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ALIENAZIONE PARENTALE E DINTORNI

© dott. Ezio  Ciancibello

 

Il clamore suscitato dalle televisioni e dai quotidiani nazionali in merito alla situazione di un bambino di Cittadella (PD) che è stato allontanato dalla madre per essere affidato al padre, ha posto nuovamente all’attenzione della pubblica opinione  un caso di Alienazione Genitoriale o meglio di Disturbo Relazionale, come sembra possa essere ora definito dalla comunità scientifica internazionale.

Questa definizione identifica sostanzialmente una serie di comportamenti tipici che si riscontrano a carico di un minore, figlio di  genitori separati e/o divorziati, che viene “iniziato” da un genitore, (di solito la madre) a rifiutare con sempre maggiore decisione l’altro genitore (di solito il padre) che finisce così per chiedere con insistenza, e spesso senza ottenere alcun risultato, l’intervento del Tribunale o dei Servizi Sociali.

Tali casi, oltre ad essere drammatici e fortemente critici per un sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico del minore, creano anche le premesse per un danno che si ripercuote a livello sociale e quindi per l’intera comunità, visto che spesso questi minori, da adulti, manifestano comportamenti anti-sociali.

 

Inoltre sono casi di difficile soluzione non perché manchino le terapie e le strategie adatte, ma perché spesso manca la capacità di intervenire da parte di chi avrebbe il compito ed il potere di vigilare e di prendere gli opportuni provvedimenti, intendo dire il Tribunale in primo luogo ed i Servizi Sociali in seguito.

 

Il Tribunale perché il giudice non sempre è preparato psicologicamente a riconoscere questo fenomeno e le volte che lo riconosce spesso non è in grado di interfacciarsi efficacemente con i servizi sociali per monitorare la situazione sanzionando, come prevede la legge, il genitore che non ottemperi alle sue disposizioni.

I Servizi Sociali perché talvolta non riescono ad assumere una posizione terza in merito al conflitto in atto fra i genitori, e anche perché non possono assicurare un sostegno specifico e continuo alla coppia genitoriale in difficoltà, dal momento che finirebbe per interferire con la complessità del loro lavoro che deve essere distribuito sull’intero territorio di loro competenza.

Assistiamo così a situazioni come quelle descritte nei quotidiani che si sono occupati del bambino di cui parlavo all’inizio dell’articolo.

Nonostante la sentenza del giudice che affidava il minore, in via esclusiva, al padre e dopo che era stata tolta anche la patria potestà alla madre, il bambino era rimasto ancora collocato presso di lei. Il padre aveva tentato in due occasioni di andare a prelevarlo facendosi accompagnare dai servizi sociali e dalle forze dell’ordine. Il bambino si era però rifugiato sotto il letto e si era deciso di rinunciare perché:”.. così non si può fare..”

Nel frattempo il tempo passa, non certo giorni, forse settimane, più probabile mesi, ed il padre può solo protestare, mentre il figlio è ossessionato e spaventato all’idea che possa esserci presto o tardi un altro blitz, che inevitabilmente si verifica e le cui modalità hanno  agghiacciato mezza Italia, oltre ad aver traumatizzato profondamente il minore.

Scrive l’articolista sul Corriere della Sera del 12.10.2012

“…la sezione minori della questura conosce la storia..si dovrà agire in campo neutro come la scuola perché a casa non se ne verrà mia a capo. Sanno i poliziotti che ci sono i parenti della madre agguerriti e più che mai decisi a non lasciarselo portare via, ma forse non sanno che i nonni sorvegliano la scuola del piccolo proprio per evitare il blitz. Entrano e vanno dal preside. Prevedendo che il minore farà opposizione si decide di far uscire i suoi compagni di classe….ovviamente non serve che qualcuno parli perché il bambino capisca lo scopo di quella visita…lui non vuole andare..si è aggrappato ai banchi…

 

Poi, si vede nel filmato girato dai nonni materni, e consegnato alla Televisione, il bambino che si divincola mentre il padre cerca di trattenerlo per le gambe ed un agente che lo sorregge per le braccia e come sottofondo la voce squillante, angosciata e aggressiva della zia materna che urla:”..lasciatelo bastardi..”.

Una scena drammatica per il pubblico e traumatica per il minore. Perché si è arrivati a questo punto?

 

LA SINDROME DI ALIENAZIONE PARENTALE O DISTURBO RELAZIONALE

 

La comunità scientifica è concorde nel qualificare le dinamiche psicologiche che conducono all’alienazione di un genitore, come un disturbo della relazione e non come un disturbo individuale, dal momento che implica un modo disturbato di vivere le relazioni affettive che si stabiliscono fra i genitori e il figlio/i.

