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Quando la giustizia sbaglia, il danno è pagato dal cittadino.


E’ obbligo dello Stato attivare

l’azione di regresso

nei confronti del giudice responsabile

 


Avv. Gerardo Spira*

La famiglia nell’evoluzione storica della moderna società, si fa per dire, ha subito una trasformazione che ha comportato inevitabilmente l’adeguamento della disciplina giuridica al diverso modo di intendere i rapporti e le relazioni.

Il disfacimento del principio e le conseguenze civili sulle persone e sulla prole hanno spinto il legislatore ad adeguare gli istituti giuridici conseguenti al matrimonio per tentare di arginare una falla divenuta metodo allargato di contenziosi e miraggio di affari incontrollati.

Il legislatore si è mal posto nella problematica e la giustizia, approfittando dell’incertezza si è posta quasi sempre di traverso alla volontà politica, aprendo un profondo solco di discussione, con interpretazioni che sono risultate nel tempo contrarie agli interessi di una società preordinata al bene comune.

Con la legge 54 del 2006 si pensava che l’istituto della famiglia separata avesse trovato pace ed equilibrio. Invece non è stato così! I conflitti portati davanti ai giudici sono finiti nell’arena degli scontri, in cui tutti hanno gareggiato a fare danni, sapendo che alla fine avrebbero pagato soltanto due soggetti: lo STATO e il MINORE.

Il giocattolo si è rotto ed invece di sostituirlo con uno nuovo, si è cercato di ripararlo, lasciandolo sempre nelle mani di coloro che lo hanno usato male.

La società, quella formata da un padre e da una madre, da nonni, da zii e da nipoti e da intrecci relazionali assorbe le notizie con sgomento perché si rifiuta di riconoscere una Giustizia che invece di unire divide persone e figli come se si trattasse di selezionare in un paniere le mele buone da quelle marce.

Nella diffusa cultura morale della nostra società il minore è ritenuto  la sintesi essenziale della famiglia, da cui nessuno può prescindere, e men che meno il Giudice, chiamato a decidere.  Un figlio non è un oggetto o una cosa qualsiasi, ma il valore primario della società, anche per quella cosiddetta globalizzata. E meno male!

Una società senza valori va riposta agli antipodi della civiltà.

I provvedimenti giudiziari, emessi dai Tribunali da Nord a Sud che dividono i figli dalla famiglia sono comunque esempio di mala Giustizia, di una giustizia che vive estranea agli umori della società e insensibile agli scontri che toccano i sentimenti.

Rinveniamo nei PQM dei Tribunali ragionamenti che non hanno nulla a che fare con la finalità della legge e con quelle di una società preordinata ad uno sviluppo pacifico ed equilibrato.

 

Nessun Parlamento pensa di emanare leggi per aprire conflitti sociali specialmente nell’ambito della famiglia.

 

Quando il Giudice favorisce uno e danneggia l’altro, nella separazione o divorzio, mette a disposizione di uno strumenti e motivi per continuare a rivendicare, ricacciando l’altro nella via della disperazione.

I provvedimenti, purtroppo nella materia minorile, sono senza l’anima della convinzione giuridica e contrari allo spirito di una comunità che tende invece a voler vivere in pace.

Dopo la decisione subentra sempre in chi ha subito la sconfitta un sentimento di smarrimento che lo porta nella pericolosa fase della depressione e dell’emarginazione, che può, e spesso accade, sfociare in atti estremi.

La Giustizia che opera in tal senso, è responsabile di questi effetti. Questa giustizia precaria e provvisoria, porta alla follia.

Per questo ritengo che i Tribunali per i minorenni, così come amministrati, vanno chiusi, come è avvenuto per i manicomi.

Perdere un figlio o avvertire di averlo perso vuol dire accettare di vivere monco dell’organo più importante del proprio corpo. Almeno così è per l’uomo!

Per la visita di un giorno o di un'ora un genitore vende l'anima al diavolo e annulla la sua persona, smarrendo i valori della libertà, dell'onore e della dignità.

In questo sottile e sensibile passaggio la Giustizia resta impigliata nel vortice di discussioni che non riguardano la legge, ma i sentimenti, e commette il più grave degli errori che potrebbe essere evitato con un valido e responsabile patto imposto in nome del minore a cui devono partecipare tutte le parti in causa.

