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Venerdì 14 Settembre 2018 09:47

 

Aosta per la Tutela dei minori nelle separazioni

richiesti urgenti provvedimenti legislativi


L’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori, con precise richieste, chiama in causa direttamente gli amministratori regionali.

 

L’Associazione, come si può leggere nella lettera che segue, ha scritto ufficialmente alla presidente della Giunta regionale, avv. Nicoletta Spelgatti, al presidente del Consiglio regionale, dott. Antonio Fosson, all’assessore alla Sanità, Salute e Politiche Sociali, dott.ssa Certan Chantal e al Consigliere regionale Roberto Cognetta con la richiesta di provvedimenti legislativi sulla delicata questione della gestione dei minori nelle separazioni.

Esistono inaccettabili discriminazioni tra i genitori che l’associazione da anni evidenzia e contro le quali lotta, le quali, oltre a produrre vere e proprie ingiustizie quasi sempre contro i padri, non garantiscono la trasparenza e il contradittorio nei processi di affido dei minori.

I servizi sociali e le lobby che vi girano attorno sono divenuti un vero e proprio potentato che, di fatto, proteggono solo un genitore e che i politici ed i tribunali non provvedono a verificare seriamente e con continuità il loro operato, così come prevede la legge sulla pubblica amministrazione.

Altra istituzione di emanazione regionale che provoca malcontento e proteste e i cui accordi sono deleteri è la mediazione familiare che, gestita in modo approssimativo e superficiale, anch’essa senza alcun controllo, danneggia indiscutibilmente sempre un genitore e, soprattutto, i minori che dovrebbe, invece, tutelare. Tale struttura deve essere azzerata e, se fatta ripartire, lo deve essere fatto con perone nuove e all’altezza del compito.

E’ opportuno verificare se siano esistite responsabilità gestionali perseguibili anche penalmente nella conduzione della mediazione familiare che nell’operato dei servizi sociali.

Su queste tematiche e sul DDL di riforma del condiviso presentato al Senato dalla Lega si terrà un pubblico dibattito martedì 2 ottobre alle ore 17 presso Sala Convegni del CSV di Aosta (Via Xavier de Maistre, n. 19). Saranno presenti anche gli esponenti regionali a cui è stato scritto.

Questo il testo della lettera

*****.

“I numerosi soci della nostra sede regionale ci sollecitano un intervento presso le autorità regionali, di recente elezione, al fine di portare a termine quanto deliberato (circa sette mesi prima delle elezioni) nella precedente legislatura in merito al Regolamento dell’attività dei servizi sociali in materia minorile durante le separazioni. L’iniziativa, proposta dall’allora consigliere regionale Roberto Cognetta e condivisa anche dal consigliere Antonio Fosson è stata approvata dall’intero consiglio regionale, eccetto un astenuto, era una risposta alla cronica prassi dei servizi sociali di operare senza la pur minima garanzia di terzietà, oggettività e trasparenza.

I servizi - spesso delegati dal tribunale a svolgere mansioni non regolamentate e fuori dalle loro competenze professionali – non garantiscono il contraddittorio e la dovuta trasparenza. Il genitore è costretto ad accettare a scatola chiusa le relazioni degli assistenti sociali e degli psicologi non permettendo loro di accedere alle videoregistrazioni degli incontri tra servizio pubblico-genitori-minori.

Tale comportamento è un abuso più volte fatto presente alla dirigente regionale del servizio, la quale, invece di accogliere le giuste richieste dei cittadini, ha effettuato una difesa d’ufficio dell’operato dei suoi sottoposti segnalando, con richiesta di provvedimenti punitivi nei nostri confronti, la nostra giusta pretesa di trasparenza e la denuncia di abuso d’ufficio al Tribunale di Aosta, al Tribunale per i minorenni e alla Corte d’Appello di Torino.