Per tale motivo, andrebbe evitato il termine “sindrome di alienazione genitoriale”, sostituendolo con il termine “Alienazione Parentale”, con il quale sarà probabilmente introdotto nel DSM V tra i “Disturbi Relazionali”.

Il dr. Sofri scrive, sulla prima pagina di Repubblica del 12.10.2012, in merito al caso di cui si parlava precedentemente: “..bisogna usare molta cautela, molta discrezione quando si è tentati di giudicare una famiglia andata in pezzi..”.

Questa famiglia però era stata esaminata e valutata psicologicamente da persone chiamate appositamente dal Giudice, un neuropsichiatra infantile (CTU) e molto probabilmente i servizi sociali, che avevano individuato una qualche inadeguatezza materna riconducibile ad una:“..mancata esecuzione..” delle disposizioni date dai giudici nel consentire al figlio di frequentare il padre, tanto che la Corte d’Appello arrivava anche a confermare la revoca della patria potestà.

 

Ci si chiede a questo punto: Come può un bambino di 9 anni circa, rifiutare con tanta insistenza e caparbietà il proprio padre?

Chiaramente il ragionamento e le indicazioni che darò in merito non sono attinenti al caso in questione, visto che non conosco personalmente i genitori né tantomeno il loro figlio, ma sono invece da riferirsi ad altre situazioni, che ho seguito personalmente e a quanto la casistica internazionale dice in proposito.

Di solito un minore può rifiutare un genitore per una serie di cause che possono essere ricondotte o ad una eccessiva severità educativa di un genitore rispetto all’altro, o ad una mancanza di empatia di uno dei due genitori verso il figlio, che può anche manifestarsi con un certo disinteresse nei suoi confronti. Queste difficoltà possono essere assorbite ed elaborate dal minore se i genitori sono in grado di costruire un alleanza genitoriale che non può prescindere da una triangolazione affettiva (genitori + figlio/i) che modifica i precedenti equilibri centrati sulla coppia, in quanto ora è presente un terzo (il figlio) i cui bisogni e paure possono essere, o non essere, percepite, capite e condivise dai genitori. Tale diversità di vedute implica inevitabilmente un confronto tra i genitori che già è difficile quando la coppia è unita e che diventa assai più problematica quando si separa.

Si assiste allora ad un tentativo di imporre determinate strategie educative che mettono inevitabilmente i genitori l’uno contro l’altro, e che possono anche portarli a spostare la loro battaglia personale sulle spalle del figlio, che verrà coinvolto e “tirato” da una parte invece che dall’altra, in misura più o meno maggiore.

Quasi sempre le difficoltà dei genitori sono legate alla loro incapacità di vivere ed elaborare la separazione dal momento che ha provocato un profondo cambiamento nella loro vita, attivando un serie di angosce affettive ed economiche con cui ora devono fare i conti. Il terzo, in questo caso il figlio, deve a sua volta affrontare le proprie incertezze affettive in merito al suo legame con i genitori, che lo porta ad essere particolarmente sensibile e suggestionabile al tipo di comportamento che i genitori assumono nei suoi confronti e fra di loro.

Il figlio si aspetta di essere tutelato, compreso ed aiutato perché ha dei bisogni e delle paure che anche gli adulti hanno, ma soprattutto ha bisogno di sapere con certezza che i genitori si occuperanno ancora di lui, e che lo ameranno come prima.

Questa certezza può essere data al figlio solo se i genitori separati sono in grado di dare chiari segnali, in termini di comportamenti e decisioni, che non solo sanno prendersi cura di lui, ma anche che rispettano il ruolo e le funzioni dell’altro genitore, che non lo denigrano ne l’ostacolano, e sono quindi in grado di attivare una alleanza genitoriale.

Il minore può così tranquillizzarsi perché ha la certezza che ha ancora due genitori su cui fare affidamento e può esprimere anche le proprie difficoltà emotive nel mantenere un contatto con un genitore a differenza dell’altro, che può anche tradursi in un rifiuto momentaneo o più continuo verso un genitore. Come dicevo queste difficoltà sono in una certa misura “fisiologiche” ma sono però accentuate dal fatto che la separazione dei genitori ha comportato una cambiamento nel rapporto che aveva con loro: ora non li frequenta più insieme e spesso deve farlo anche in presenza di un'altra persona che ha preso il posto del genitore assente.

Queste forme di rifiuto tuttavia rientrano se c’è una buona Alleanza Genitoriale, in caso contrario si creano le condizioni per aprire un contenzioso, tra la coppia genitoriale, che non di rado sfocerà in un fenomeno tristemente noto come Alienazione Parentale, in cui il rifiuto del minore, verso un genitore, sarà così totale ed assoluto come non accade nemmeno, si badi bene, nei casi di abusi sessuali contro il minore, ove questi mantiene comunque, anche suo malgrado, una disponibilità affettiva verso il genitore abusante.

