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Genitori e semplici cittadini offesi dalle istituzioni  si mobilitano

Petizione popolare per chiedere il rispetto di una bambina


Lasciatemi in pace: voglio stare con mia nonna” era il grido della bambina che ha vissuto i suoi primi nove anni con il padre, poi deceduto, e con la nonna paterna è caduto nel vuoto.  Una bambina costretta a lasciare il suo unico punto di riferimento affettivo e morale di tutti questi lunghi anni dove la presenza della madre sarebbe stata indispensabile ma che, invece, per anni non l’ha mai cercata ed è stata intromessa nella sua esistenza solo negli ultimi anni e senza la dovuta accortezza psicologica.

Oggi, salutati i compagni di scuola e i volti familiari degli abitanti, all’uscita da scuola viene prelevata e trasferita, come un trofeo, presso l’abitazione materna. L’indifferenza – se non l’oltraggio - dell’assistente sociale è arrivata al punto di chiedere alle maestre della scuola e alla scuola di danza di inscenare una festa di “addio”, sapendo che la bambina non vuole lasciare il suo mondo. Le due istituzione hanno risposto bruscamente ai servizi sociali che “non c’era nulla da festeggiare”! Il saluto c’è stato ma molto intimo e non certamente trionfante come avrebbero voluto certe strutture finanziate, purtroppo, con i soldi pubblici.

Proprio da questi volti a lei noti è partita una petizione popolare per chiedere che il suo desiderio di stare con la nonna non venga “ucciso” dalla indifferenza delle istituzioni che, nonostante il suo disagio a frequentare persone sempre diverse, hanno ignorato tutto: comprese le puntuali e professionali  valutazioni di coloro che la conoscono da sempre.

C’è tanta solidarietà con questa minore e con questa nonna sia da parte di chi le conoscono bene sia da chi, pur non conoscendole, chiede il rispetto della “Carta dei Diritti del Fanciullo”.

 

L’impotenza di questa nonna – costretta a far sostituire un’assistente sociale perché ritenuta non oggettiva nelle relazioni che non riportavano il ben noto malessere della nipote – e il parere degli assistenti sociali e degli educatori  domiciliari (che in VDA si permettono di firmare relazioni con valutazioni pur consapevoli di non aver titoli professionali di psicologia evolutiva e/o di neuropsichiatria infantile (con laurea di 5 anni) ha lasciato amarezza e rabbia in molti.

 

Lo sguardo triste della bambina in cerca di una solidarietà degli adulti e di una “magia” per farla restare con la nonna, come ha scritto tempo fa in un biglietto, ha commosso tutti. Con un nodo alla gola reciproco i compagni di scuola, dove da anni frequentava le elementari, le maestre e il personale della scuola l’hanno salutata.

La freddezza burocratica delle istituzioni ha fatto emergere ancora una volta, purtroppo, che l’autoritarismo imposto non può essere scambiato con l’autorità che non è una pretesa ma un servizio e un riconoscimento.

Troppi minori. in Vda, tolti alle famiglie in difficoltà a seguito di una separazione e trasferiti in strutture protette fuori regione, senza il dovuto controllo da parte dei servizi e dalla regione che eroga “polposi” contributi, hanno appreso proprio in queste comunità rieducative l’uso di sostanze, la pratica della violenza e della sopraffazione, ritrovandosi, di fatto, in mezzo alla strada!

Perché non si può parlare pubblicamente di tutto ciò? Dove sono i politici? Perché l’assessorato alle politiche sociali e alla sanità appare come assente e/o sembra essere prigioniero dei propri funzionari? Perché certa stampa, che vive con i soldi pubblici, cioè di noi cittadini, tace su queste vicende per non offendere qualcuno o, cosa ancora più grave, per insensibilità e/o indifferenza.

Togliere il sorriso dai volti dei bambini già in difficoltà per le disavventure familiari è assai facile, soprattutto se il burocrate li tratta come numeri e non come persone, se usa la matita rossa per rimarcate quelli che lui, o i suoi amici, ritengono cattivi e non ascolta il proprio cuore che, nonostante tutto, dovrebbe pur avere.

Il tribunale per i minorenni di Torino ha emesso una sentenza, di fatto  inaudita altera parte, adagiandosi sulle insistenze e sulle relazione dei servizi sociali che, nell’ultimo anno, dipingevano la bambina a rischio se fosse restata con la nonna e non hanno tenuto in alcun conto le problematiche legate alla madre e non hanno predisposto una CTU, al di fuori dei servizi sociali, per  valutare quale scelta sarebbe stata più idonea a tutela della minore senza preoccuparsi, in mancanza di ciò, di ascoltarla direttamente.  Non solo, hanno predisposto pure l’immediata esecuzione della loro decisione, non permettendo alla bambina di essere spostata dopo in ricorso in corte d’appello. Una fretta questa che suscita doverose perplessità.

I servizi sociali, pur sapendo che fra un mese ci sarebbe stato il responso della sezione minorile della  Corte d’Appello  hanno sentito il presidente del collegio giudicante del Tribunale per i minori (consapevoli che non avrebbe potuto smentire se stesso!) ed hanno deciso che la bambina da oggi doveva cambiare casa, compagni scuola, palestra, amichetti del paese, parrocchia (che forse non frequenterà più) per vivere in quella “grande” città popolata anche di figure poco raccomandabili, come ben sanno i servizi sociali.

Con le lacrime agli occhi, la bambina ha appreso pure che rivedrà la nonna solo per poche ore il sabato, magari in presenza di un educatore, perché altrimenti non si abituerebbe a stare con la madre.

Ci fermiamo qui e lasciamo a chi ci legge ogni personale valutazione.

Gli orchi, purtroppo, non sono invenzioni solo di leggende e favole. A farne le spese, ancora una volta, sono sempre gli indifesi bambini il cui numero, come questa vicenda continua a dimostrare, serve per mantenere in vita strutture non sempre a servizio della persona.

A nulla valgono le norme sancite dalla “Carta dei diritti del Fanciullo”, con queste istituzioni!

 

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