La tesi sostenuta dalla dirigente e fatta propria da tutto l’apparato dei servizi sociali, compreso il presidente dell’ordine dei psicologi e degli assistenti sociali, era la seguente: i servizi operano su delega del Tribunale e non devono rendere conto a nessuno del loro operato non appartenendo, a loro dire, alla pubblica amministrazione e non dovendo rispettare la l. 241/90 e ss. mm. e ii.! La stessa Cedu ha condannato l’Italia per gli abusi dei servizi sociali che si arrogavano – e si arrogano - competenze non loro. Abbiamo tutta la documentazione di quanto affermato e siamo disponibili a fornirvi tutta la corrispondenza tra la nostra associazione e la dirigente dott.ssa Patrizia Scaglia.

L’assemblea regionale, nell’approvare la mozione del consigliere Cognetta, aveva delegato l’assessore alla Sanità, Salute e Politiche Sociali ad attivarsi immediatamente per la stesura di un Regolamento per i servizi sociali. L’assessore ha preso tempo, aspettando la fine della legislatura, ed ha delegato i servizi sociali stessi a scrivere detto regolamento. Altro assurdo: il controllato nomina il proprio controllore, cioè formula il regolamento che dovrebbe rispettare!

Nei giorni successivi, l’assessorato invia una circolare ai servizi sociali e psicologi dell’area minori a firma della dott.ssa Patrizia Scaglia, dirigente della Struttura Famiglia e assistenza economica, e del dott. Alfredo Mattioni, direttore della Struttura Semplice Dipartimentale di Psicologia con la quale palesemente si proponeva di far firmare ai genitori le relazioni inviate al tribunale a difesa degli operatori e non certamente a garanzia della trasparenza del loro operato.

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Mercoledì 12 Settembre 2018 08:26

Dossier

Nell’attuale società vi sono interessi vari che travolgono anche i sentimenti dei bambini.


Minori sequestrati:

Un affare di milioni di euro per associazioni e case protette


avv. Gerardo Spira*

Su questo argomento, di drammatica attualità, vogliamo aprire un confronto con i genitori, con le istituzioni e, in specifico, con coloro che a parole vorrebbero farci credere che la giustizia minorile funzioni bene e che tuteli “il superiore interesse dei minori”. Chiediamo fatti concreti, nel parlamento e nei tribunali, sorvolando sulle confusionarie e ambigue proposte di legge fatte per tutelare il politico e le sue presunzioni culturali. L’avv. Spira resta a disposizione per chiarimenti e per accogliere il contraddittorio su questa tematica. (ndr)

 

Tra il mese di aprile e maggio di quest’anno compare sul filo della mia posta elettronica la notizia di un giovane collega il quale mi informava che da Roma due minori erano stati rapiti, in gran segreto, al padre, Clown di circo, in seguito alla denuncia della compagna, scomparsa pure lei con loro. Il genitore presentatosi ai carabinieri per denunciare il fatto, viene a conoscenza di notizie frammentarie e vaghe, circa l’allontanamento coatto dei tre in luogo sconosciuto e segreto. La gravità del pericolo non aveva consentito alle Autorità di informarlo. Così si rivolge ad un avvocato per venire a capo della situazione. L’avvocato, preso dal fatto, nonostante i suoi contatti con gli organi giudiziari e di polizia mi informava che L’evento veniva sottaciuto e tenuto in un’atmosfera nebulosa. Trascuro gli effetti sentimentali del fatto e le conseguenze sulla vita di particolare lavoro dell’uomo. Il clown è l’artista del circo equestre più capace di penetrare nei sentimenti della vita sociale. Il colpo inferto a quel genitore è stata l’azione più atroce e sconvolgente di una condanna a morte. Purtroppo, in questa società vi sono interessi che travolgono anche i sentimenti dei bambini. Il legale dopo rabbiose insistenze è riuscito ad ottenere un provvedimento del Tribunale per i minorenni di Roma che conferma la legittimità della decisione adottata, senza notificargli il provvedimento adottato. Senza conoscere dunque l’Autorità che lo ha emesso e i motivi della stessa. Al legale quindi viene impedito di fatto di fare il suo dovere. Ci troviamo in una di quelle fasi in cui l’urgenza e la cautela diventano gli strumenti a cui l’Autorità pubblica ricorre come estrema ratio, senza che il cittadino possa difendersi. Tutto resta al buio e nel buio si muovono, a loro piacimento, organi e Autorità coinvolte. Poi si vedrà! Così e accaduto, infatti, in alcuni momenti della storia in cui sono stati fatti scomparire esseri umani i cui resti sono venuti alla luce a distanza di anni. Questi momenti sono stati definiti anche di estrema pazzia. Il diritto e la Giustizia sono altra cosa, perché parliamo di diritti e i diritti non si possono sopprimere o nascondere.  Il fatto di Roma, dopo sei mesi rimane ancora avvolto dal mistero giudiziario.