Tutto questo invece non vale nei casi di Alienazione parentale, ed è infatti proprio questa la sua caratteristica principale.

I minori soggetti a questo disturbo relazionale sviluppano un atteggiamento mentale in cui è assente ogni forma di ambivalenza affettiva, nel senso che di solito coesistono nella mente del bambino, una serie di idee che lo portano a pensare che un genitore possa essere per certi versi negativo ma anche positivo, nel nostro esempio invece non presentano questa combinazione. Il genitore rifiutato è tutto negativo, quello amato è tutto positivo. Sono assenti inoltre, nel minore alienato, i sensi di colpa. Il bambino mostra infatti un totale disinteresse e disprezzo per i sentimenti del genitore rifiutato, oltre ad essere totalmente acritico verso il genitore amato i cui comportamenti sono sempre accettati ed apprezzati, a differenza del genitore rifiutato che viene spesso criticato con motivazioni superficiali, irrazionali ed anche per certi versi ridicole. Il minore manifesta inoltre un profondo atteggiamento denigratorio verso il genitore rifiutato che può estendersi anche alla sua famiglia, ai nonni, agli zii agli amici. Spesso il minore, nel dare le sue giustificazioni in merito al rifiuto verso un genitore, tende a costruire scenari o ad adoperare frasi che sembrano riferite da altri ed adoperate come se fossero proprie.

L’aspetto più drammatico di questo atteggiamento mentale, che chiaramente non può non turbare e preoccupare gli “addetti ai lavori”, è che diventa lui stesso l’attore principale di questa campagna di denigrazione e rifiuto verso un genitore, dal momento che l’altro genitore, non solo afferma di non avere alcuna responsabilità in merito, ma al contrario che deve, suo malgrado, erigersi al ruolo di “salvatore” per tutelarlo.

Come può il minore arrivare a sviluppare questa forma di rifiuto così radicale nei confronti di un genitore e come può, il genitore alienatore, condizionare il proprio figlio, a rifiutare l’altro genitore  a volte senza rendersene conto, ritenendo di essere nel giusto?

 

Il genitore alienatore

Qual è la personalità del genitore alienatore? Ha forse qualche disturbo di personalità?

Sono rari i casi in cui vi sia un evidente e conclamato disturbo di personalità, di solito vi sono dei nuclei conflittuali irrisolti in merito ad un percorso evolutivo, sul piano personale, che si è arrestato o che è ancora troppo doloroso per essere affrontato. Per cui partendo da queste profonde lacune, che non necessariamente si strutturano in un disturbo di personalità, avremo una serie di ragioni coscienti che possono spiegare il suo comportamento come ad esempio la ritorsione verso il partner che ha voluto la separazione, la paura di perdere il proprio figlio, la paura di ritrovarsi da soli, il bisogno di assicurarsi vantaggi economici nel momento in cui si gestisce in modo esclusivo il minore.

Ragioni però che non bastano a spiegare il paradosso nel quale cade il genitore alienatore che da una parte vuole tutelare il proprio figlio, dall’altra però gli procura una danno psicologico che lo condizionerà inevitabilmente il resto della sua vita.

Le ragioni sono perciò molto più profonde ed il più delle volte inconsce e quindi difficili da riconoscere ed elaborare se non attraverso una lavoro psico-terapico su di sé.

Per curiosità posso indicare alcune di queste possibili dinamiche inconsce, la cui influenza, è però talmente forte, da condizionare la persona nel suo modo di relazionarsi con il partner ed il figlio.

Tutti i conflitti psicologici nascono all’interno della propria famiglia d’origine grazie ai rapporti affettivi che si creano e si instaurano fra i membri della famiglia stessa. Ogni rapporto affettivo è caratterizzato da bisogni, paure ed aspettative che inevitabilmente lo condizionano nelle sue molteplici sfaccettature. Làddove viene a crearsi una certa conflittualità questa tende a “coagularsi”  attorno ad un modello comportamentale che verrà ripreso e riproposto ogni volta che si creano quelle condizioni emotive atte a risvegliarlo. Di tutto ciò, non necessariamente la persona è consapevole.

Il conflitto a questo punto viene di solito proiettato, nel senso che le cause della sua origine vengono attribuite all’esterno, all’altro, che diventa così l’unico responsabile di quanto sta accadendo.

Vediamo ora alcuni di questi rapporti conflittuali legati alla famiglia d’origine, che condizionano la relazione che un genitore alienante può avere con il proprio ex-partner e con il figlio stesso.

 

Il genitore alienante proietta un modello infantile di sé, in cui si è percepito abbandonato e trascurato dai propri genitori, sul proprio figlio.

