di tasca propria.

Prima della legge sulla responsabilità civile della magistratura, Vettoruzzo non ha mai sentito in coscienza se poteva rovinare la vita ad un cittadino con la sua decisione. Allora la sua coscienza dormiva sonni tranquilli perché non minacciata dalla paura di dover pagare per un errore giudiziario.

Eppure anche prima la norma sull'Ordinamento Giudiziario prevedeva la possibilità di aprire il contenzioso in danno, nel caso di errori. E di errori ve ne sono stati tanti, tutti pagati dallo Stato “pantalone”, o meglio dai cittadini, tra cui anche la vittima risarcita.

Prima però le Istituzioni erano controllate dagli amici ai livelli alti, per cui tutti operavano secondo l'affermato principio di indipendenza e di autonomia.

Ora invece il palazzo comincia a vacillare, i cittadini sono cresciuti e cominciano a farsi sentire pretendendo giustamente che chi vuole mangiare il pane dello Stato deve farlo con la responsabilità personale. L'indipendenza e l'autonomia riguardano l'organizzazione  del sistema giustizia e questa nessuno vuole toccarla. Il sistema organizzativo non c'entra con la decisione che si fonda esclusivamente  sulla capacità e sulla preparazione del magistrato.

Intanto, mentre la Corte deciderà sul caso, Vettoruzzo non si è autosospeso, continuerà a percepire lo stipendio e probabilmente a mietere vittime.

 
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