Sequestro o rapimento? Improvvisamente scoppia il caso. I tre, madre e figli” erano stati collocati in una struttura segreta in Sicilia, chiusa poi dalla magistratura palermitana per maltrattamenti di minori. La notizia finisce, con grande clamore, nella cronaca giudiziaria. Chi ha indicato quella struttura? Chi ha convalidato senza i dovuti controlli? Il legale cerca affannosamente di sapere dove sono stati ricollocati i tre. Niente da fare. I telefoni, colorati e non, squillano in segreto per mantenere la notizia e le tre persone riservate. Madre e figli, con un altro provvedimento, sempre riservato ed urgente, vengono trasferiti un’altra struttura che non è dato conoscere. Si sa solo che è stato emesso un provvedimento cautelare ai sensi dell’art. 403 del c.c. Nessuna traccia del provvedimento e quindi dell’autorità proponente.

Fin qui le notizie.

Poi la nebulosa si fa sempre più chiara e si viene a sapere che la sig.ra, madre dei minori, di nazionalità straniera, aveva contattato un’avvocatessa di Roma, del giro, la quale attraverso un’associazione antiviolenza (dalla stessa diretta e gestita?!) e collegata ad uno dei famosi telefoni colorati di Stato aveva curato tutto l’affare. Non entriamo nel merito della questione denunciata. Questa rientra nelle competenze della magistratura. Intendiamo invece trattare l’argomento dal punto di vista della necessità e urgenza giuridica perché, il disimpegno del tribunale, in specifica materia, a nostro avviso, concorre a sfaldare valori e principi della famiglia, espressamente definiti nella Costituzione e nelle leggi.

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Lunedì 27 Agosto 2018 09:08

Studio Cataldi 11.8.2018

Affido condiviso:

la riforma al Senato contraddice le linee-guida di Brindisi

 


avv. Mariella Fanuli*

Il gruppo di lavoro di Brindisi, tramite uno dei suoi membri, prende nettamente le distanze dalla proposta depositata al Senato, in nome dei diritti indisponibili dei figli

 

Ho seguito con interesse, prima in rete, poi sui siti ufficiali, lo svolgersi del dibattito intorno alla re-scrittura delle norme sull'affidamento condiviso, avendo fatto parte, come avvocato e mediatrice famigliare, del ristrettissimo gruppo di lavoro (tre persone in tutto) che ha elaborato le linee – guida del Tribunale di Brindisi, alle quali è stato fatto frequentissimo riferimento. Ed è proprio in merito a queste circostanze che tengo a precisare – concordemente con il resto del gruppo - come, invece, i criteri fondamentali utilizzati nel DDL 735 "Norme in materia di affido condivisomantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità", nonostante il titolo e gli intenti, non siano affatto in linea con i principi da noi espressi nelle suddette Linee Guida, più volte richiamate e che l'articolato non realizzi i pur lodevoli principi enunciati, al contrario rappresentando sotto vari aspetti un vistoso e pericoloso arretramento rispetto alla legge attuale.

Faccio un passo indietro per semplicità argomentativa: quando Brindisi ha deciso di formulare Le Linee guida lo ha fatto partendo dai principi contenuti nella L. 54/2006 ed utilizzando, come "faro", gli strumenti internazionali a tutela del "fanciullo", tutti, fino ad allora, rimasti disattesi.

Focus del "lavoro" è divenuto così, il minore "Soggetto di Diritto", titolare di "diritti Indisponibili" ed il fine di attuare il "superiore interesse del minore", operando, così, un radicale cambio di prospettiva rispetto a una prassi decisamente adultocentrica.