Tramite questa proiezione inconsapevole, il genitore alienante tenderà a correggere il proprio passato, attraverso il figlio, addebitando all’altro genitore il ruolo di cattivo e a se stesso quello di genitore ideale che guarisce il figlio-sé abbandonato e trascurato.

 

Il genitore alienante proietta sul figlio un modello infantile del suo rapporto con dei genitori inadeguati e denigrati.

Tramite questa proiezione inconsapevole il genitore alienante tenderà ad attribuire al figlio caratteristiche carenziate dei propri genitori –depressi, disinteressati, assenti, ecc.- che gli hanno procurato una serie di reazioni dolorose ambivalenti. Da una parte il bisogno di essere accudito ed amato da loro, dall’altra la sofferenza e la rabbia con gli inevitabili sensi di colpa.  Si sentirà perciò spinto a prendere il genitore/figlio con sé per recuperare l’affetto e l’attenzione che gli sono mancati dai propri genitori, e dall’altra trasferirà la rabbia, che originariamente era diretta ai propri genitori, sull’ ex-partner che sarà pertanto vissuto come pericoloso e inadeguato nel prendersi cura del figlio.

 

Queste ed altre varianti conflittuali del genitore alienatore hanno comunque in comune una matrice unica: il figlio non è mai riconosciuto come una persona a sé, con bisogni e paure che nulla hanno a che vedere con le proiezioni del genitore, e pertanto il legame affettivo che quest’ultimo sarà in grado di instaurare con lui, sarà inevitabilmente di natura simbiotica poiché il minore verrà inglobato in una grave problematica narcisistica del genitore alienante.

Tuttavia queste dinamiche non sempre sono riconosciute dal genitore alienante, che inoltre non necessariamente programma il figlio, dicendogli espressamente cosa deve raccontare di negativo sull’altro genitore. Si tratta allora di comprendere come possa ugualmente arrivare a farlo.

Il primo e più potente meccanismo di condizionamento a sua disposizione è una forma di comunicazione definita “doppio messaggio” che, a seconda della gravità dei casi, sarà usato in modo più o meno continuo e pervasivo.

Vediamo un esempio.

Ho iniziato una consulenza per il Tribunale di Venezia in merito all’affido di un minore che manifestava non poche resistenze ad andare con il padre e vedo i genitori separati, insieme al loro figlio di 8 anni. Il bambino non vuole più dormire a casa del padre. Si rifiuta di andarci con tutte le sue forze. Non ha ragioni precise, non vuole e basta. Il padre non si è mai imposto, né ha cercato di obbligarlo per andare a dormire da lui, al contrario è stato tollerante e comprensivo, tuttavia ritiene che non si debba soddisfare la sua richiesta. La madre, a sua volta, non sa spiegarsi le ragioni del figlio, anche perché il padre  è sempre stato collaborativo e disponibile con lui.

Il bambino sollecita una risposta:”..che ne dici mamma??..”

La madre risponde: “ …che tu devi fare quello che hai voglia di fare…quello che ti senti di fare…”

Una prima interpretazione della risposta porterebbe a pensare che è preoccupata per la tensione che vive il figlio e cerca di rassicurarlo entrando in empatia con lui. Tuttavia dovrebbe anche riconoscere quanto possa essere importante per il figlio mantenere un rapporto con il padre, e che su alcuni aspetti significativi ed importanti della vita del figlio chi decide sono i genitori non lui. (Alleanza genitoriale). C’è quindi un doppio messaggio implicito in questa comunicazione: uno relativo alla tensione che la madre percepisce nel figlio e che la porta ad essere disponibile nei suoi confronti e l’altro che lascia intendere che sia più importante quello che vuole lui e non quello che vogliono i genitori.

 

Il bambino risponde: “…A me fa piacere stare con te..”

Madre: “..però non sono solo io che decido, ma anche le cose che fanno piacere al papà..”

Questa seconda risposta mette apparentemente sullo stesso piano i genitori - non decido solo io - e rimanda quindi all’idea che la madre sia capace di preservare l’alleanza genitoriale, in realtà inserisce ancora un doppio messaggio dal momento che entrambi dovrebbero condividere lo stesso obiettivo e cioè, che il bambino dorma anche con il padre. Invece la madre lascia intendere che non può decidere solo lei in quanto c’è anche quello che fa piacere al papà. Finisce così per mettere in contrapposizione quello che potrebbe desiderare lei rispetto a quello che può desiderare il padre. Il figlio può pensare, proprio perché la comunicazione è ambigua e non chiara, che la madre abbia il suo stesso desiderio.