Gli errori procedurali in questa materia aprono un solco difficilmente sanabile, perché dal momento della decisione nascono e crescono dissapori, maldicenze e intrighi giudiziari ed istituzionali che, mal controllati, portano inevitabilmente agli abusi e soprusi da parte di chi ha il coltello dal manico. Spesso, anzi sempre, la risposta si tramuta in fredda vendetta per la negligente disciplina di un protocollo di comportamenti. In questo momento il Giudice si gioca l’importante e fondamentale funzione sociale!

La decretazione d'urgenza, ripetuta a catena, di conseguenza si porta dentro i semi di uno stupido conflitto che si trascina nel tempo con effetti e pregiudizi che avvelenano e per sempre la vita del minore.

Ciò perché gli attori, giudici, magistrati, operatori sociali e istituzioni legali, non hanno saputo svolgere la fondamentale funzione di rendere la giustizia credibile a coloro che la invocano, a garanzia del minore che ragiona con la sensibile disperazione dei sentimenti.

Eppure tra le pieghe della legge, anche di quella più antica, esiste ancora un corollario insopprimibile e invalicabile: la responsabilità di chi è chiamato a decidere nella vita e nei rapporti delle persone.

La responsabilità, che tutti sanno cosa è, ma che nessuno vuole, è un concetto che assume diversa valenza a seconda dell’ambito a cui si riferisce.

Reclami e ricorsi riempiono nel tempo faldoni di carte sui tavoli degli attori, mentre il minore stanco e disperato aspetta di essere ascoltato e di manifestare il suo pensiero in una decisione che riguarda la sua vita.

La sua attesa invecchia con la sua età fino a perdere di importanza o addirittura ad essere archiviata, perché qualche giudice lo ha dimenticato (in archivio) o perché nel frattempo il genitore reclamante non esiste più. Le calamità naturali come l’ultimo terremoto del centro Italia, dovrebbe portare ad una riflessione profonda. Quanti bambini vittime del terremoto sono morti, lasciando nella disperazione il genitore separato?

I servizi sociali dei comuni, affrancati dal timore del posto fisso, sotto il giogo politico-giudiziario, seguono la voce del potere di turno, alieni di assumere una funzione libera, indipendente, autonoma e di aiuto alla risoluzione del caso del minore.

Le relazioni, colme di sgorbi e di obbrobri maldestramente scopiazzati dal vasto contenitore del mondo informatico, rendono la vita e la funzione facili a giudici e magistrati stanchi e disabituati agli approfondimenti giuridici; rendono invece la vita difficile alla coppia incastrata nella spasmodica attesa di una decisione, che risulterà sempre discutibile.

Professionisti e tecnici si arrovellano nelle interpretazioni per approntare citazioni, comparse e relazioni, costruire fascicoli colmi di cartacce, che mai verranno lette.

Dopo anni di conflitti e dopo che il minore ha cambiato il tono della voce da bambino in quello di uomo maturo, interviene L'Europa che, come al solito, condanna l'Italia, per la ricorrente e costante violazione dei diritti dell'uomo.

Mentre per tutta la funzione pubblica vale il principio della responsabilità diretta, nel caso della Giustizia italiana il concetto è stato sempre ovattato dall' inciucio giuridico trasformato in responsabilità indiretta, facendo ricadere sul popolo il costo degli errori.

Il danno provocato dal giudice, per sua colpa o per errore, viene pagato dallo Stato e cioè da tutti i cittadini italiani, compreso il cittadino riscattato dalla Giustizia Europea.

Invece la sentenza di condanna della Giustizia Europea porta a conseguenze poco esplorate, ed eluse da un sistema di intreccio politico giudiziario costruito nel tempo attraverso la tacita e collusa connivenza funzionale volutamente esclusa al controllo dei cittadini.

Riteniamo invece che questa via vada perseguita per il principio che tutti cittadini sono uguali davanti alla legge e quindi tutti i cittadini devono rispondere in ugual misura quando impegnano il nome dello Stato ed il danaro pubblico.

Noi abbiamo ritenuto di affrontare il tema spinoso della responsabilità dei giudici nel caso di errati provvedimenti accertati e confermati.

Vediamo come funziona la responsabilità civile dei Giudici e quali conseguenze si aprono nella società per le ricadute in termini di danno anche al bilancio pubblico e all’erario, tanto sentiti in questo particolare momento di crisi.