Al centro di ogni provvedimento, si poneva "quel minore" in "quella famiglia" con ciò cercando di promuovere il "suo" benessere psico-fisico e privilegiando l'assetto più favorevole ad una sua crescita e maturazione equilibrata e sana nella e con la sua famiglia.

Corollario applicativo di tanto è che i diritti degli adulti, di fronte a questo nuovo assetto, cedono in favore dei diritti del fanciullo, con l'ulteriore conseguenza che essi stessi trovano tutela solo nel caso in cui questa coincida con la protezione della prole.

Ciò determina che i diritti degli adulti, nel settore famigliare, acquistino una portata "funzionale" alla protezione del bambino, soggetto debole della relazione e, proprio perché titolare di diritti, indisponibili, bisognoso di maggiore tutela.

Orbene, il minore ed il suo benessere, nel DDL richiamato, scompare.

Ma non basta.

Da quanto si legge in merito alla modalità di richiesta e di esercizio dell'affido condiviso e di applicazione e/o raggiungimento degli accordi il minore diviene parte passiva delle relazioni famigliari, sottoposto, o almeno così in concreto appare, all'autorità degli adulti, dando al termine di responsabilità genitoriale la connotazione pratica della obsoleta "patria potestà".

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Lunedì 30 Luglio 2018 10:06

I diritti dei minori sotto la mannaia di

una Giustizia inadeguata ed incapace


avv. Gerardo Spira*

 

Se proviamo a mettere insieme, secondo il livello di valore, i principi costituzionali e le leggi sul diritto di famiglia avvertiamo, all’impatto, un sensibile disagio ad accettarne l’interpretazione applicata, come se la giustizia si muovesse contro i diritti dell’uomo. Lo Stato e le sue leggi vanno in una direzione, la giurisprudenza in altra direzione. Tra i poteri dello Stato non vi è coordinamento. Il principio dell’indipendenza forza quello dell’autonomia fino a porre sullo stesso piano organi ed istituzioni operanti nella stessa materia. Il cittadino ne subisce e paga le conseguenze in termini di diritti. Nella materia del diritto di famiglia diventa una vera e propria avventura affrontare il merito di una questione di separazione e di divorzio. La Giurisprudenza, come motore delle leggi, non aiuta la società ad accettarne l’orientamento, specialmente quando il contrasto interpretativo si fa più evidente tra i supremi giudici della Cassazione e quando poi il giudice costituzionale, chiamato, ne dà la soluzione di legittimità.

Quando scoppiano i contrasti, le indecisioni muoiono sulla pelle delle persone che attendono giustizia.

Ormai ogni cittadino è in grado di valutare se un provvedimento o una sentenza sono stati emessi secondo un percorso e ragionamento corretto e giusto. I sentimenti della giustizia si evolvono con la crescita dei valori della democrazia. Quando questi valori stridono con i principi scritti e fermi nelle leggi si apre il solco profondo tra lo Stato e i suoi cittadini. Qui il tarlo comincia ad attaccare la dignità dei principi delle leggi. Qui nasce il pericoloso scostamento tra chi fa la legge e chi l’amministra.

La famiglia è ritenuta e riconosciuta dalle Convenzioni, dai Trattati internazionali e dalla Costituzione italiana la prima cellula della società e i diritti dell’uomo, inviolabili e intoccabili. La loro violazione, anche per interpretazione di chi è deputato a farlo, ne lede i sentimenti e il valore.

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Martedì 24 Luglio 2018 18:01

La Corte di Cassazione bacchetta se stessa

Nuovo giro di valzer sull’assegno divorzile


avv. Francesco Valentini*

La Corte di Cassazione Civile, a sezioni unite, con la sentenza n. 18287 dell’ 11 luglio 2018, appena un anno dopo, rivede profondamente la sentenza della I sez. (sent. n. 11504 del 10.5.2017) con la quale aveva stabilito che l’assegno divorzile deve essere calcolato non sul “tenore di vita matrimoniale” (criterio introdotto nel 1990) ma esclusivamente sul principio dell’autosufficienza del richiedente perché, argomentavano i giudici, “una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili … il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (art. 191, comma 1, cod. civ.) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143, comma 2, cod. civ.)”.