Bambino:” ..ma io non voglio andare…”

Madre: “..mi fa piacere se vai in modo tranquillo…”

La madre da ancora un doppio messaggio. Da una parte manifesta preoccupazione per la situazione del bambino, ma dovrebbe anche capire, che il suo rifiuto di andare a dormire presso il padre va arginato e contenuto, e quindi il bambino deve sapere con precisione che la mamma è d’accordo con il papà (alleanza genitoriale) invece la sua risposta lascia intendere che è contenta se va in modo tranquillo, ma lascia anche intendere, visto che il bambino non è sereno, che può evitare di farlo.

Bambino: “…io non ci voglio andare!..”

Il bambino, di-fronte ad una serie di doppi messaggi, ove implicitamente si lascia intendere, anche se non è detto espressamente, che può fare quello che desidera, finisce per convincersi che la mamma ha il suo stesso desiderio, cosa che probabilmente è anche vera.

Il padre a questo punto può solo soccombere o imporsi con più decisione, ma se la madre non rivede la propria posizione ambigua, non otterrà nulla in quanto quest’ultima, avrà facile gioco nel dire che è il bambino che non vuole andare, e visto che si sente a disagio e meglio che non dorma con lui.

I casi di Alienazione parentale trovano nei doppi messaggi un terreno fertile su cui prosperare a cui vanno aggiunte comunicazioni altrettanto ambigue, (doppie) che il genitore alienante può esprimere attraverso il linguaggio corporeo, ove ad esempio manifesta il proprio dissenso per il fatto che il minore frequenti l’altro genitore, con una particolare mimica del viso o con un tono specifico della voce, anche se il contenuto della comunicazione verbale non esprime alcun divieto.

Queste forme di comunicazione, proprio perché non sono chiare, si prestano ad essere interpretate dal minore, in funzione di quello che suppone possa far piacere al genitore alienante, e che cercherà di assecondare a causa di un legame di dipendenza che non è ancora stato sciolto.

Vi sono poi dei tentativi più espliciti che il genitore alienante adopera per sostenere  il suo ruolo di salvatore, come ad esempio quello di prendere alla lettera ogni racconto del minore in merito a vere o presunte inadeguatezze dell’altro genitore, e che vengono adoperate come “prove” per allontanarlo da lui.

Più aumenta il bisogno del genitore alienante di allontanare il genitore bersaglio dalla vita del minore, più aumentano le strategie manipolatorie nei suoi confronti, che possono diventare più dirette ed intrusive.

Può iniziare allora a parlare in sua presenza, davanti a terzi, di presunti comportamenti inadeguati che il genitore bersaglio ha messo in atto verso il minore o verso figure significative della famiglia del genitore alienatore, o “allertare” il minore invitandolo a rifiutarsi dal prendere o fare determinate cose quando è a casa dell’altro genitore, altrimenti ne avrebbe un “danno” (non bene specificato) fino ad arrivare ad accusare l’altro genitore, davanti al minore, in merito a comportamenti o metodi educativi sbagliati.

Infine si possono fare pressioni dirette sul minore affinché arrivi a mentire in merito a certi comportamenti, che l’altro genitore non ha mai messo in atto, costruendo appositamente una serie di frasi, che dovrebbe riferire, per giustificare il suo rifiuto.

Le strategie possono essere molte, ma tutte hanno in comune il bisogno di denigrare il genitore bersaglio per metterlo  in cattiva luce agli occhi del minore, in modo che possa rifiutarsi di andare a vivere con lui.

Questo aspetto è solo una parte del conflitto di cui si fa portatore/esecutore il minore, e che riguarda il “negativo” che proietta sul genitore bersaglio. C’è un altro aspetto, altrettanto problematico, che riguarda invece il “positivo” che proietta sul genitore preferito, che viene alimentato e conservato attraverso un legame di dipendenza di tipo simbiotico, che non permette alcuna o modesta differenziazione,  tra genitore alienante e minore.

Per questo non si può pensare di risolvere il problema mettendo semplicemente in atto una serie di strategie, per de-strutturare l’immagine negativa che il minore alienato ha del genitore rifiutato, in quanto bisogna incidere contemporaneamente, anche sul rapporto che ha fissato con il genitore preferito.

In minore alienato è prigioniero e vittima, suo malgrado, di una visione distorta che ha dei propri genitori, che può solo condizionare negativamente lo sviluppo della sua personalità.

Le strategie messe in atto dal genitore alienante sono spesso la conseguenza di proiezioni inconsce, che possono essere più o meno patologiche, a seconda dell’intensità della proiezione ed in particolare dal:

  • Livello di aggressività e di violenza della proiezione agita dal genitore alienante, sul minore e sul genitore bersaglio;
  • Livello di scissione con cui il genitore alienante tende a difendersi da questi stessi contenuti conflittuali;
  • Livello di controllo e di fusione, che il genitore alienante tende a sviluppare con il minore;
  • Livello di perdita di aspetti di sé, del genitore alienante, relativi alla sua capacità di essere empatico e capace di prendere coscienza della natura del conflitto in atto.

