Attualità


La Corte di Strasburgo: “Non viene fatto tutto il possibile per permettere loro di vedere i figli” PDF Stampa E-mail
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Giovedì 31 Gennaio 2013 10:16

“L’Italia non garantisce  i padri divorziati”

di Sara Ricotta Voza


Milano -Raffica di condanne all’Italia, in un solo mese, da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dopo le dure sentenze sul sovraffollamento delle carceri piombate nei primi giorni del 2013, ieri ne sono arrivate altre due. Una riguarda ancora la violazione dei diritti di un detenuto, l’altra «la violazione del diritto al rispetto dei legami familiari» di un padre separato.

Quest’ultimo, dopo la separazione, non ha potuto incontrare regolarmente la propria figlia per oltre sette anni nonostante così fosse previsto negli accordi. La madre, infatti, aveva ottenuto l’affido esclusivo della bambina ma il tribunale di Roma aveva poi deciso che il padre potesse vederla due pomeriggi alla settimana, un weekend su due, sei giorni a Natale, tre a Pasqua e dieci durante le vacanze estive. Ma tutto, a detta del padre, sarebbe rimasto lettera morta, perché in un mese non sarebbe riuscito a vedere la figlia se non per pochi minuti e sempre in presenza della madre o dello zio materno. E questo all’inizio perché le cose, poi, sarebbero solo peggiorate.

Ultimo aggiornamento Venerdì 01 Febbraio 2013 19:20
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Giovedì 31 Gennaio 2013 10:15

Quei papà privati del diritto all’affetto

di Carlo Rimini*

Non è la prima volta! Non è la prima volta che l’Italia viene condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per non avere garantito ad un padre separato il diritto ad un rapporto stabile, duraturo e intenso con suo figlio.

Essere condannati per aver violato i diritti fondamentali di un uomo è assai grave: significa essere usciti dal confine che segna la civiltà.

Ultimo aggiornamento Venerdì 01 Febbraio 2013 19:22
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Martedì 16 Ottobre 2012 16:45

Condanniamo i metodi inumani usati

ma rispettiamo una sentenza sofferta

di Ubaldo Valentini

 

 

Un figlio che rifiuta un genitore è un fatto anomalo e inaccettabile per la società poiché un simile comportamento trova origine solo in due possibili atteggiamenti genitoriali: la presenza di un genitore violento, pericoloso per il minore, un “mostro, oppure un genitore che manipola senza scrupolo la carne della sua carne per indurlo ad incarnare il suo desiderio di vendetta contro l’altro genitore per motivi spesso non noti al minore e talvolta nemmeno al genitore che provoca l’alienazione parentale nel figlio.

Ultimo aggiornamento Martedì 16 Ottobre 2012 17:37
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15 ottobre 2012 PDF Stampa E-mail
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Lunedì 15 Ottobre 2012 17:22

Andiamo oltre l’emergenza quotidiana

di Marina Vergoni *

 

Quando  si legge “massacrato giovane con mattarello.... “,  incuriositi  si approfondisce  la  notizia,  ma difficilmente  si va oltre, chiedendoci perché si è arrivati a tanto. La riflessione, indubbiamente, non deve avvenire sull’onda dell’emozione suscitata dalla notizia di cui tutti ne parlano, ma su basi di analisi di un trascorso premonitore al quale non si è data importanza.

Siamo la società che corre, che azzera tutto. Il pensiero e la riflessione sono beni superflui,  sembra che non ci appartengano più, coltiviamo il nostro piccolo orticello di affetti, di quotidianità e ci reputiamo fortunati perché riusciamo a sopravvivere a tanto caos.

Siamo i nuovi figli di una società troppo abituata a vivere l'emergenza, ad affrontare il problema quando ormai è diventato, come in questo caso, un dramma; un dramma per una famiglia distrutta, per un paese  che deve ricreare una fiducia nelle istituzioni e nel proprio tessuto sociale, ma, ancora di più, per un sistema sociale che fa acqua da tutte le parti. L' Umbria è sempre stata all'avanguardia sul sociale ma ora sembra che il sistema di rete sociale abbia allargato troppo le  maglie e cominciano ad esserci troppi buchi anche abbastanza grandi e pericolosi.

 

Come associazione quasi giornalmente veniamo a contatto con persone che si sentono sole, confuse, abbandonate e  che debbono lottare per riuscire a fare il genitore: diritto che diviene inalienabile nel momento in cui nasce un figlio in una famiglia.

Ultimo aggiornamento Martedì 16 Ottobre 2012 16:08
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Venerdì 27 Luglio 2012 17:56

Abbiamo bisogno di cambiare la legge sull’affido condiviso perché non viene applicata nei tribunali. Alcuni giudici ancora continuano ad identificano il congiunto con il condiviso e pur facendo riferimento alla L.54/2006 ma i provvedimenti emessi parlano la vecchia prassi in vigore dal 197: centralità della madre e ruolo economico al solo padre. Nuovi progetti, nuovi assalti alla diligenza della genitorialità da parte di politici, professionisti, istituzioni pubbliche e legali e nuova ricerca di consensi particolarmente necessari in questi momenti di totale sfiducia da parte dei cittadini nelle istituzioni e nei partiti.

Cambiare l’affido condiviso non serve

se non si cambia la cultura sui minori

di Ubaldo Valentini *

La riforma del diritto di famiglia del ’75 parlava di bigenitorialità e precisava che l’affido dei minori doveva avvenire dopo una seria valutazione delle specifiche capacità educative dei singoli genitori e che doveva essere privilegiato quello più idoneo a curare la loro crescita psico-fisica, affettiva e culturale. L’affido non era affatto ad esclusivo “appannaggio” della madre, come poi invece si è rivelato, e il padre non doveva avere il solo ruolo di padre economico. Al giudice spettava interpretare la legge ma senza quella discrezionalità talvolta inopportuna che, invece, ha finito per privilegiare sempre e comunque la madre. Il vero problema - allora per la novità del divorzio come oggi per il condiviso - è la mancanza di una cultura sulla paternità e sulla separazione sia nei magistrati, nei legali, nei servizi sociali che nella società nel suo insieme.

 

La cultura borghese e liberale è stata sempre propensa a delegare alla donna il compito di allevare ed educare i figli poiché all’uomo spettava quello degli affari e del lavoro in genere. Per costoro, il padre “quotidiano” e tantomeno il padre-mammo erano visti come ruoli impropri per l’uomo. Non rientrano nei loro parametri etico-sociali certe tesi odierne specificatamente: che la paternità non si esaurisce solo con il procurare il sostentamento e il benessere alla famiglia e ai figli; che nella famiglia nucleare la donna lavora e spesso rincorre anch’essa la carriera restando per gran parte della giorno fuori casa e ciò mal si comporta con il ruolo genitoriale a tempo pieno; che i padri da anni chiedono di poter fare i padri, soprattutto dopo la separazione coniugale, e, quando si permette loro di farlo, rivelano ottime qualità genitoriali. Vedere un padre passeggiare da solo con la carrozzina, fare spesa con a seguito i figli, giocare con loro ai giardinetti, curare la loro igiene e preparare loro i pasti non fa più notizia e non scandalizza più nessuno.

Ultimo aggiornamento Venerdì 16 Novembre 2012 16:35
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