Nel sistema costituzionale italiano è fermamente riconosciuto il principio dell'autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Il Giudice è soggetto soltanto alla legge.  Così è critto.

Cosa vuol dire indipendenza ed autonomia e cosa vuol dire che è soggetto soltanto alla legge?

Nel tempo il potere giudiziario italiano ha seguito percorsi diversi, per consentire al magistrato di esercitare le sue funzioni sganciato dal potere esecutivo, meglio ancora dalla politica. In tal senso è stato inteso il concetto di indipendenza ed autonomia.

Vediamo invece in quale modo la responsabilità è intesa e collocata nel mondo della vita pubblica.

Tralascio il periodo storico precedente all’entrata in vigore dell’attuale Costituzione, in quanto in questo (liberal-fascista) il magistrato godeva di una particolare prerogativa e di una limitata responsabilità, per la dipendenza dal potere esecutivo.

Con la Costituzione del 1948 la responsabilità ha trovato disciplina nell’art. 28 il quale dispone “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli Enti pubblici

Il dibattito si è acceso sulla funzione del magistrato rispetto a quella di altri dipendenti pubblici, in ordine al danno da risarcire, perché più privilegiato.

La Corte costituzionale nella sentenza n. 2 del 1968, chiamata sulla questione, con le considerazioni di memoria- latino-greco-bizantina, ha considerato la funzione del magistrato diversa rispetto a quella degli altri dipendenti pubblici. La solidarietà di casta è corsa in soccorso della categoria, affinando il ragionamento sulla particolare funzione del magistrato nella nostra società.  Purtroppo il danaro impegnato ha lo stesso colore e valore per tutti i dipendenti pubblici.

In sostanza la suprema Corte ha così ragionato “«l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e del giudice ovviamente non pongono l’una al di là dello Stato, quasi legibus soluta, né l’altro fuori dall’organizzazione statale. Il magistrato è e deve essere indipendente da poteri e da interessi estranei alla giurisdizione; ma questa è funzione statale ed i giudici, esercitandola, svolgono attività abituale al servizio dello […] la singolarità della funzione giurisdizionale, la natura dei provvedimenti giudiziali, la stessa posizione super partes del magistrato possono suggerire, come hanno suggerito ante litteram, condizioni e limiti alla sua responsabilità; ma non sono tali da legittimarne, per ipotesi, una negazione totale, che violerebbe apertamente quel principio o peccherebbe di irragionevolezza sia di per sé (art. 28) sia nel confronto con l’imputabilità dei pubblici impiegati” (d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, e art. 3 della Costituzione)»

La discussione, aperta negli scontri politico-istituzionali si accanisce nel periodo del Caso Tortora che su iniziativa dei radicali, del PSI e del PLI nel 1987 porta al famoso referendum per abrogare gli artt.55, 56 e 74 del c.p.c. Al referendum partecipò il 65% del corpo elettorale (quasi 30 milioni di persone) con il risultato favorevole dell’80% dei votanti. La normativa fu abrogata.

Il Parlamento costretto dalla volontà popolare tra mille compromessi varò la legge n.117 del 13 aprile 1988, detta legge Vassalli, con la quale disciplinò ex novo la materia, ancora in vigore, la quale prevede una responsabilità diretta dello Stato e soltanto indiretta del magistrato.

Il cittadino danneggiato secondo questa normativa può agire contro lo Stato al quale è attribuita una limitata azione di rivalsa nei confronti del giudice in misura non superiore al terzo di una annualità dello stipendio.

Ciò ha aperto altra discussione per la disparità di trattamento nei confronti degli altri dipendenti pubblici i quali invece sono sottoposti al principio, in caso di rivalsa, della restituzione dell’intera somma.

Con la costituzione dell’Europa e della Corte di Giustizia si accende il dibattito sui diritti dell’uomo e sulla loro tutela da parte delle istituzioni che agiscono in nome e per conto dello Stato.

In buona sostanza la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che lo Stato deve risarcire il cittadino danneggiato da una decisione giurisdizionale avvenuta in evidente violazione di legge e che il rapporto tra lo Stato e le sue istituzioni restano disciplinate da normativa interna.