 

Il minore alienato

Come può un minore, che di solito, prima della separazione o del divorzio, aveva un rapporto sufficientemente buono con il genitore alienato, arrivare ad accettare/subire i condizionamenti negativi che l’altro genitore cerca di trasmettergli?

La preoccupazione principale di tutti i minori di genitori separati è quella di perderli affettivamente, e a seconda della loro età, questa paura inciderà in misura più o meno pesante, sul loro sviluppo psico-fisico creando una insicurezza nelle proprie capacità di relazionarsi e di ottenere ciò che desidera. Solo due genitori sensibili ed attenti possono arginare e contenere questa paura, cosa che invece non accade laddove siano in conflitto fra di loro o peggio ancora schierati l’uno contro l’altro.

Il minore a questo punto verrà “tirato” da una parte o dall’altra e la sua risposta dipenderà da molti fattori che non saranno solo la conseguenza di quello che i genitori possono fare e dire, ma anche a seconda delle sue paure e dei suoi bisogni.

Potrà ad esempio essere più solidale con il genitore che soffre, perché proietterà su di lui le sue paure di essere abbandonato, o al contrario con il genitore che si mostra più sicuro e deciso perché in questo modo si sentirà rassicurato rispetto a quelle stesse paure.

Tuttavia il rapporto che stabilisce con il genitore alienante è del tutto particolare in quanto il nucleo disturbato che lo alimenta è riconducibile al fatto che quest’ultimo proietta sul minore una serie di vissuti personali negativi, che gli impediscono di riconoscerlo per quello che è, e questo intensifica nel minore le angosce di abbandono e di conseguenza anche il legame di dipendenza.

L’unica possibilità per sentirsi accettato sarà allora quella di prendere su di sé gli aspetti negativi del genitore alienante, continuando nel contempo a sostenere le sue proiezioni.

Si sarebbe a questo punto essere indotti a pensare che potrebbe scegliere di allearsi con l’altro genitore, che di solito è più in grado di riconoscerlo nei suoi bisogni e paure, però le cose non sono così semplici e scontate.

Il genitore alienante non si rileva tale solo nel momento in cui la coppia genitoriale si separa, in quanto le sue problematiche conflittuali, con i propri genitori, erano già presenti al momento del concepimento della prole, ma erano però erano rimaste “nascoste” fintanto che il trauma della separazione non le ha portate alla luce.

Il futuro minore alienato, era quindi già alla ricerca di un riconoscimento di sé, che poteva essere contenuto e forse superato se la coppia fosse rimasta unita, ma visto che si è separata ha finito per rimanere intrappolato proprio in quel rapporto che meno lo tutela, ma verso il quale si sente più “attratto” dal momento che si aspetta un riconoscimento che ancora non è avvenuto.

 

Il genitore alienato

La maggior parte dei ricercatori sulla Alienazione Parentale ha descritto il genitore rifiutato come una vittima passiva del furore vendicativo espresso dall’altro genitore, altri invece l’hanno descritto come una persona inadeguata e poco empatica con i propri figli, arrivando anche ad individuare alcune sue colpe specifiche nel contribuire, con il suo comportamento, al rifiuto del minore nei suoi confronti.

Ora è vero che alcune di queste caratteristiche si possono effettivamente riscontrare in alcuni genitori alienati, tuttavia la mia esperienza mi porta a concludere che spesso il genitore rifiutato non è stato in grado di trasmettere,  quando la coppia era ancora unita, la necessaria sicurezza al minore per sciogliere il legame,  potenzialmente infetto, con un genitore alienante che al contrario è rimasto il suo riferimento affettivo principale.

Le ragioni che lo hanno impedito possono essere in parte ricondotte ad una sua scarsa partecipazione alla vita emotiva del minore o alla sua dipendenza verso il coniuge alienante, ma soprattutto a determinate dinamiche conflittuali relative alla propria famiglia di origine, che come per il genitore alienante, non sono state risolte e che sono state inevitabilmente proiettate sul minore e l’altro genitore.

Questo porta a concordare con quanto stabilisce la comunità scientifica che individua nell’Alienazione Parentale  un modo disturbato di vivere le relazioni affettive che si stabiliscono fra i genitori e il figlio/i al quale contribuiscono, in varia misura, tutti i protagonisti familiari, seppure in modo diverso, ma ciascuno con le proprie responsabilità e con il proprio contributo che può variare di caso in caso.

 

Quale soluzione nei casi di Alienazione Parentale?

