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Cosa pretendere dal Tribunale e dalla Ctu

di Ubaldo Valentini *

I legali - sollecitati dai propri clienti, dagli stessi servizi sociali nella speranza di salvaguardare il primario interesse dei figli nelle separazioni giudiziali -  sollecitano il giudice istruttore a nominare una consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) per avere delle indicazioni nelle scelte da prendere. Tale procedura sembra obbligata quando tra i coniugi non c’è dialogo e, soprattutto, tutte le volte che un genitore cerca in tutti i modi di estromettere dalla vita dei propri figli l’altra figura  genitoriale di riferimento.

E’ noto – forse  non a tutti i servizi sociali e alla maggior parte dei giudici – che la conflittualità tra i genitori è provocata quasi sempre dal genitore affidatario-collocatario e che l’altro non può rinunciare al diritto-dovere proprio e dei figli alla bigenitorialità - effettiva - che si esplica nel rispetto delle pari opportunità genitoriali con una presenza accanto a loro  paritetica nei tempi e significativa negli indirizzi educativi e decisionali.

Occorre premettere che la Consulenza ha una sua ritualità formale che, vuoi per formazione culturale o vuoi per prevenzioni ideologiche del professionista, purtroppo sovente elude la risposta al quesito che il giudice pone  per avere lumi sulle delicate e specifiche questioni sollevate dalla separazioni in discussione. A tal fine, come associazione, siamo nettamente contrari alle Ctu date a professionisti senza specifiche competenze in materia di psicologia dell’età evolutiva e della psichiatria infantile e a professionisti – spesso sempre i soliti – che sono alle dipendenze delle pubbliche strutture socio-sanitarie o che sono pensionati di tali enti.

Gli elenchi dei consulenti a disposizione del tribunale devono essere aggiornati tenendo conto dell’effettivo lavoro svolto, della competenza dimostrata nell’espletare tale incarico, della obiettività delle conclusioni  e della reale utilità delle loro relazioni per la giustizia e per la tutela degli interessi dei minori. In questo campo non possono essere tollerati errori e/o imparzialità.  Troppo spesso al titolo professionale come in tutti i settori, non corrisponde una  effettiva competenza.

 

Ogni genitore separato ha il dovere di pretendere – personalmente o tramite il proprio legale – il rispetto della oggettività dell’indagine. In specifico, il giudice che conferisce  l’incarico al professionista deve pretendere dallo stesso che:

 

  1. tutti – ripeto tutti - gli incontri con i minori, con i genitori, con i parenti e con quanti altri possano fornire indicazioni utili vengano fatti in appositi locali predisposti per la videoregistrazione
  2. tutte le registrazioni effettuate, i test somministrati ai genitori, disegni, ecc.. vengano allegate in copia (a colori per i disegni) alla relazione finale per permettere il contraddittorio ad ambedue i genitori e ai rispettivi legali, anche in presenza di consulenti di parte,  e poter personalmente verificare quanto detto o fatto. Il diritto del cittadino all’accesso agli atti della pubblica amministrazione che lo riguardano è sancito dalla legge e  non può essere una discrezionalità del giudice o degli operatori socio-sanitari coinvolti
  3. venga fatto divieto al consulente di far proprie precedenti Ctu, di consultare psicologi o servizi sociali affinché la consulenza sia al di sopra delle parti e frutto di una propria rielaborazione dei dati da lui personalmente raccolti. Spesso si assiste ad un appiattimento del consulente sulle precedenti  ctu e sulle relazioni dei servizi sociali, formulate, spesso, dai suoi colleghi.

E’ altresì compito del giudice, in base ad un protocollo del tribunale e valido per tutti, determinare:

  1. 1. il numero massimo degli incontri. Considerato che molti professionisti non amano formulare una ipotesi delle possibili sedute per l’espletamento della consulenza e considerato che alcuni calcolano la parcella in base agli incontri effettuati, la determinazione del numero massimo degli incontri indurrebbe ad affrontare il nocciolo della questione con serietà, trasparenza e senza indagini a 360° che  nulla hanno a che vedere con l’individuazione del genitore collocatario più idoneo per  i figli o il diritto di visita e permanenza dei minori con ambedue i genitori.                                  
  2. i tempi (senza alcuna proroga di circostanza) concessi per la durata della consulenza devono essere perentori e possono essere ammesse solo brevi deroghe dietro a richieste seriamente motivate. Oggi, allo stesso professionista vengono affidate diverse consulenze e ciò comporta rinvii. I rinvi della conclusione della perizia - talvolta anche per vari mesi - alimentano solo conflittualità, non giovano ai figli minori e sono funzionali solo al Ctu che, così, può assicurarsi un elevato numero di incarichi da espletare.
  3. l’ammontare complessivo del compenso da erogare al professionista e la ripartizione provvisoria dello stesso tra i genitori in attesa dell’individuazione delle responsabilità dei singoli genitori.
  4. l’addebito al consulente del risarcimento ai minori e ai genitori per eventuali sue incompetenze, errori e imparzialità che rendono, di fatto, vana la consulenza stessa.