In due occasioni la Corte di giustizia insiste e precisa la portata del principio di responsabilità dello Stato membro.

La decisione mette in luce la volontà dell’Organo giurisdizionale di Lussemburgo di proseguire nell’itinerario, intrapreso già con le precedenti decisioni in materia.

“ Nel caso Traghetti la Corte di giustizia si spinge sino a dichiarare la manifesta violazione del diritto comunitario affermando che quest'ultimo «osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da un’interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale» e che «il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente»” (paragrafo 46 della sentenza in esame).

 

Nel 2011 la Corte di giustizia Europea ha di nuovo condannato lo Stato italiano sullo stesso principio.

Il Governo italiano, anche sotto la spinta dell'opinione pubblica, è stato costretto ad approvare la legge n.18 del 2015, di modifica ed integrazione della legge n.117 del 13 aprile 1988.

Quali le novità?

-          il comportamento lesivo della colpa diviene oggettivo (basta la violazione manifesta della legge, a prescindere dal comportamento soggettivo del giudice);

-          viene inserita la responsabilità per travisamento del fatto e della prova ed eliminata la clausola di salvaguardia non più invocabile nel caso di colpa grave o dolo.

-          l'azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato è obbligatoria, essendo stato eliminato il filtro di “ammissibilità”.

Il risarcimento resta a carico dello Stato, nel senso che il cittadino non può agire direttamente contro il giudice, se non per reati penali, ma lo Stato è obbligato ad attivare l'azione di rivalsa nei confronti del giudice quando è ravvisabile la negligenza dello stesso.

Quali sono le conseguenze in materia di giustizia minorile?

Specialmente negli ultimi tempi, il cittadino ha intrapreso la strada della Giustizia Europea per violazione dei diritti dell’uomo.

Con la sentenza Lombardo (2011), la Corte Europea ha stabilito che gli Stati devono mettere in atto tutte le misure idonee a consentire un’attuazione effettiva del diritto alla vita familiare, tenendo conto dell’interesse superiore del minore, anche in forza della convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo. (Condanna lo stato italiano a pagare euro 15.000 per danni morali ed euro 10.000 per tutte le spese, oltre interessi secondo il tasso europeo)

La sentenza Lombardo è stato un sonoro schiaffo alla Corte di Cassazione italiana la quale ha costantemente ritenuto la litigiosità motivo valido per l’affidamento esclusivo o prevalente ad uno di essi (quasi sempre alla madre), violando la legge 54 del 2006 che invece stabilisce diversamente.

La Corte Europea pur in presenza della forte litigiosità tra genitori separati, ha chiarito che questa non è sufficiente ad impedire alle Autorità competenti di porre in essere tutti i mezzi possibili per consentire il mantenimento dei legami familiari.

Ci voleva l’Europa per esprimere un concetto così semplice?

Anche il Tribunale di Milano, per il caso della richiesta di una madre di affidamento esclusivo della figlia di appena pochi mesi, giustificato dalla tenera età della bambina, ha deciso con decreto del 25 gennaio 2015 che le condizioni relative alle modalità di affidamento di un minore in tenera età non possono basarsi sulla presunta incapacità del padre a prendersene cura: il mestiere di genitore si apprende solo con l’esercizio.

Le decisioni cervellotiche di alcuni tribunali, avallate dalle relazioni tecniche di alcuni servizi socio-sanitari, hanno aggravato la condizione sociale del diritto di famiglia, pregiudicato gli interessi del minore e minato i principi base della convivenza anche in regime di separazione.

Le condanne della Corte di Giustizia europea sono sotto gli occhi di tutti e questo peso finanziario è sostenuto dallo Stato contro la volontà popolare, che votato per la responsabilità diretta del giudice che sbaglia ad applicare la legge.

Il popolo infatti quando è stato chiamato a decidere in materia di giustizia ha sempre votato a favore del principio che anche la magistratura deve rispondere dell’impiego di danaro pubblico. In uno Stato di diritto non esistono figli e figliastri, anzi con le ultime leggi sulla filiazione naturale e sull’unione civile finalmente è stato consacrato  che tutti i figli sono uguali davanti alla legge.

Vediamo come viene applicato il principio della responsabilità civile nei confronti della magistratura e quali sono i risvolti in materia di danno.