Di solito quando il giudice stabilisce, dopo opportune indagini psicologiche affidate ad un CTU e con il contributo dei Servizi Sociali, che l’allontanamento di un genitore dal minore, a causa del comportamento ostruzionistico e/o ostile dell’altro genitore, non rappresenta il migliore interesse del minore stesso, decide di intervenire in uno dei seguenti modi o con una combinazione di essi:

  • Mantenere il collocamento del minore presso il genitore alienante, ordinando però una psicoterapia a suo carico e anche del genitore alienante. Il genitore alienato potrà incontrare il minore grazie ad una serie di incontri protetti di cui si occuperanno i Servizi Sociali.

L’obiettivo del giudice è quello di “bonificare” la relazione danneggiata dei genitori con il minore, tuttavia questa soluzione richiede una collaborazione attiva del genitore alienante non solo perché dovrebbe accettare di sentirsi “malato” per andare in psicoterapia, ma dovrebbe anche sostenere e motivare il figlio a fare a sua volta una psicoterapia, che chiaramente non ne sente alcuna necessità, oltre a motivarlo ad incontrare il padre durante gli incontri protetti. Se ci sono queste condizioni, si può sperare in una soluzione positiva, anche se i tempi possono essere abbastanza lunghi, visto che una psicoterapia dura parecchi mesi, se non, a volte, anni. Tuttavia è molto raro che sussistano tali condizioni ed allora il risultato sarà quello di un genitore alienante, che interferirà in modo più o meno continuo e pervasivo sull’attività del minore, scoraggiandolo a continuare il suo percorso di riavvicinamento all’altro genitore. Quest’ultimo sarà risentito e preoccupato e ricorrerà nuovamente al giudice affinché faccia rispettare le condizioni che aveva posto. Se il giudice riuscirà ad intervenire in modo efficace, potrà allora esercitare una “pressione psicologica”, attraverso una serie di sanzioni e di verifiche a carico del genitore alienante, che potranno consentire un riavvicinamento del minore al genitore alienato, la cui continuità dipenderà però del potere di controllo e di intervento del giudice stesso. In caso contrario il genitore alienante riprenderà a mettere in atto i suoi comportamenti ostruzionistici ed il genitore alienato si sentirà sempre più impotente e scoraggiato nel tentativo di continuare a mantenere un rapporto significativo con il proprio figlio.

  • Spostare il collocamento del minore presso il genitore alienato, ordinando una psicoterapia a carico del minore. Il genitore alienante potrà invece incontrare il minore grazie ad una serie di incontri protetti di cui si occuperanno i Servizi Sociali.

L’interesse del giudice è sempre quello di “bonificare” la relazione danneggiata dei genitori con il minore, tuttavia questa soluzione implica una rottura del legame simbiotico tra genitore alienante e minore che può provocare in quest’ultimo, un profondo trauma che la psicoterapia non necessariamente può risanare in tempi brevi. Inoltre gli incontri protetti con il genitore alienante, contribuiscono ad alimentare la sua sofferenza dal momento che molto difficilmente il genitore alienante accetta di aiutare il minore a tollerare la sua assenza ma al contrario, sentendosi depredato del proprio figlio, che mai avrebbe voluto lasciare all’altro genitore, cercherà di rendere ancora più drammatica la sua lontananza. Per queste ragioni a volte si vieta il rapporto genitore alienante/minore, almeno fintanto che quest’ultimo non sarà in grado di mettere una maggiore distanza emotiva tra sé e il genitore. Anche in questo caso vi possono essere maggiori possibilità di recuperare il rapporto del minore con entrambi i genitori, se il giudice esercita un attività di controllo, di monitoraggio e anche sanzionatoria, ogni volta che ci sono le ragioni per intervenire nei confronti di comportamenti inadeguati dei genitori.

  • Spostare il collocamento del minore presso una famiglia affidataria o un istituto, con obbligo di una psicoterapia. Ai genitori viene consigliato una percorso psicoterapico e vengono seguiti dai Servizi Sociali nel momento in cui riprendono il rapporto con il minore.

Questa soluzione porta il minore a perdere, momentaneamente, il contatto affettivo con entrambi i genitori e ciò è inevitabilmente traumatico. Tuttavia il rapporto empatico, attento e motivato che la famiglia affidataria, o chi dell’istituzione, dovrebbero riuscire a fissare con lui, oltre al sostegno psicoterapico, possono aiutarlo a lenire ed elaborare la propria sofferenza, in modo da gestire diversamente il rapporto con i genitori. Quest’ultimi, espropriati della propria patria potestà, senza un vincitore né un vinto, possono a volte giungere ad una consapevolezza diversa in merito alla loro conflittualità, e cambiare di conseguenza comportamento, ma a che prezzo! Fondamentale in questa soluzione è la professionalità e la sensibilità degli operatori sociali che si fanno carico della situazione del minore e che devono poi coordinare e gestire gli incontri tra lui ed i genitori, come lo è ancora una volta la funzione del giudice, che non può, neanche in questo caso, rinunciare ad intervenire con tempestività, non appena viene avvisato dai servizi sociali di comportamenti inadeguati da parte dei genitori.