Gli ermellini, al fine di agevolare la valutazione dell’indipendenza economica del richiedente e l’adeguatezza dei mezzi a sua disposizione, proponevano gli indicatori da tener presente: “: 1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza («dimora abituale»: art. 43, secondo comma, cod. civ.) della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.

L’attuale sentenza, a sezioni unite (quindi inclusi i giudici che avevano espresso il parere ora contestato) sconfessa quella della I sez. Civ. perché, a loro dire, lede il principio della solidarietà post-matrimoniale ”sottolineato, invece, dal legislatore sia in ordine al diritto alla pensione di reversibilità che in relazione alla quota del trattamento di fine rapporto spettanti al titolare dell’assegno” ed abrogano di fatto l’art.5 della L. n. 898 del 1970 e successive modificazioni.

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Mercoledì 04 Luglio 2018 09:37

Centri antiviolenza, i minori, la legge e le istituzioni


Avv. Francesco Valentini

 

Quando si parla di violenze nell’ambito della famiglia, stampa, televisione e cultura di genere fanno in gara a sbattere in prima pagina “il mostro” e il rumore, attraverso le solite manifestazioni pilotate arriva fino al Parlamento. Qui la debolezza di genere prende il posto della discussione o dell’analisi più seriamente approfondita, per concludersi in fretta con un provvedimento più significativo contro il " maschio. Casualmente, si fa per dire, la strategia di genere ne approfitta nei periodi più propizi delle feste natalizie o di quelle estive, in pieno ferragosto (basta leggere le date di approvazione), quando i parlamentari uomini sono già con la mente nei meritati luoghi di riposo. Meno male che la rivolta culturale popolare con le elezioni del 4 marzo ha posto fine ad un sistema sconsiderato, confusionario e lontano dai veri problemi del Paese.

La violenza è sicuramente la peggiore espressione dell’essere umano. Essa non ha una connotazione genetica. Si può sviluppare in qualsiasi persona e trova la sua origine in fattori a cui la scienza ancora non ha saputo dare la esatta collocazione.

La violenza si manifesta in diversi modi e con modalità diverse, da quella fisica a quella più sottile di natura psicologica. Il legislatore commette un gravissimo errore allorquando la definisce come fenomeno solo contro la donna, trascurando che questa avviene anche da parte della donna contro l’uomo. Quando è l’uomo a fare violenza, questa si fa ricadere in normative e trattamenti speciali; quando invece è la donna a usare violenza all’uomo il fatto si tratta con la legge del codice penale. Nel primo caso si parla di femminicidio, nel secondo caso di semplice abuso, in qualche caso aggravato. Eppure i dati ministeriali, a cui il legislatore dovrebbe attingere, prima di legiferare, contraddicono le decisioni.

 

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Lunedì 18 Giugno 2018 11:48

Un falso problema

 

Una casa per i padri separati “poveri”

per coprire le colpe dei tribunali e della politica


 

Si fa un grande parlare dei padri poveri e tutti esternano la loro “umanità” nel proporre rimedi per alleviare la loro misera condizione: mense della Caritas (mantenute con i soldi di tutti), un tetto provvisorio, contributi economici per sostenere le spese legali … ma nessuno parla di una giustizia troppo schierata con le madri, un patrocinio a spese dello Stato (soldi pubblici) e graduatorie per l’accesso all’edilizia popolare che permettano la detrazione dai redditi del padre le somme che versa alla controparte per i figli e non più in sua disponibilità. Una riforma che spetta ai politici a livello nazionale e locale.

Nessuno ha il coraggio di affrontare il problema dalle radici perché intorno al malloppo vi girano interessi politici, economici e sociali. Nessuno ha il coraggio di mettere all’indice le istituzioni che non funzionano e la giustizia che è la prima e maggior responsabile del disastro familiare. Il business è troppo grande per parlarne!