La Suprema Corte ( sentenza n.3964 del 18.2.2013) ha precisato che spetta all'organo giudicante

-        determinare i parametri di liquidazione dei compensi - come recita il D.p.r. n. 115/2002 – a seconda che il compenso sia fisso, variabile o a tempo, tenendo altresì conto del grado di complessità della causa e del quesito formulato

-        motivare adeguatamente il proprio provvedimento di liquidazione delle spese con il quale l’organo giudicante accetta, modifica o rifiuta l’istanza di liquidazione presentata dal ctu.

La disposizione della Ctu sui minori e sui genitori è quasi sempre richiesta dal genitore che si vede estromesso dai propri figli da parte del genitore collocatario, e che, quasi sempre, è anche quello che ha dovuto lasciare la casa familiare alla moglie e ai figli, anche se di sua proprietà e talvolta gravata da un mutuo a suo  nome, pagare gli assegni di mantenimento per i figli – e sovente anche per la ex -, cercarsi una casa di fortuna, ricorrere all’ospitalità degli amici o ritornare a vivere con i propri genitori o parenti o frequentare le mense pubbliche.

Il genitore non collocatario, dinnanzi all’arroganza dell’altro, deve tutelare i propri figli ponendo il problema della legittimità delle sue richieste. Il richiedere una Ctu spesso vuol dire

sostenerne in toto o al 50% la relativa spesa, senza calcolare che tali richieste arrivano dopo mesi, se non anni, nei quali  lui non riesce a vedere o sentire i figli. Ma proprio lui è il genitore penalizzato come genitore e “mazziato” a livello economico. Molti genitori non affidatari o collocatai rinunciano a far valere i propri diritti proprio perché privi delle pur minime risorse economiche necessarie per sostenere iniziative legali.

Le Ctu valide per ogni stagione non rendono giustizia ai torti subiti, non gettano le basi per la individuazione delle prevaricazioni genitoriali e, di conseguenza, della inadeguatezza educativa e formativa dei minori. Il consulente deve essere in grado di individuare le responsabilità del singolo genitore – senza troppo tergiversare e perdere tempo in fatti marginali e pertanto poco rilevanti per l’affido dei figli – ed avere il coraggio di denunciare gli abusi morali e psicologici del genitore più prepotente – come incominciano a fare alcuni consulenti – e denunciare la possibile Pas in atto.

Le spese economiche della Ctu devono essere addebitate al genitore responsabile della violazione dei principi giuridici ed etici del condiviso e della bigenitorialità. E ciò compete farlo all’organo giudicante.

Essere genitore non è una colpa ma una scelta (anche se in alcuni casi può essere più o meno consapevole). I figli non appartengono alle istituzioni ma ai genitori e nessuna istituzione può sostituirli, nemmeno quando investite di una Tutela dei Minori che troppo spesso tale non è. Troppi interessi e lobby hanno interesse a mantenere in piedi la conflittualità tra i genitori, ad intasare i tribunali di ricorsi che potrebbero essere facilmente eliminati se la giustizia fosse sempre tempestiva, chiara e rispettosa dei minori e della genitorialità. Così non è e allora si moltiplicano gli interventi dei servizi sociali, dei consulenti d’ufficio, della mediazione familiare e degli assistenti domiciliari, talvolta senza l’esperienza della genitorialità, che dovrebbero insegnare al padre o alla madre come fare il genitore ( di fatto rinunciare al diritto suo e dei figli alla bigenitorialità!), dei legali e di tutti coloro che del disagio dei minori ne hanno fatto un business economico.

Possiamo porre termine a questo legalizzato ed inaccettabile andazzo col pretendere – come la legge ci garantisce – l’accesso agli atti della pubblica amministrazione, la valutazione – vera ed esterna - degli operatori socio-psicologici ed educativi, delle cooperative sociali, la determinazione di un protocollo per le Ctu e per gli incontri protetti tra genitore e i propri figli, rendendo tracciabile ogni intervento dei servizi sociali e delle Ctu. Tutto ciò per permettere al genitore “emarginato” dalle strutture pubbliche spesso assenti o imparziali o non all’altezza del compito di pretendere trasparenza, competenza ed oggettività. Al giudice spetta il compito di vigilare sull’operato dei servizi sociali, dei Ctu, delle cooperative sociali, delle case famiglia e determinare le modalità, in modo puntuale e non solo generico,  degli interventi a tutela dei minori e i relativi costi.

 

* presidente Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori

 

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