  • Viene accettato il rifiuto del minore nei confronti del genitore alienato.

Il giudice ritiene che allontanare il minore dal genitore alienante sarebbe eccessivamente traumatico per lui o che il suo rifiuto verso il genitore alienato è ormai cronicizzato.

E’ il fallimento del diritto del minore di avere due genitori, sancito dalla nostra costituzione, le cui ragioni non stanno nella inadeguatezza di un genitore o nel suo rifiuto di assumere la propria funzione genitoriale, ma al contrario nel fatto che gli viene impedito, dall’altro genitore, di esercitarla. La responsabilità maggiore in questo caso, a mio avviso, risiede nella difficoltà del giudice di intervenire tempestivamente, in maniera efficace, monitorando, grazie all’aiuto dei servizi sociali, la situazione e sanzionando, nel caso fosse necessario, il comportamento inadeguato o ostruzionistico dei genitori.

Personalmente ritengo che la funzione simbolica, e non tanto e solo giuridica che il giudice esercita in questi casi, di Super IO o di coscienza critica, che manca in misura più o meno grave ai genitori in quanto immersi ed identificati in ruoli genitoriali inadeguati, possa servire da stimolo a ritrovare quella capacità genitoriale, che metta al centro del loro mondo affettivo, quel figlio che entrambi hanno voluto ed amato.

 

Le soluzioni che ho individuato brevemente sono in realtà molto più complesse di quanto appaiono ed hanno punti di forza e di criticità che rendono assai problematica la loro gestione, tuttavia penso sia utile averne un idea seppure approssimativa e sintetica.

Vi sono inoltre altre forme di intervento per trattare l’Alienazione Parentale ed in particolare una che ha ottenuto un certo successo. Si tratta del Family Bridges un programma per minori alienati elaborato da Warshak et al.  che prevede un periodo della durata di circa 3 o 4 giorni che il minore deve passare insieme al genitore rifiutato, in un villaggio vacanza o altra struttura attrezzata in modo adatto. Nel corso della vacanza il genitore ed il minore partecipano insieme a varie iniziative formative che uniscono la parte ludica con quella psicologica, in modo da aiutare il minore a ri-sperimentare non solo un contatto emotivo con i genitore rifiutato, ma nel contempo a rivedere, grazie all’intervento di psicologi, una serie di preconcetti e  pregiudizi che ha costruito sul suo conto. Secondo i ricercatori l’efficacia del corso è stata verificata in 22 su 23 minori che avevano riattivato una positiva relazione con il genitore rifiutato.

 

Nel caso del minore, di cui ho parlato all’inizio dell’articolo, il giudice aveva scelto, come soluzione, quella di allontanarlo dai genitori. Decisione inevitabilmente opinabile e discutibile, soprattutto se non si conoscono le ragioni su cui si basa.

Quello su cui invece non si può transigere, né ci possono essere giustificazioni, è il modo in cui è stato fatto, che ha messo in luce una totale incompetenza dei servizi sociali e delle stesse forze dell’ordine, che non può sollevare dubbi sulla loro formazione e cultura psicologica/giuridica, ma soprattutto sul loro grado di umanità ed empatia nel dare seguito ad una azione, su un minore, che è di una violenza psicologica inaudita.

 

Concludo questo mio lungo articolo ricordando quanto sia estremamente complesso, riconoscere affrontare e gestire i casi di Alienazione Parentale, dal momento che entrano in gioco dinamiche emotive molto distruttive, che finiscono per coinvolgere, in misura più o meno cosciente, tutti i protagonisti che a vario titolo, cercano di dare il proprio contributo, nonché aiuto.

Tuttavia a mio modesto avviso, in questi casi è determinante la capacità del giudice del Tribunale, di intervenire in modo adeguato e tempestivo, anche ricorrendo ad eventuali sanzioni nei confronti del genitore alienante.

Il suo ruolo infatti ha in effetti una valenza simbolica, che va ben oltre la sentenza, e che può servire da deterrente o da contenimento per determinate dinamiche distruttive, che a livello psicologico il genitore alienante, difficilmente è in grado di riconoscere ed elaborare in tempi brevi.

Dott. Ezio Ciancibello

Psicologo – Psicoterapeuta, consulente  CTU Tribunale di Venezia, Docente del Corso di Formazione in Psicologia, Giuridica e Criminologia Clinica (CR), Vice Presidente ANFI Veneto -   Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.

 

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