Il 19 marzo 2015 è entrata in vigore la nuova normativa di cui alla legge n. 18 del 25 febbraio dello stesso anno, che ha modificato con integrazioni la legge n.117 del 1988.

Con questa legge è stata soppressa la limitazione dei danni, per cui si riespande il perimetro del risarcimento.

La vecchia normativa prevedeva che non si poteva attivare azione di responsabilità per il caso di interpretazione di norme di diritto, né per quella di valutazione del fatto e delle prove.

Confermato il principio del danno per dolo o colpa grave, la colpa grave è stata racchiusa in ambiti ben precisi:

-          violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’unione europea;

-          travisamento del fatto e delle prove;

-          negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

-          emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

Nella nuova normativa vengono ricompresi: la violazione al diritto Europeo e viene introdotta l’ipotesi del travisamento del fatto o della prova.

All’art. 2 della legge n.117 del 13 aprile 1988, viene aggiunto con la legge n.18 del 2015 il comma 3 bis che testualmente detta: fermo restando il giudizio di responsabilità contabile di cui al Decreto legge 23 ottobre 1996 n.543, convertito con modificazioni dalla legge 20 dicembre 1996 n.639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea si tiene conto in particolare

a) del grado di chiarezza e precisione delle norme violate,

b) dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza.

In caso di violazione manifesta del diritto dell’Unione europea si deve tener conto anche

  • della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art.267, terzo paragrafo,
  • del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
  • nonché del contrasto dell’atto o del provvedimento con l’interpretazione espressa dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Come si raccorda la normativa italiana con quella europea in caso di riconosciuta violazione del diritto.

Lo Stato Italiano è tenuto a risarcire il danno provocato da una decisione errata dal giudice italiano nella misura determinata. In tale caso si instaura il rapporto tra lo Stato, il giudice e la parte lesa. Una volta risarcito il terzo, lo Stato italiano ha l’obbligo di richiedere al giudice che ha provocato il danno la restituzione delle somme sborsate. Si apre a questo punto anche la questione del procedimento disciplinare contestuale all’azione di regresso.

Un primo tentativo da parte di alcuni studiosi del diritto all’interno della magistratura ha cercato di separare i due momenti della responsabilità civile da quella disciplinare, sostenendo la incompatibilità contestuale delle due azioni. Secondo questa teoria l’azione disciplinare si deve aprire dopo la conclusione di quella della responsabilità civile.

Il ragionamento poggia sul principio che in ogni caso si deve tener conto che la responsabilità funzionale del magistrato è diversa da quella degli altri dipendenti pubblici.

Noi riteniamo che la condanna della Corte di Giustizia europea fa stato e quindi definitiva e come tale lo Stato italiano ha l’obbligo di aprire il procedimento di restituzione delle somme sborsate e di attivare il giudizio di responsabilità disciplinare nei confronti del giudice, collegio e magistrati che si sono resi responsabili del danno, allo stesso modo in cui avviene per un pubblico dipendente.

Se ciò avvenisse in tutti i casi, troveremmo pochi giudici non ricusati in condizioni di potere decidere!

Ma chi deve attivare le azioni?

L’azione di responsabilità civile deve essere promossa dallo Stato attraverso gli Organi della Giustizia competente, mentre quella disciplinare deve essere attivata dal Procuratore generale presso la Suprema Corte di Cassazione.

Il mancato esercizio dell’azione di regresso, comporta l’azione di danno erariale che va attivata secondo il decreto legge n.543/1996, convertito con modificazioni dalla legge 20 dicembre 1996 n.639.

Da qualche tempo, soprattutto sotto la spinta popolare si è fatta strada una corrente di pensiero sempre più sostenuta secondo cui in una società civile in cui i doveri e i diritti devono avere uguale peso quando si impegna danaro pubblico, la responsabilità va assumendo sempre più una configurazione giuridica di assoluta garanzia egualmente intesa in uno Stato di diritto in cui i valori ed i principi sono uguali per tutti senza privilegi o condizioni di casta.

Il danno pubblico non ha colore politico e non può essere scusato quando è provocato nell’esercizio di funzioni in cui è richiesta severa professionalità pagata con danaro proveniente dalle tasse dei cittadini che rispondono senza privilegi o favori.

 

* giurisdizione: amministrativo-contabile-tributarioemail: Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. Studio in Agropoli (SA)

 

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