La stampa è solo interessata a chiedere alle associazioni dati statistici sui nominativi dei padri finiti sul lastrico, ma evita di indagare sugli errori giudiziari e sul mal funzionamento dei tribunali e dei servizi sociali.

Le difficoltà economiche dei padri separati sono la conseguenza delle decisioni di alcuni tribunali italiani che nelle separazioni, nei divorzi e nell’affido dei figli, determinano condizioni economiche (mantenimento figli e spese straordinarie) non proporzionate ai reali redditi dei due genitori. E’ sempre l’uomo a subire il gravame del peso e quasi mai la donna, che per il solito benevolo sguardo di genere riesce a farla franca, anche nelle attività non dichiarate e nel lavoro a nero. Eppure la legge ha disposto l’obbligo degli accertamenti fiscali che in questo paese funzionano bene nel potere della guardia di finanza. Forse per questo non viene incaricata. Chi teme la verità: la giustizia di genere o il sistema che ruota intorno alle questioni?

Ora siamo invasi dall’istituto del Protocollo, stabilito tra le pari decidenti, come modus operandi, senza la partecipazione degli interessati, con carattere vincolante, per stabilire l’assegno di mantenimento dei figli e la natura delle spese straordinarie Tutto condiviso dagli ordini forensi. E la politica sta a guardare, timorosa di intaccare la sensibilità del magistrato, del giudice, dell’avvocato o del dirigente dei servizi sociali.

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Venerdì 18 Maggio 2018 16:51

Cassazione Civ. I, ordinanza n. 11553 del 13.4/11.5 2018


Riconosciuta la nullità del matrimonio

decade il diritto della moglie al mantenimento



avv. Francesco Valentini*

Se il Tribunale ecclesiastico decreta la nullità del matrimonio concordatario ed il tribunale civile competente, attraverso la delibazione riconosce la validità della sentenza ecclesiastica di nullità per vizi originari che annullano l’unione tra i due coniugi, il dovere dell’assegno di mantenimento verso il coniuge più debole viene meno dopo la separazione. Al contrario, se il riconoscimento di nullità del matrimonio avviene dopo il divorzio passato in giudicato, le statuizioni di quest’ultimo – scrivono gli ermellini - rimangono in piedi e l’assegno divorzile va versato perché nella separazione “il rapporto coniugale non viene meno, determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la fedeltà, la convivenza, la collaborazione; al contrario, gli aspetti di natura patrimoniale permangono, sebbene assumendo forme confacenti alla nuova situazione (cfr. Cass. n. 12196 del 2017)”.

Nel divorzio passato in giudicato – continua la Cassazione - la delibazione della nullità del matrimonio non ne inficia le statuizioni economiche sentenziate dal Tribunale civile perché “una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, (…) il diritto all’assegno di divorzio è riconosciuto alla “persona” dell’ex coniuge che sia stato ritenuto, tramite accertamento giudiziale, sprovvisto di «mezzi adeguati» o effettivamente impossibilitato a «procurarseli», così scattando quella solidarietà post coniugale (cfr. Cass. n. 11504 del 2017)”. Infatti – è scritto nell’ordinanza – il giudizio di divorzio e il giudizio di nullità presentano differenti petitum e causa petendi, e che, dunque, la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio non ostacola la delibazione della sentenza canonica di invalidità del vincolo”, la Corte “ha ritenuto, tuttavia, che, relativamente ai capi del provvedimento di divorzio contenenti statuizioni di natura economica, debba essere applicata la regola secondo cui, una volta accertata con sentenza passata in cosa giudicata la spettanza di un diritto, stanti gli effetti sostanziali del giudicato ex art. 2909 del codice civile, questa non è suscettibile di formare oggetto di un nuovo giudizio «al di fuori degli eccezionali e tassativi casi di revocazione previsti dall’art. 395 cod. proc. civ.».

Le statuizioni economiche prese durante la separazione decadono con la delibazione della nullità del matrimonio, mentre permane l’assegno divorzile se il pronunciamento del tribunale ecclesiastico interviene dopo la cessazione degli effetti civile del matrimonio (passato in giudicato).

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